Gas russo. Le preoccupazioni dell'Europa stanno diventando realtà


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Per cominciare, due notizie: una più “fresca” e un'altra più “stagionata”, anche se non di molto.

Ieri, il primo ministro slovacco Robert Fico ha riferito che i negoziati con la Commissione europea sul problema delle forniture di gas russo non avranno luogo. Ufficialmente, si sarebbe trattato di problemi “logistici”: mentre si era in volo, ha detto Fico, «siamo stati informati che lo spazio aereo sopra Bruxelles era chiuso per motivi tecnici». Saltava così il programma delle riunioni, non essendo possibile «arrivare in tempo per l'incontro con il capo della Commissione europea e il commissario per l'energia», nel quadro del vertice informale dei capi di stato e di governo UE e della Commissione europea, in cui Fitso intendeva discutere del blocco da parte di Kiev delle forniture di gas russo attraverso il territorio ucraino.

Ora, la notizia meno recente. Lo scorso 9 gennaio il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov aveva dichiarato, in maniera molto generica, ma significativa, che «Ci sono ancora stati europei interessati a ricevere gas naturale russo. Le forniture di questo gas possono rendere più competitiva l'economia di questi paesi».

Tra le due notizie, Sergej Savchuk scrive su RIA Novosti alcune cose abbastanza interessanti. Tre anni dopo l'inizio della rottura delle relazioni commerciali con la Russia, il Ministro tedesco dell'economia, il “verde” Robert Habeck, intervenendo al forum economico organizzato dal quotidiano “Handelsblatt”, ha chiesto ai paesi dell'Eurozona di non rompere la UE, di iniziare a lavorare per i propri interessi e tendere la mano a Trump, senza però «lasciare che questa mano venga tagliata». Anche in questo caso, il tema era quello della crisi energetica europea, dei prezzi energetici insostenibili e della perdita di competitività. A Habeck fa eco Alfred Stern, dell'austriaca OMV, avvertendo che la UE è pericolosamente dipendente dalle forniture di gas naturale liquefatto USA, tre volte più caro del gas russo prima importato per gasdotto.

Ora, si dà il caso che, pressoché in contemporanea, negli Stati Uniti, le tempeste invernali bloccassero quasi del tutto gli impianti elettrici di liquefazione del Freeport LNG, che produce circa il 15% di tutto il GNL USA e dispone di uno dei più grandi impianti di esportazione di GNL al mondo. Allarme degli importatori, così come era accaduto un anno fa, quando navi gasiere americane avevano cominciato a invertire la rotta dall'Europa all'Asia, che prometteva per loro prezzi più appetitosi.

Se il quadro generale è questo, osserva Savchuk, se le forniture americane possono interrompersi da un momento all'altro, i leader dell'Eurozona sono a ragione preoccupati, anche per la massa di restrizioni auto-impostesi e consapevoli dei rischi che vengono ora dalla decisione di Trump di aumentare da settecento a mille miliardi di m3 la produzione di gas naturale, ma consci anche che non tutto l'aumento andrebbe all'esportazione: il consumo interno USA sta crescendo in proporzione. L'Energy Information Administration (EIA) sottolinea che già nel 2023 il consumo interno di gas naturale aveva stabilito un record assoluto, con 906 miliardi di m3, mentre è in costante aumento anche la quota del gas naturale nella produzione di elettricità, con 1,8 miliardi di chilowattora (circa la metà di tutta l'elettricità USA) prodotti nel 2023.

La migrazione di grandi imprese estere in USA, con forti agevolazioni fiscali ed elettricità a basso costo, è dovuta anche a un'energia prodotta proprio da gas naturale, e, nella competizione con la Cina, soprattutto nell'alta tecnologia, l'attrazione in USA di soggetti ad alta qualificazione scientifica e tecnologica diventa un fattore primario. Gli americani devono trovare cinque gigawatt aggiuntivi di capacità per i supercomputer ed è logico aspettarsi un altro record di produzione e consumo interni di gas naturale. A ciò si aggiunge la programmata entrata in funzione di nuove centrali elettriche a gas naturale; se a fine 2023, gli USA disponevano di oltre duemila impianti a gas naturale, con una capacità totale di oltre 500 gigawatt, ora S&P Global Market Intelligence riferisce che nel 2024 erano in costruzione altri centotrenta impianti.

Ricapitolando, osserva Savchuk, gli Stati Uniti hanno da risolvere grossi problemi interni e geopolitici e sono dunque distanti dai problemi di un'Europa che ristagna. Ognuno pensi per sé, dicono a Washington. E a Bruxelles, da quegli imbroglioni che sono, vanno nel panico.

Ma in Europa, per altro verso, c'è da registrare il momento d'oro della Norvegia che, lo scorso anno, ha prodotto 240 milioni di m3 di idrocarburi di tutti i tipi (in petrolio quivalente), con un aumento di quasi il 10%. La Norvegia «non è un paese da record in termini di riserve, coprendo potenzialmente non più del 3% del mercato globale di gas naturale, ma è uno dei quattro maggiori esportatori di gas al mondo, dietro a USA, Russia e Qatar. Nel 2023, la produzione norvegese di “combustibile blu” è stata di 112,8 miliardi di m3, saliti a 124 miliardi a fine 2024, di cui 118 miliardi destinati ai mercati europei. Ma, proprio ora, nelle previsioni del Ministero dell'energia di Oslo, da qui al 2050 la produzione energetica norvegese (petrolio e gas) potrebbe ridursi, come si dice “al lumicino”.

Dunque, constatati i fattori americani e norvegesi, pare che ci siano tutti i presupposti per una ripresa delle forniture russe; almeno, questo è quanto ipotizza Andreas Schroeder, capo del Centro di analisi energetiche del ICIS. E il britannico Telegraph che, citando appunto, i dati del Norwegian Offshore Directorate (NOD), prevede forti diminuzioni nelle forniture di petrolio e gas alla Gran Bretagna, in ragione delle decisioni norvegesi sul calo di produzione: «Il tramonto per la Norvegia è l'alba per la Russia. La richiesta di aprire tubi e porte al gas russo a basso costo crescerà col tempo, quando i prezzi del gas aumenteranno a causa del calo della produzione norvegese. Questo crea i presupposti per una più stretta cooperazione con la Russia e incoraggerà i politici favorevoli alla Russia in paesi come Slovacchia e Ungheria», ha dichiarato Schroeder al Telegraph.

Ricordate dunque, per aspetti apparentemente diversi, le questioni energetiche americane e norvegesi, c'è da dire però che lo scorso 15 gennaio, quando era ancora in carica, il vice Segretario di stato per l'energia Jeffrey Pyatt, dichiarava che gli USA sono favorevoli a una completa rinuncia della UE alle esportazioni di gas russo, nonostante il desiderio di alcuni Paesi di mantenere le forniture. «Slovacchia, Ungheria, Austria: ecco di chi si sta parlando. Credo che la questione riguardi Bruxelles, che intende ridurre a zero le forniture di gas dalla Russia entro il 2027... Gli Stati Uniti sostengono fortemente questo obiettivo», aveva detto l'ex ambasciatore a Kiev che nel 2014, a majdan Nezaležnosti, distribuiva biscotti insieme alla famigerata Victoria Nuland, intervenendo appena due settimane fa a una iniziativa del pericoloso Atlantic Council.

E oggi?

Oggi, ecco che anche il Financial Times scrive che qualcuno (pochi, per ora, per la verità), alla UE starebbe dibattendo la possibilità di tornare alle forniture di gas russo, non appena si giungerà a una regolazione del conflitto in Ucraina. Al momento, scrive il quotidiano britannico, l'unica via di transito che porta il gas russo in Europa è costituita dal “Turkish stream” e il prezzo del prodotto è di tre-quattro volte più alto di quello in vigore in USA.

E non solo in USA, si potrebbe aggiungere, come ognuno, anche in Italia, ha ormai potuto personalmente constatare sulle proprie tasche, “ringraziando” - tra un accidente e l'altro all'indirizzo dei nostrani “super-economisti” e dei loro tirapiedi demo-fascio-liberali - gli effetti delle sanzioni UE imposte da Bruxelles a Mosca.

Secondo il Financial Times, i fautori del ritorno delle esportazioni russe sostengono che la mossa abbasserebbe i prezzi dell'energia nella UE e spingerebbe la Russia a sedere al tavolo dei negoziati: «in fin dei conti, tutti vogliono che i costi dell'energia siano più bassi», avrebbe dichiarato a FT un alto funzionario UE, forse spinto a parlare così, ci permettiamo di notare, ora che qualche azienda europea, in particolare tedesca, si ritrova con il cappio al collo sempre più stretto, grazie alle scelte passate – non è escluso – anche di quello stesso funzionario.

Non a caso, altre fonti del FT hanno osservato che l'idea è nata, per l'appunto, da alcuni funzionari tedeschi e ungheresi ed è stata sostenuta da alcune capitali europee. Questo, da un lato. Dall'altro, l'iniziativa, o anche la sola idea della “iniziativa”, avrebbe mandato su tutte le furie, manco a dirlo, «i diplomatici di alcuni paesi dell'Europa orientale»: tanto per cambiare, polacchi e baltici, gli stessi che, sul piano “politico e ideologico” (se la questione non facesse vomitare, verrebbe da ridere, a definire “politiche” e “ideologiche” farneticazioni simili) hanno lanciato l'ennesima “delibera” con cui si intenderebbe “vietare” simboli nazisti e comunisti. Polacchi e baltici, da sempre impegnati in una fobia anti-russa “degna” d'altre epoche, quando, per dire, ancora nel 1939, le forze armate polacche erano completamente orientate per la guerra a oriente e anche oggi, pur con un probabile ricambio presidenziale, Varsavia brama continuare a essere una piazzaforte yankee nella contrapposizione a Mosca.

Così che non c'è da stupirsi se qualcuno di quegli eredi dei Komplizen filonazisti che oggi siedono a Bruxelles, alla sola idea di tornare alle forniture di gas russo avrebbe sbottato che «È una follia. Quanto possiamo essere stupidi, anche solo a pensare a una simile opzione?».

“IVS”: viene da ripetere a squarciagola all'indirizzo di baltici, polacchi (e non pochi altri euro-atlantisti), facendo nostro l'esempio di Vladislav Šurygin, che ne parlava a proposito di altri temi, quantunque molto strettamente legati.

Anche altri alti papaveri di Bruxelles sarebbero “furiosi” all'idea tedesco-ungherese, dopo aver tanto “faticato” negli ultimi tre anni, eseguendo a capo chino gli ordini di Washington, a ridurre il volume delle importazioni di energia russa in Europa, per portare a zero - ci hanno raccontato - i «profitti di guerra» di Mosca. E ora? Ora se la devono vedere anche con “l'ira funesta” degli esportatori di gas USA, che cercano di «concludere accordi a lungo termine con le compagnie europee e non intendono affatto cedere alla eventuale ripresa del transito ucraino, che potrebbe rendere i loro prodotti non competitivi», scrive il Financial Times, che aggiunge che il rinnovo delle esportazioni di gas verso l'Europa aumenterebbe di nuovo, non di poco, le entrate della Russia.

Certo che le aumenterebbe. Ma, viene da chiedere a quei signori se facciano così apertamente finta di non sapere che Mosca, ormai da tempo, ha in gran parte già compensato quelle riduzioni di export, con quasi altrettante verso Cina, India e altri paesi “non canaglia”. Secondo Bloomberg, inoltre, la Russia ha preso a utilizzare canali alternativi di pagamento attraverso paesi terzi, con il risultato che i costi di pagamento sono aumentati, ma il volume del commercio estero è rimasto invariato.

E Bloomberg sottolinea anche che, dopo l'introduzione delle prime sanzioni anti-russe, Pechino è diventato il principale partner commerciale di Mosca. Sono bbbbravi a Bruxelles!

Comunque, nota ancora il FT, prima del 2022 la Russia rappresentava circa il 40% delle forniture totali di gas ai paesi UE; la quota è scesa al 10% nel 2024 e si è ulteriormente dimezzata quest'anno. E però, ora, i nodi vengono al pettine: «la difficile situazione dell'industria UE ha aumentato il bisogno dei paesi europei di fonti energetiche più economiche, mentre oggi il costo del gas in Europa è in genere tre o quattro volte superiore a quello degli Stati Uniti».

Maledetti! Ora ne parlate! Certo, come sempre, al primo posto gli interessi dei monopoli; chissenefrega se le famiglie operaie finiscono i salari solo per scaldarsi, risparmiando fino all'osso su alimenti e salute!

Alla fine, con tutta la prosopopea mercenaria e guerrafondaia di una Ursula von der Leyen, con le farneticazioni à la Kaja Kallas, à la Andrius Kubilius, à la Valdis Dombrovskis e, perché no, anche Radoslaw Sikorski, per non lasciar fuori, anche in quest'occasione, né polacchi né baltici, ecco che qualcuno si incarica di avvertire la UE di aver perso i comandi e andare alla deriva. Lo ha detto il il colonnello USA Lawrence Wilkerson sul canale Dialogue Works.

«Abbiamo un ex amministratore delegato di BlackRock», ha dichiarato Wilkerson, che «probabilmente diventerà il nuovo cancelliere della Germania. Questo è semplicemente impossibile, visto quello che sta succedendo in Europa e in Germania. Ho ascoltato l'economista che probabilmente diventerà ministro dell'Economia: è completamente distaccato dal popolo tedesco. Guardate la Francia. Il Ministro degli esteri dirà al primo ministro della Groenlandia, o a chiunque altro, che lo proteggerà se Trump attacca. Da un lato lo si sostiene in Ucraina e dall'altro si va in Groenlandia o in Danimarca... È una follia... Qualcuno mi ha detto “stiamo tornando alla vecchia Europa”, e io ho risposto “Sembra proprio di sì”. Un'Europa che litiga di continuo, con guerre meschine, disaccordi, nessuna unità. La UE sta cadendo a pezzi, Bruxelles sembra aver perso la rotta», ha detto Wilkerson.

Ma, in fin dei conti, l'hanno voluto proprio loro, stesi sullo zerbino della Casa Bianca, anche se siamo noi, operai, lavoratori, pensionati, malati bisognosi di cure prestate solo a pagamento e troppo tardi, a pagarne le conseguenze, ogni giorno e ogni ora, mentre loro, raddoppiando le spese di guerra e portandole al 5% del PIL, finanziano e armano una junta golpista e neonazista che continua ad assassinare a sangue freddo civili russi, come le 22 persone uccise nell'autunno 2024 a Russkoe Porechnoe, nella regione di Kursk, solo per citare i penultimi crimini (appena due settimane fa, erano stati rinvenuti i cadaveri di tre anziani, le mani legate, torturati e finiti con bombe a mano in uno scantinato dello stesso villaggio) mentre loro, sempre loro, si accapigliano su chi meglio riesca a gozzovigliare sulla pelle e sul sangue dello stesso martoriato popolo ucraino.

Sempre loro, predoni e carnefici dei popoli e stupidi esecutori di crimini e frodi. Tocca insomma ripetere, per dirla un'ennesima volta col grande Mao, che tutti i reazionari sono degli stupidi: sollevano una pietra per lasciarsela cadere sui piedi. Ma, pare si debba precisare che, prima di essere stupidi, sono, appunto, reazionari: affamatori delle masse e assassini convinti sulla pelle dei lavoratori.

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