“Fondamentalmente, la critica degli Alleati è che l’Ucraina non sta andando abbastanza forte”. Così Jonathan Grotefendt in un articolo pubblicato su Antiwar, che aggiunge: “La scorsa settimana i leader occidentali hanno iniziato a esprimere la loro frustrazione per la controffensiva ucraina. Una frustrazione che si fonda sul fatto che l’Ucraina non usa tattiche basate su ‘attacchi combinati’. Ciò significa integrare fanteria, veicoli corazzati e artiglieria”.
Secondo Grotefendt, che dettaglia quanto tali recriminazioni siano diffuse anche sui media, in tal modo gli Alleati chiedono agli ucraini una maggiore aggressività, in poche parole di andare allo sbaraglio, nonostante i costi altissimi in termini di vite umane già pagati da essi dall’inizio della controffensiva (se in tal modo può essere definito un attacco che non va da nessuna parte).
Abbiamo dedicato altre note per spiegare quanto l’attacco ucraino sia velleitario, non certo per colpa dell’esercito di Kiev quanto per colpa dei suoi strateghi, ucraini e Nato.
Ma che fosse un attacco votato al fallimento era ben chiaro agli strateghi di cui sopra. Lo hanno detto alcuni, lo ha scritto anche Daniel Michaels in un articolo di due giorni fa pubblicato addirittura sul Wall Street Journal, che nel sottotitolo recita: “Stati Uniti e Kiev sapevano dei deficit, ma Kiev ha comunque lanciato l’offensiva”.
“Quando l’Ucraina ha lanciato la sua grande controffensiva questa primavera, – scrive Michaels – i funzionari militari occidentali sapevano che Kiev non aveva un addestramento adatto né le armi – dai proiettili agli aerei da guerra – di cui aveva bisogno per mettere in rotta le forze russe. Ma speravano che il coraggio e l’intraprendenza degli ucraini avrebbero avuto la meglio”.
“Non è andata così. Campi minati estesi e mortali, vaste fortificazioni e la potenza aerea russa si sono combinati per sbarrare la strada a possibili conquiste significative da parte dell’esercito ucraino. Invece, la campagna rischia di precipitare in una situazione di stallo con il potenziale di bruciare vite e armamenti senza che si registri un vero cambiamento”.
In realtà, alla leadership di Kiev, che ha comunque le sue terribili responsabilità, non è stata data altra scelta dagli Alleati che quella lanciare le forze ucraine al macello. Il mandato irrevocabile a dare inizio alla missione è giunto inappellabile. Lo avevano detto tanti, lo aveva scritto a chiare lettere anche il Time lo scorso aprile, prima cioè che l’attacco iniziasse.
“L’Ucraina non è pronta per la sua grande offensiva, ma non ha scelta”, spiegava il titolo dell’articolo di Mark Galeotti. “Kiev è costretta a un attacco in primavera o in estate, nonostante abbia bruciato le munizioni così velocemente che l’Occidente non riesce a tenere il passo”.
Quindi quanto si osserva sul campo di battaglia non è altro che la cronaca di un suicidio annunciato. Solo che a morire non sono gli strateghi che l’hanno voluto, ma i ragazzi e gli uomini ucraini che cadono come mosche al fronte.
Mentre le sofferenze dei civili diventano sempre più insostenibili, anche a motivo delle spericolate iniziative di Kiev (anche queste coordinate con le agenzie straniere), che con i suoi attacchi contro obiettivi civili russi, del tutto inutili sul piano bellico, attirano le pesanti ritorsioni di Mosca.
Continua Grotefendt: “Come per la maggior parte delle guerre statunitensi – per procura o dirette – il paese che le subisce viene completamente distrutto. L’economia viene distrutta, l’infrastruttura viene distrutta e, insieme all’enorme quantità di perdite di vite umane, anche lo spirito del paese viene distrutto”.
“Se la storia è una guida, l’Ucraina alla fine svanirà dal ciclo delle notizie per essere abbandonata dall’Occidente. Le bandiere blu e gialle svaniranno dalle immagini dei profili di facebook per essere sostituite con il prossimo soggetto verso il quale i media mainstream alimenteranno la rabbia della gente. Come avvenuto con l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia e lo Yemen, il paese devastato dalla guerra dovrà raccogliere i cocci e seppellire i morti, e starà molto peggio di prima”.
L’unico motivo che al momento frena la macelleria è la consapevolezza, da parte delle menti più lucide dell’Impero, che un attacco alzo zero delle residue forze ucraine potrebbe portare alla sconfitta totale di Kiev. Solo per questo motivo, e non certo per ragioni umanitarie, gli appelli perché Kiev forzi ulteriormente la mano sono rimasti inascoltati. Almeno per ora.
Di interesse, nell’articolo di Grotefendt, anche il cenno sul potere dei media di creare e alimentare la rabbia popolare verso uno Stato, un popolo o una religione. Si pensi agli islamici, e agli arabi in generale, nel corso della guerra al Terrore, oggi sostituiti dai russi. Solo per fare un esempio (domani saranno i cinesi?).
Concludiamo con un’appendice obbligata. Ieri abbiamo dato conto di due tweet di Edward Luttwak nel quale il superfalco USA chiedeva la fine delle ostilità. Si è ripetuto. Questo, infatti, il tweet di oggi: “Sì, se l’Ucraina potesse portare al collasso l’esercito russo, potrebbe chiedere qualsiasi cosa, anche di mandare Putin sotto processo. Per come stanno le cose, l’Ucraina non può sconfiggere l’esercito russo, mentre le forze armate russe possono continuare a distruggere le infrastrutture ucraine. È ora di far finire la guerra”.
Ci sono ancora barlumi di lucidità nell’establishment imperiale. D’altronde lo scacco dell’America e degli Alleati della NATO in questa guerra è palese. E anche alcuni dei falchi, oltre che i realisti, iniziano a prendere consapevolezza che sia giunto il momento di trovare una via di uscita che salvi la faccia all’impero, piuttosto che rischiare l’onta di una possibile disfatta in stile Afghanistan.
Già, perché quello che doveva essere il secondo Afghanistan per la Russia (tale anche la profezia della Clinton), rischia di trasformarsi nel secondo Afghanistan di Biden. E il presidente degli Stati Uniti sa che non potrebbe sopravvivere (politicamente) a un tale uno-due.
di Alessandro BianchiE' autore di War Is a Force That Gives Us Meaning (2002), best seller che è stato finalista dei National Book Critics Circle Award. Ha insegnato giornalismo alle università...
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