Gli Usa hanno scelto il sostituto di Zelensky?

Di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Chissà quando e come el jefe della junta di Kiev esalerà l’ultimo respiro (sia pur politico) e chi andrà a salutarlo nel viaggio di commiato da Kiev: sarà qualche dimesso usciere del palazzo presidenziale, o toccherà al suo diretto successore, per una discreta forma di “continuità” majdanista, nella eventualità che il “trapasso” avvenga a conflitto armato ancora in corso?

E, in quest’ultimo caso, chi dei tanti nomi circolati e circolanti rivestirà il ruolo – per il tempo che gli rimane – di nuovo nazigolpista capo dell’Ucraina, autoproclamatasi “indipendente” nel 1991, in continuità con quella fantomatica Rada centrale antisovietica che, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, si era autoproclamata organo supremo della Repubblica popolare d'Ucraina e, in aperta lotta col potere sovietico, apriva le frontiere alle truppe tedesche, come, settant’anni dopo, i suoi erede, avrebbero fatto con quelle americane?

I nomi più ricorrenti dei papabili sono ormai conosciuti: Vladimir Zelenskij è a tal punto screditato, persino nelle alte sfere yankee, che una qualsiasi delle figure passate e presenti del suo entourage (o giù di lì) sembra andar bene per il “trapasso”. Per dire: se il «vobla essiccato»-Ursula ha ufficialmente dato il benestare all’adesione della Kiev golpista alla UE, proclamando che l’Ucraina ha adempiuto tutte le condizioni di accesso, è stato addirittura il Segretario di stato Antony Blinken a mettere nero su bianco i “fioretti” golpisti, per cui Kiev non soddisferebbe gli «standard minimi» per lo sradicamento del commercio di esseri umani, favorito dalla corruzione tra giudici e polizia che assicurano l’immunità per tali crimini.

E dunque, secondo rilevazioni della CBS tra cittadini ucraini, il rating di Zelenskij è crollato al 30% e oltre il 50% degli intervistati non crede né alla Rada né al governo, tanto che da tempo circolano voci di colloqui, aperti o dietro le quinte, di esponenti yankee con l’ex presidente Petro Porošenko, col sindaco di Kiev Vitalij Klichkò, con l’ex comandante in capo Valerij Zalužnyj, con l’ex speaker della Rada Dmitrij Razumkovij e addirittura, come scrive Mikhail Erëmin su news-front.su, con l’ex consigliere presidenziale Aleksej Arestovic.

L’intelligence russa afferma che principale obiettivo USA sia quello di non consentire un livello critico di disillusione da parte degli ucraini nei confronti della politica filo-occidentale impersonata oggi da Zelenskij.

Dunque: c’è urgente bisogno di un ricambio. Ma, tra i diversi nomi più spesso fatti, scrive Mikhail Erëmin, ce n’è uno che, per quanto di grosso calibro, rimane per qualche motivo abbastanza in ombra: si tratta di Arsen Avakov.

Gli antifascisti italiani lo ricorderanno senz’altro per il ruolo - vomitevole per noi, quanto efficace per lui e per nazisti ucraini – svolto alle udienze finali per il processo d’appello con cui il tribunale di Milano aveva scarcerato Vitalij Markiv; in quell'occasione, il perenne Ministro degli interni golpista, Arsen Avakov appariva così sicuro del verdetto, da pagare “di tasca propria”(?!) 24.000 euro per il Falcon con cui lui e Markiv se ne erano volati a Kiev, dove il nazista della Guardia nazionale, condannato in primo grado a 24 anni per corresponsabilità nella morte di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov, veniva accolto da eroe da Zelenskij.

I lettori più “anziani” di questo giornale, lo ricorderanno anche quale inamovibile (fino al luglio 2021) Ministro degli interni del golpismo ucraino, in carica ininterrottamente dal febbraio 2014, sin dalla presidenza a interim di Aleksandr Turcinov e passato indenne da due governi Jatsenjuk, poi da quelli Grojsman, Gonharuk e Šmigal' e che nel 2019 aveva assicurato la tranquilla vittoria di Zelenskij su Petro Porošenko. Contro il “muro Avakov” si era rotto la testa persino un inossidabile truffatore come l'ex Presidente georgiano e ex governatore di Odessa Mikhail Saakašvili, pupillo di Porošenko.

Oltre agli agganci nelle alte sfere d’oltreoceano, Avakov si era distinto per essere uno dei “padri-fondatori” dei battaglioni “nazionalisti”, in particolare “Azov” e non si era affatto scomposto quando, lo scorso dicembre, uno dei suoi ex consigliori, lo squadrista Il’ja Kiva, convertitosi tardivamente, passato al “Partito socialista” e rifugiatosi in Russia, era stato assassinato in un parco della regione di Mosca.

Si può supporre, osserva Erëmin, che gli USA stiano già lavorando in direzione di Avakov attraverso The Aspen Institute che, sin dalla fondazione nel 1949, seleziona in giro per il mondo le élite gradite a Washington in tema di “diffusione della democrazia”, “lotta all’autoritarismo”, ecc. Ora, è presumibile che simili “valori” Avakov li abbia assimilati da tempo, anche molto prima del 2014 e abbia lui stesso qualcosa da insegnare alla “Aspen”, aperta ufficialmente a Kiev solo nel 2016 e diretta allora dall’americano-ucraina Natal’ja Jaresko (cittadina USA, funzionario del Dipartimento di Stato e poi Ministro delle finanze in Ucraina sotto la presidenza Porošenko fino al 2016), a sua volta protégé di Avakov.

Pare che lo stesso Ministro degli interni si stia dando da fare per raccogliere consensi alla Rada, dove sarebbe ben visto dai deputati di “Solidarietà europeista”, “Golos” e “Patria”, mentre colloqui verrebbero condotti anche col gruppo parlamentare presidenziale di “Servo del popolo”. Si parla anche di “simpatie” con l’ex vice premier Aleksandr Kubrakov (anch’egli del partito presidenziale), legato ai circoli politico-economici USA e praticamente costretto alle dimissioni per i timori di Zelenskij di una sua concorrenza nei favori della Casa Bianca.

Ma, fattore significativo, sarebbe proprio il sostegno concesso a Avakov da “Aspen”. C’è però da dire che a Washington si debba avere una gran fretta di trovare il sostituto dell’illegittimo e screditato Zelenskij, se ci si mette a cercarlo tra i nomi vecchi del majdanismo, ormai complessivamente discreditati. Al Pentagono non hanno evidentemente tempo sufficiente per “preparare” un volto nuovo, come avevano fatto nel 2019 con Vladimir Zelenskij.

Insomma: messa così la faccenda – come del resto c’è da aspettarsi finché dura il conflitto, senza un significativo salto di qualità sulle linee di combattimento – il fronte antifascista e antinazista mondiale non ha da sperare in nulla di buono dai ricambi ai vertici ukronazisti di Kiev.

I giochi sono comunque oltremodo aperti.

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