ESSERE “UMANI”? di Carla Filosa

di Carla Filosa

La continuità senza tregua delle guerre imperialiste si correda di sempre nuovi fronti di: accaparramenti territoriali e relative spartizioni (ultima in ordine di tempo la Siria), risorse, spopolamenti, disumanizzazioni ad ogni livello. Soffermandoci su quest’ultimo punto, abbiamo provato a riflettere su cosa sia e quanto conti l’“umano”, o più precisamente gli esseri umani, le loro sofferenze, mutilazioni, morti, patologie irreversibili, ecc., a fronte dell’utile strappato dalla rapina bellica.

Dal febbraio del 2022 si contano circa 1 milione di morti tra ucraini e russi, più 11 milioni di sfollati, e la guerra è una pratica assolutamente “umana”. Distrutte scuole, strutture sanitarie, prodotti inquinamenti dell’aria per aumento di gas serra, quali ammoniaca, monossido di carbonio, anidride solforosa, ossidi di azoto, nonché aumenti dei prezzi alimentari, dell’inflazione, ecc. Aumentano in tal modo i costi della ricostruzione - quando sarà - a vantaggio degli sparvieri umani che attendono solo il momento pacificato per trarne zona di sfruttamento e ulteriori profitti.

In Palestina si contano poi ormai per difetto 45.000 morti e circa 1 milione e 900.000 sfollati; in Libano più di 3.000 morti e quasi 14.000 feriti contati solo alla fine del 2024. Senza considerare le altre 200 guerre sparse sul pianeta, ma troppo lontane dall’Europa per coinvolgere l’interesse alla “sicurezza” dei confini, perennemente prioritaria per i nostri governi.

Tempo fa, inoltre, nei tg ufficiali della TV italiana, Zelensky ha avuto modo di affermare che la “crudeltà” di Putin si è mostrata nell’attacco bellico effettuato il giorno di Natale. Nessun commento televisivo però per la parallela analoga aggressione israeliana a Gaza la notte di Natale, con almeno 11 morti tra cui 5 giornalisti di un’emittente palestinese, deliberatamente colpiti, e 4 neonati deceduti per ipotermia. I raid missilistici sono poi continuati in tutti i giorni a seguire, senza alcuna sosta di un cessate il fuoco sulla striscia. A ciò si è aggiunto il maltempo che ha contribuito ad allagare almeno 1500 tende con circa 30 cm di acqua, e molti altri neonati sono morti di freddo. Avvicinandoci al giorno dell’epifania sono stati uccisi altri 88 palestinesi, colpiti un centinaio di obiettivi, mentre nel Nord di Gaza non ci sono più ospedali operativi. La guerra proseguita in Siria ha determinato un centinaio di morti tra combattenti turchi e curdi, monitorati dall’Osservatorio sui diritti umani. Una volta accreditata la giustificazione di colpire Hamas, Israele continua nell’usuale indifferenza per la mancanza di riparo, nutrizione, assistenza sanitaria dei civili, soggetti a un assedio quasi totale da circa 2 mesi, causa della morte di 17.000 minori, per quanto se ne sa.

Dopo aver rammentato questi numeri e situazioni, dobbiamo renderci conto della progressiva divergenza tra una realtà “umana” appena percepita dalla popolazione italiana, e non solo, e la narrazione degli interessi istituzionalizzati, tesa a deviarla, nasconderla, manipolarla e contemporaneamente costruire al suo posto sentimenti o di rigetto insensibile o di fiduciosa credulità privata di pensiero. I mezzi governativi con la loro propaganda creano così da sempre la cosiddetta opinione pubblica, servendosi dei “piccoli delitti di disonestà o forse solo di disonesto silenzio”[1] dei loro rinnovabili lacchè. Il tema dell’immigrazione, ormai strutturale e legato anch’esso alle guerre di varia natura, è infatti l’utile esasperata presentazione emergenziale, volta a catalizzare in direzione opposta l’attenzione degli impoveriti, distratti così dalla realtà concreta dello sfruttamento. La subordinazione comune all’esazione dei profitti, nell’opportuna differenziazione dei pesi ripartiti, coordina infatti la divisione della classe internazionale dipendente, sempre più ricattata dalla oggettiva plurima minaccia di morte.

In altri termini, siamo di fronte al progresso di una civiltà di classe militarizzata che impone subalternità e impoverimento a senso unico, poggiando sull’impunità assicurata tra i grandi poteri collusi, e non più sul consenso delle popolazioni praticamente in ostaggio e passivizzate. L’imbarbarimento che ne deriva rende sempre più insulso il momentaneo vincitore e sparge rancore o sentimenti malsani nei vinti, pregiudicando un futuro che presumibilmente sarà intriso di violenza anch’esso.

Il “restiamo umani” – appello indimenticabile - di Vittorio Arrigoni, attivista, giornalista e scrittore pacifista ucciso proprio nella striscia di Gaza nel 2011, ha però una valenza duplice e come tale va oggi ripreso e arricchito concettualmente. Il termine “umano” si basa sul greco àntropo (?νϑρωπος), che risulta portatore di un significato legato a chi tendenzialmente è teso a scendere, quasi per una legge di gravità, o a salire più in alto degli angeli. Dove collocare la responsabilità della indispensabile scelta? Come facilmente si può evincere, l’umano consta di due direzioni opposte, ambedue reali e ampiamente storicizzate, ma la cui antitesi tuttora presente mostra la non univoca lettura benevola di questa umanità da invocare o conservare.

Chi infatti considera individualmente le scelte possibili non coglie che l’umano coincide con la società che lo produce, è dunque un prodotto storico legato “al che cosa e al come si produce”, essendo il lavoro una libera attività creatrice anche dell’identità umana. Se però questo lavoro diviene una proprietà alienabile, come nel nostro presente capitalistico, “l’umano può diventare il bestiale e il bestiale l’umano[2]. Lo storpiamento dell’umano nella civiltà attuale, relegato nelle diverse stratificazioni delle classi lavoratrici, legittima allora nel disprezzo dominante l’inferiorizzazione dell’altro - quale componente essenziale del conflitto di classe - travisandolo nella diversità etnica, razziale, linguistica, religiosa, ecc., tutti sinonimi ideologici privi di fondamento, non di potere. Si va cioè a determinare una sorta di specismo di classe che riesce a creare un abisso incolmabile - una “valle perturbante” come suggerisce una terminologia proveniente dalla compresenza umana e robotica (Uncanny Valley, ipotesi presentata da Masahiro Mori) - in cui la differenziazione dall’umano è saldamente interiorizzata, e agente sul piano comportamentale a difesa della convinzione acquisita come vera e reale.

A riprova di ciò è utile riportare la sintesi della dichiarazione di Gideon Levy, giornalista israeliano per il quotidiano Haaretz, alla Ismael Lobby, Responsability Actions and Solutions. Il tema posto riguardava: “Come fanno a vivere serenamente gli israeliani con le ingiustizie perpetrate contro i palestinesi?”

La società israeliana – risponde Levy - si è circondata di muri fisici e mentali. I principi su cui si basa sono 3: a) siamo un popolo eletto e quindi abbiamo diritto a fare tutto ciò che si vuole (concetto espresso per la prima volta da Golda Meir); b) siamo degli occupanti che si presentano come vittime, ovviamente in seguito all’olocausto nazista. Popolo vittima e manipolatore. Il governo poi ha chiesto a tutti gli ebrei del mondo di venire in Israele, che è il posto più sicuro del mondo, e poi c’è una bomba iraniana che incombe, contraddicendo questo proposito come chiaramente suicida; 3) il più importante criterio però, per cui viviamo serenamente, riguarda la de-umanizzazione sistematica dei palestinesi, perché se non sono pari a noi come esseri umani allora non c’è più diritto umano da rispettare. Una volta ho scritto che trattiamo i palestinesi come animali e abbiamo ricevuto giustamente la protesta delle organizzazioni animaliste. Nessuno si pone per un momento, per un giorno, il problema se si fosse noi al posto dei palestinesi. Su questo abbiamo due conferme problematiche: 1) in una intervista a Ehud Barak (segretario del partito laburista, generale, ex primo ministro israeliano) ho chiesto cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese e la risposta è stata che sarebbe entrato in una organizzazione terroristica. 2) nella città di Jenin (Cisgiordania, Palestina), in attesa di passare al check point mentre i soldati giocavano a backgammon, stava aspettando anche un’autoambulanza costretta per prassi ad attendere per un’ora. Alla domanda se il paziente dell’ambulanza fosse stato il padre di uno dei soldati là presenti, questi hanno puntato le armi contro di me e perso ogni controllo.

Stiamo perdendo i valori dell’umanità. Ho sentito parlare della gente dei valori ebraici, non so cosa siano i valori ebraici, ma so cosa siano i valori dell’umanità, i valori universali!

La coraggiosa dichiarazione pubblica di Levy ha toccato l’universalità che nella nostra cultura Dante ha espresso, collocando proprio nell’inferno i deformatori della natura umana nel tempo trascorso sulla terra, costretti poi in una continua disumana deformazione delle loro sembianze nella loro miseria eterna. Ma è precisamente questa cultura che va scardinata per conquistare il potere di distruggere ogni ostacolo all’egemonia dei profitti. Il sistema di capitale nei suoi agenti più potenti è incompatibile con uno sviluppo di convivenza egualitaria e pacifica delle popolazioni mondiali. La sua impossibilità di realizzare un diritto universale dà luogo al diritto arbitrario, l’unico capace di esistere. Se le masse devono credere ad una volontà forte che rappresenti la loro, mancante, ma in cui si possano identificare, prontamente spunta la personalità forte cui diviene lecito eludere ogni altro diritto ed essere violenta, sfruttatrice, corrotta, criminale. Ecco dunque quella che saprà infondere “profondo odio impersonale…sangue freddo omicida con buona coscienza…ardore generale nella distruzione organizzata…superba indifferenza verso grandi perdite…”[3], quella cioè che permetterà a tutti di riconoscere i nostri guerrafondai internazionali al servizio del potere della proprietà privata, finché possibile.

Il rimpasto continuo dei “Nuovi Ordini” o il disordine organizzato da imporre e impartire, è la spasmodica ricerca di eliminare le contraddizioni intrinseche al sistema, la cui intramontabile permanenza richiede sacrifici umani senza orizzonti di tregue. A tal fine l’inganno e le menzogne sono funzionali a perpetuare un consenso coatto o almeno l’inazione di chi comprende ma rimane impotente o indifferente, incurante del non-detto, ovvero assuefatto a far rifornire di armi guerre di cui non si discutono più responsabilità e obiettivi.

Se inoltre volessimo poi affrontare da un punto di vista scientifico il costituirsi della nostra umanità dovremmo chiederci innanzitutto: “umani da quando?”[4] Siamo giunti solo ora a sapere che l’umanità dispone di un solo genoma e tante sfumature di natura quantitativa. Da solo 2 milioni e 200 anni fa possiamo risalire alla comparsa dell’homo abilis, solo successivamente conosceremo il sapiens e solo dal 2003 abbiamo imparato a leggere tutto il DNA, ma non ancora come interagiscono i geni tra loro, mentre sappiamo che su questi agisce la cultura (su cui il dottor Goebbels metteva mano alla pistola solo a sentirla nominare). Ciò significa che l’uomo ha in sé il fare sé stesso. Le divisioni in classi ne limitano quindi la direzionalità delle azioni e le potenzialità di sviluppo per il contrasto oggettivo, materiale dei fini storici posti.

Le differenze linguistiche segnano anche confini territoriali, e di qui si sconfina nell’abuso di gerarchie che diffondono l’ideologia del sangue trasferita nell’invenzione della razza, su cui inchiodare la supremazia sociale come disegno di natura. Non c’è nemmeno da prendere in considerazione poi la “sostituzione etnica” di un’ipotetica, fantasiosa “razza italica”, dato che i cosiddetti gruppi etnici sono tutti diversi tra loro perché formati da processi storico-sociali e non biologici, dai quali è rilevabile poi un 75% circa identico in tutti. Si creano così falsi miti per classificare gli sconosciuti, per identificare con linee arbitrarie migrazioni umane politicamente scomode su cui far ricadere pregiudizi, con tanto di fabbricazione di dati scientifici o peggio giuridici legati a politiche sociali, in particolare emersi sin dall’esaltazione del nazionalismo novecentesco ma sempre buoni al loro riuso.

Il “restiamo umani” di Arrigoni era la sintesi implicita di solidarietà, condivisione, ascolto, rispetto, riconoscimento, interesse e amore per l’altro, per diverso che fosse, nell’ascesa già compiuta della identità di classe in cui si riconosceva la sua scelta personale verso l’alto. Ma per tutti quelli che non hanno effettuato questo percorso o proprio non l’hanno neppure intravisto, ignari o attratti solo dalla legge di gravità di cui sopra, non possiamo che continuare a mostrare che l’umano è proprio la responsabilità cosciente verso tutti, la scelta umana necessaria, la sola capace di lottare contro la prevaricazione. E questa lotta è anche la condizione della nostra specie per continuare a costruire sé stessa, nella conquista di un’autonomia dal dominio della forza bruta e riconoscersi in un processo tendente all’eguaglianza sostanziale di ogni popolazione, con l’apporto delle differenze che favoriscono la convivenza civile.

Nell’universalità che ci appartiene e che niente potrà mai strappare alla nostra cultura finché la difendiamo, “diventiamo umani” allora!

[1] F. Nietzsche, Umano, troppo umano, Adelphi, Milano 2006, pp. 247.

[2] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici 1844.

[3] Ib. P.265.

[4] Le informazioni biologiche sono tratte da studi di Guido Barbujani, professore ordinario di genetica all’Università di Ferrara dal 1996.

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