di Davide Busetto
I fatti delle ultime ore lo confermano: la necessità, da parte di uno Stato, di dotarsi di propri strumenti informatici è essenziale. Mettendo da parte, per il momento, la guerra in corso tra la Casa Bianca e Huawei, è del tutto evidente che, in Occidente, il sostanziale monopolio Google priva di libertà i paesi. Mettiamo caso che la decisione di Donald Trump avesse avuto come destinatario l’Italia. Proviamo ad immaginare la situazione. Da domani Google non funzionerebbe più. Google Maps?
Un ricordo. YouTube (che è di proprietà di Google) spento per sempre. Una qualunque ricerca? Semplice, usate un motore di ricerca non statunitense (facile, no?). Ma Google è solo una parte. Si potrebbe anche citare l’esempio di Facebook che, a sua volta, è proprietario di WhatsApp e di Instagram. Già da queste semplici ipotesi è chiara la necessità di non poter dipendere da un paese che forse, a livello internazionale, è quello che più ignora il diritto.
Detto ciò, è avendo già sottolineato la necessità, da parte di uno Stato, di non essere succube di un altro paese per quello che oggi riteniamo, giustamente, un bene fondamentale quale è l’informazione, sorge naturale chiedersi: che fare? Da una parte è evidente la comodità di avere piattaforme condivise con moltissime persone in varie parti del mondo, dall’altra è lampante che queste piattaforme, per quanto si dicano private (e i profitti lo sono, su questo non ci piove), rispondono agli interessi degli Stati Uniti d’America. Da questa situazione vi sono tre possibili futuri:
1) ogni paese, a meno che non voglia mantenere il poco simpatico aggettivo di “paese colonia”, sviluppa i propri portali internet;
2) si crea un gestione internazionale dello spazio web, magari in seno alle Nazioni Unite;
3) si mantiene lo status quo
Passatemi il termine, ma il “googlecentrismo” (e quindi USAcentrico) rappresenta una palla al piede allo sviluppo tecnologico informatico in tutto il mondo occidentale.
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