Filantropia o neo-colonialismo da Covid: il caso Uganda

di Marinella Correggia

Uganda. Popolazione totale: quasi 46 milioni. Decessi ufficiali Covid-19 dall’inizio della crisi a oggi: 3.269. Una mortalità per milione di abitanti un po’ più elevata di quella di diversi altri paesi africani, ma comunque assai bassa a livello planetario, e bassa anche a confronto con altre patologie prevenibili che uccidono nel paese.

Lo scorso giugno, come altri paesi africani, l’Autorità ugandese del farmaco approvava un trattamento anti-Covid a base di piante, Covidex, spiegando che la formula del prodotto si basa su erbe tradizionalmente usate per alleviare sintomi di diverse infezioni virali e che a questo si riferiva l’autorizzazione, rilasciata dopo valutazione scientifica.

Naturalmente, l’Organizzazione mondiale della sanità alzava un veemente sopracciglio, esprimendo l’abituale preoccupazione di fronte a questo genere di terapie (come, del resto, per le cure antimalariche a base di artemisia). “Molte piante e sostanze sono proposte senza i minimi requisiti di qualità, sicurezza ed efficacia” ammoniva la sezione locale dell’organizzazione onusiana.

Silenzio e boicottaggio circondano le cure anti-Covid naturali, tempestive e accessibili a tutti, dispiegate in diversi paesi africani. Peccato. Perché insieme a diversi altri fattori, evidentemente tutti assenti in Europa, il trend Covid in quei paesi è ben diverso e ci sarebbe materia di studio, anziché voler imporre là una vaccinazione a tappeto, inutile o magari dannosa per i destinatari anche se permetterebbe, certo, di smaltire eccedenze vaccinali.

Comunque in Uganda il trend dei decessi – e, per quello che può valere, dei casi di positività al Sars-CoV-2 – continua a essere tranquillizzante, vicino alla linea piatta; i casi attivi in ospedale 64.

“Eppure” (le virgolette sono d’obbligo: forse questo avverbio non è adatto al contesto) solo il 2,8% della popolazione ha avuto due dosi di siero (e il 14% una dose).

Ma niente paura: il governo ugandese, molto ligio, si dà un gran da fare per ottenere dosi e gli Stati uniti generosamente donano milioni di dosi di Pfizer.

Pazienza se la conservazione richiede temperature polari :“Il flaconcino Pfizer congelato, ha una validità di 6 mesi a una temperatura compresa tra -90°C e -60°C” e poi “durante il periodo di validità di 6 mesi i flaconcini chiusi possono essere conservati e trasportati a una temperatura compresa tra -25°C e -15°C per un unico periodo di tempo della durata massima di 2 settimane e possono essere nuovamente riportati a una temperatura compresa tra -90°C e -60°C”. Ma bontà loro, hanno portato la durata possibile dello scongelamento (con conservazione a soli 2-8°) da 5 a 31 giorni.

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