di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Da sempre sosteniamo – certamente non da soli - la tesi che uno dei cardini fondamentali della superpotenza americana è la borsa di Wall Street. Gli enormi squilibri commerciali in essere a partire dal 1971 vengono “sanati” grazie alle immissioni di dollari fatte dai paesi che nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti presentano un avanzo strutturale. Questo sistema sostanzialmente nacque con l'istituzione del meccanismo instaurato da Stati Uniti e Arabia Saudita e noto con il nome di Petrodollaro che si sostanzia nell'obbligo da parte di Ryad di vendere il proprio petrolio in dollari e di reinvestire il surplus di valuta americana nella stessa Wall Street; in cambio Washington si impegnava a garantire protezione diplomatica e militare al trono della famiglia Saud.
Il meccanismo si è rivelato talmente efficace che piano piano è stato allargato a tutto il mondo, così da spingere grandi economisti (Marcello De Cecco in primis) a definire gli Stati Uniti come i “compratori di ultima istanza”, nel senso che, alla fine, tutto il surplus di merci prodotte veniva, in qualche modo, assorbita dal mercato americano; naturalmente alla tacita condizione che i paesi venditori reinvestissero i dollari in surplus ottenuti dagli USA nella stessa Wall Street. Insomma, si passò dal sistema del petrodollaro a quello dell' Every Things Dollars, ogni cosa in dollari.
Un sistema che da un lato spingeva gli statunitensi verso un consumismo sfrenato e che dall'altro spingeva verso una finanziarizzazione molto forte. A cosa sarebbe potuto servire produrre beni con il lavoro quando puoi ottenere gli stessi beni stampando dollari e soprattutto si possono ottenere i guadagni necessari ad alimentare i consumi investendo i propri risparmi a Wall Street che viene alimentata copiosamente dai capitali in dollari dei tuoi stessi fornitori di beni?
Un meccanismo che – come si può intuire – dà la percezione di vivere nel paese di Bengodi, ad una condizione naturalmente; quella di avere capitali/risparmi da investire nella grande fabbrica di dollari sintetici che è diventata Wall Street: Wally, la più grande bisca a cielo aperto della storia e per giunta completamente legale! Nel caso in cui invece si sia dall'altra parte della barricata le cose cambiano: se non si hanno capitali da investire a Wall Street si finisce inevitabilmente nelle schiere dei dannati del sistema; i warking poor, i lavoratori poveri. Ovvero quella schiera – diventata sempre più numerosa – di cittadini americani che non sono in grado di sostenere una spesa imprevista di 1000 dollari e che secondo la CBS ha quasi raggiunto il 60% della popolazione.
Come si può intuire un'enorme problema sociale al quale però se ne aggiunge anche un altro: la politica e la Federal Reserve devono continuamente trovare un motivo affinché Wall Street possa crescere. Una borsa non può crescere arbitrariamente senza un motivo economicamente valido, altrimenti appare chiaro che il sistema economico è precipitato in una sorta di nichilismo finanziario dove i corsi di borsa crescono semplicemente perchè non possono fare altro che quello dato l'afflusso di capitali. Una situazione per la quale se gli investitori prendessero coscienza porterebbe inevitabilmente ad un crack! Per Bacco, i sacri dogmi dell'economia neoliberista vanno rispettati, Wall Street mica cresce perchè è diventata una bisca a cielo aperto, ma perchè le aspettative razionali prevedono questo in relazione ai profitti futuri dovuti alle nuove società quotate in borsa. E' così che nasce la spasmodica ricerca di nuove opportunità di business da quotare a Wall Street; poi al resto ci pensa la grancassa della stampa mainstream. Così si gonfiano le cosiddette bolle finanziarie.
A cavallo tra gli anni 90 e l'inizio secolo abbiamo avuto la cosiddetta bolla di internet dove furono quotate anche caterve di aziende che non avevano manco un modello di business credibile, altro che utili! Bolla che esplose miseramente. Poi si passò al delirio dei mutui subprime, che alimentarono la bolla immobiliare e la relativa bolla finanziaria fatta di titoli cartolarizzati che avevano in pancia i mutui subprime sostanzialmente insolventi. Anche questa bolla esplose facendo colare a picco, non solo la schiera dei piccoli proprietari di casa rimasti sulla strada, ma anche le grandi istituzioni finanziarie oberate di titoli che valevano meno dei coriandoli di Carnevale. Un immane disastro dal quale l'economia occidentale non si è più ripresa nonostante il tentativo prima di pompare la bolla del Green e ora la bolla tecnologica delle aziende High-Tech, meglio se incentrate sull'Intelligenza Artificiale.
La bolla del Green, in fase di gonfiaggio, sappiamo bene che è stata stoppata anche a causa dell'ostilità di Trump che ha sovente criticato la teoria del riscaldamento climatico che è la base pseudo scientifica sulla quale si basa. Ma anche in relazione alla nuova bolla High-Tech fondata sull'Intelligenza Artificiale qualcosa non sta andando per il verso giusto.
Il fantasmagorico progetto americano da 500 miliardi denominato Stargate, che doveva consegnare agli USA la supremazia mondiale nell'Intelligenza Artificiale e che, soprattutto, avrebbe consentito - con il tempo - di quotare molte società del settore a Wall Street, gonfiando l'ennesima provvidenziale bolla, è sostanzialmente andato in fumo a causa dell'offensiva cinese in questo settore; prima con le Intelligenze artificiali super performanti, a basso costo e open source divulgate dalla cinese DeepSeek e proprio in questi giorni con l'Agent AI Manus presentato dagli sviluppatori cinesi secondo i quali verrebbero superate anche le prestazioni delle AI di DeepSeek. Un doppio scacco quello realizzato dalla Cina che toglie la palma della superiorità tecnologica americana e che, soprattutto, mette a repentaglio il modello di business che volevano imporre gli americani, fondato su abbonamenti per gli utenti interessati ad usare le AI con caratteristiche premium.
Se a questo smacco aggiungiamo il rischio guerra commerciale tra Stati Uniti e resto del mondo e il rischio di flessione della domanda aggregata statunitense dovuta anche ai tagli draconiani alla spesa pubblica che sta facendo Elon Musk con il suo DOGE ecco che lo spettro recessione per l'economia americana diventa tangibile e concreto, tanto è vero che anche Trump ha parlato apertamente. Troppo anche per Wall Street che alla fine della giornata di ieri vede l'indice Dow Jones flettere del 2,08%, mentre l'indice tecnologico Nasdaq crolla di ben il 4% bruciando mille miliardi di dollari di capitalizzazione.
A mio modo di vedere siamo in una situazione che è molto di più che un combinato di circostanze che ha generato un semplice scivolone di borsa. Siamo di fronte per gli USA ad un vero e proprio cambio di paradigma che è fatto di guerre commerciali con relativa fine della globalizzazione, fine della superiorità tecnologica americana a causa della aperta sfida lanciata dalla Cina Popolare, fine dell'epoca di fare deficit spending per il governo americano oberato da un debito pubblico enorme e inoltre messa a rischio del ruolo di Wall Street nella finanza mondiale a causa dell'impossibilità dell'economia USA di dettare la linea al mondo in relazione ai nuovi business.
Una situazione di estrema complessità che dovrebbe spingere tutte le potenze mondiale a sedersi ad un tavolo per istituire una nuova Bretton Wood che rifondi le istituzioni finanziarie internazionali (Banca Mondiale e FMI) ormai inutili o quasi e che stabilisca se si debba continuare con il dollaro (magari svalutato) come moneta di conto internazionale o se è il caso di istituire un altra moneta di conto, magari multipolare, quale per esempio la vecchia idea del Bancor proposta da Keynes nella prima Bretton Woods.
Senza un grande accordo è difficile credere che il vecchio impero possa assistere con le mani in mano alla propria decadenza.
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