Gaza: le roboanti minacce di Trump e le trattative con Hamas

07 Marzo 2025 12:00 Piccole Note


PICCOLE NOTE

Nuova esternazione di Trump su Gaza, nuovo allarme. Sostanzialmente ha minacciato l’intera popolazione di Gaza, che periranno se non saranno rilasciati gli ostaggi, aggiungendo che l’America sta fornendo a Israele il necessario per “finire il lavoro”, cioè portare a compimento il genocidio.


Di esternazioni e impensabili contatti

Esternazioni che sembrano fare del presidente Usa un convinto sostenitore del genocidio palestinese, supportato dalla precedente amministrazione Usa e da tutti i Paesi europei che oggi si scagliano contro i malvagi russi. Minacce che si sono intrecciate con le dichiarazioni del portavoce dal Consiglio di Sicurezza nazionale Usa, secondo il quale Trump non avrebbe accolto il piano egiziano per la Striscia, rimanendo fedele alla sua “Riviera di Gaza“.

Fin qui le cattive notizie, soprattutto per i derelitti palestinesi, ma che stridono palesemente con la notizia che vede gli americani avviare delle trattative dirette con Hamas, iniziativa che, come spiega Middle East eye (MEE), era stata evitata finora dagli Stati Uniti perché significa trattare con una milizia identificata come terrorista.

Contraddizioni che appartengono al modus operandi di Trump, ma che toccano il parossismo quando si tratta di Medio oriente, dal momento che egli deve fare i conti con le pressioni dei falchi pro-israele che lo sostengono, che si sommano a quelle della leadership israeliana. Pressioni che agiscono in combinato disposto e che non può sfidare impunemente.

Così, per evitare che la notizia di una trattativa diretta con Hamas innescasse una levata di scudi – gli Usa che trattano con i terroristi del 7 ottobre… – Trump si è lanciato in un’intemerata che superava a destra anche Netanyahu.

Piccolo particolare aggiuntivo, che fa comprendere la portata dello strappo dell’amministrazione Trump: l’America ha tenuto nascosto a Tel Aviv la sua intenzione di trattare con Hamas, tanto che questa ne è venuta a conoscenza da altre fonti (Haaretz).

Anche questa è una novità: in precedenza gli Stati Uniti avevano sempre comunicato preventivamente a Israele le loro mosse sullo scacchiere mediorientale. Si può immaginare l’irritazione di Netanyahu e dei suoi falchi, come si intuisce da un accenno del citato articolo di MEE.

Così veniamo al futuro di Gaza. Ad oggi tutto è bloccato: dopo il rifiuto di Hamas di estendere la fase uno della tregua proposta da Israele per evitare di iniziare la fase due, cioè di trattare sulla pace duratura, Tel Aviv ha bloccato tutti gli aiuti alla Striscia, condannando due milioni di persone alla fame e agli stenti. E affila le lame per una nuova ondata distruttiva.

Per questo ha rifiutato di adempiere agli accordi presi con Hamas, che per domenica prevedevano il passaggio alla fase due. E per questo ha rigettato subito, senza neanche visionarlo, il piano proposto dall’Egitto, sostenuto dalla Lega araba, di alcuni giorni fa. Così Haaretz: “Per Netanyahu, qualsiasi piano che offra una fine alla guerra a Gaza è inaccettabile perché accelererebbe il crollo della sua coalizione di governo. I fanatici partner della sua coalizione sognano di riprendere la guerra, espellere i palestinesi e costruire insediamenti ebraici a Gaza”.

Sul niet israeliano e quello apparente degli Usa

Tale rigetto, come accennato, è stato subito avallato, apparentemente, dagli Stati Uniti attraverso il portavoce dal Consiglio per la sicurezza nazionale. Ma la smentita Usa appare relativa. Infatti, come annota MEE, “secondo gli analisti, i governanti dei Paesi arabi ignorano le dichiarazioni dei portavoce e dei diplomatici, dando peso piuttosto alle dichiarazioni dirette di una piccola e affiatata cerchia di consiglieri di Trump, come l’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff, e del presidente stesso”.

Concetto ribadito da un alto diplomatico arabo interpellato da Amir Tibon per Haaretz, il quale ha spiegato che il niet di Washington è stato frustrante, ma “non deve essere visto come il punto di arrivo degli sforzi dei paesi arabi. ‘Ci sarà una lunga negoziazione sulla questione. Siamo solo all’inizio del processo'”.

Peraltro va annotato, come accennava MEE, che i Paesi arabi hanno accolto con un sospiro di sollievo il discorso al Congresso di Trump, perché in esso non aveva fatto cenno alla Striscia, ma soprattutto aveva evitato di ribadire il suo piano sulla “Riviera di Gaza”. E si dicono fiduciosi del fatto che alla fine egli accoglierà le loro proposte, che non prevedono lo sfollamento dei palestinesi.

Sempre MEE rivela però una criticità del piano egiziano, che avrebbe motivato il primo rifiuto. Sebbene sia alquanto dettagliato sulla ricostruzione di Gaza e sul governo tecnico di transizione che dovrebbe gestire la Striscia, nulla dice di Hamas. Così il media arabo: “per essere onesti, nella proposta della Lega Araba non c’è nulla di specifico su Hamas”. E il futuro di Hamas è nodo cruciale.

Il punto è che nessun Paese arabo può proporre in maniera assertiva ad Hamas di non partecipare al governo futuro della Striscia o di disarmare, né altro di simile. Ormai per le masse arabe Hamas è un simbolo irrinunciabile della Palestina. La sua resilienza è raccontata con enfasi dai media arabi in parallelo alle immani sofferenze dei palestinesi.

Così hanno lasciato agli Stati Uniti il compito di trattare con Hamas la questione, che sembra appunto quel che sta accadendo. Il Jerusalem Post, infatti, rilancia una notizia Reuters in cui si spiega che “mercoledì sera si sono svolti colloqui tra l’inviato del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, i leader di Hamas e i mediatori di Egitto e Qatar […]”.

Sulle trattative Usa-Hamas

“Secondo alcune fonti, durante i colloqui tra Stati Uniti ed Egitto si è discusso della gestione di Gaza dopo la fine della guerra, compresi i nomi di coloro che avrebbero gestito la Striscia. Le fonti affermano che i colloqui si sono conclusi positivamente e indicano una transizione imminente verso una seconda fase dell’accordo sul cessate il fuoco“.

Un cenno sulle richieste americane si può rinvenire anche nel minaccioso messaggio di Trump, nel quale si legge: “Per la leadership [di Hamas] è arrivato il momento di lasciare Gaza”. Con un simile esilio si chiuse la lunga guerra libanese. E questa sarà una linea rossa per gli Usa, mentre il messaggio nulla dice sul disarmo di Hamas e sul suo ruolo futuro: le trattative sono in corso.

Un’opzione da tempo in discussione, rifiutata ovviamente da Netanyahu (ma tant’è), è che la Striscia sia guidata dall’Autorità palestinese. MEE, peraltro, nota che “nello stesso giorno in cui la Lega Araba ha approvato il piano post-bellico per Gaza, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha annunciato un’amnistia generale per i membri del partito politico palestinese Fatah espulsi”. Ciò si deve, spiega MEE, alle pressioni dei Paesi arabi. Allo stesso tempo, Abbas ha annunciato che creerà la carica di vicepresidente, finora assente: un modo per ricomprendere nel governo ambiti palestinesi finora esclusi.

Va ricordato che nel suo discorso al Congresso, Trump si è limitato ad accennare che il Medio oriente è “un’area molto difficile” e che nella regione “si stanno muovendo molte cose”. Cenno significativo anche per Gaza (a proposito, il messaggio minaccioso di Trump inizia con “Shalom Hamas…”, aggiungendo che significa “ciao” o “arrivederci”, ma la traduzione precipua è “pace”).

Partita difficilissima, nella quale si gioca il destino di milioni di persone. Si spera che le manovre sottotraccia per arrivare a una soluzione dell’attuale crisi non vengano bombardate.

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