Il 57% degli italiani arriva con difficoltà a fine mese. Il nuovo (drammatico) rapporto Eurispes

di Michele Blanco

L’Italia inesorabilmente si conferma tra i paesi più poveri d’Europa in termini educativi, con una carenza di istruzione che si perpetua tragicamente di generazione in generazione. È quanto emerge dal 36esimo Rapporto Italia dell’Eurispes presentato il 24 maggio 2024. Si tratta di un vero e proprio richiamo sulla situazione critica del nostro Paese in questo ambito che sarà sempre più cruciale per il fututo.

I dati sono allarmanti: nel 2022 l’Italia si è classificata penultima tra i Paesi europei, con il 41,7% della popolazione tra i 25 e i 74 anni in possesso di un titolo di studio inferiore al diploma e solo il 18,5% laureato. Una situazione drammatica figlia delle profonde disuguaglianze educative presenti nel nostro paese.

La povertà educativa assume infatti diffusioni diverse tra le diverse regioni italiane, rappresentando uno dei fattori chiave delle disparità nei percorsi formativi e nei risultati di apprendimento. Il divario si riflette anche nella percentuale di laureati, con punte del 35% nel Lazio e del 32,3% in Emilia-Romagna, ma quote inferiori al 20% in Sicilia e Calabria. Queste ultime due regioni detengono inoltre il triste primato delle quote più elevate di adulti con basso livello di istruzione, rispettivamente il 48% e il 44%.

La provenienza familiare diventa fondamentale, le disuguaglianze di origine sociale, le differenze nelle pratiche quotidiane e i divari nella qualità delle occupazioni dei genitori alimentano il rischio di cadere nella povertà educativa, vanificando gli sforzi della scuola per garantire pari opportunità. Una spirale negativa che si trasmette inesorabilmente da una generazione all’altra, minando le prospettive future del Paese.

Altro dato eclatante del rapporto Eurispes è che il 57% italiani arriva a fine mese con difficoltà.

Poco più di un italiano su quattro riesce a risparmiare (28,3%) mentre il 36,8% attinge ai risparmi per arrivare a fine mese. Il 57,4% arriva a fine mese con difficoltà. E' quanto emerge dal 36esimo rapporto Italia dell'Eurispes sottolineando che bollette (33,1%) e affitto (45,5%) mettono in difficoltà molte famiglie, seguono le rate del mutuo (32,1%) e le spese mediche (28,3%).

I prezzi dei beni di consumo, rileva Eurispes, "sono in aumento per l’83% degli italiani. Secondo il rapporto, inoltre, "la maggior parte degli italiani (55,5%) ritiene che la situazione economica del paese abbia subìto un peggioramento nel corso dell’ultimo anno, per il 18,6% la situazione è rimasta stabile, mentre solo un italiano su dieci (10%) ha indicato segnali di miglioramento".

Sulle previsioni sul futuro, rileva Eurispes, "gli italiani sono invece cauti: per il 33,2% la situazione economica italiana resterà stabile nei prossimi dodici mesi. I pessimisti, che attendono un peggioramento, sono il 31,6%, mentre il 10,8% prospetta un periodo di crescita economica. Un quarto del campione non indica una risposta. Il 40,9% dei cittadini afferma però, che la situazione economica personale negli ultimi 12 mesi è rimasta stabile". Quello che risulta evidente è che "complessivamente il 35,4% degli italiani denuncia un peggioramento della propria condizione economica, mentre il [solo] 14,2% riferisce un miglioramento".

Nelle difficoltà economiche la famiglia d’origine, come sempre in Italia, è un punto di riferimento: il 32,1% degli italiani ha chiesto sostegno finanziario alla famiglia di origine. Alcuni sono ricorsi al sostegno di amici, colleghi e altri parenti (17,2%); il 16% ha richiesto un prestito in banca, mentre il 13,6% ha dovuto chiedere soldi in prestito a privati (non amici o parenti". Diffusa, inoltre, "la vendita online di beni e oggetti su canali di compravendita on line, tipo E-Bay, Vinted, aste online, ecc. (27,5%). Il 15,3% ha dovuto vendere o ha perso beni come la casa o l’attività commerciale/imprenditoriale. Si acquista molto a rate (42,7%), spesso su piattaforme online a interessi zero (21,3%)".

Sul fronte dei pagamenti il 24,8% ammette di aver pagato le bollette con forte ritardo, il 22,1% ha avuto ritardi nel pagamento delle tasse, il 18,5% è stato in ritardo/arretrato con le rate del condominio e il 14,9% ha saldato in ritardo i conti presso commercianti/artigiani. Inoltre, osserva Eurispes, un terzo degli italiani paga in nero alcuni servizi. Il bisogno di risparmiare ha spinto il 33,6% degli italiani infatti a pagare in nero alcuni servizi come ripetizioni, riparazioni, baby sitter, medici, pulizie, ecc., il 37,6% ha dovuto rinunciare alla baby sitter e il 24,3% alla badante. Il 14,6% dei rispondenti ha noleggiato abiti e accessori in occasione di feste o cerimonie, e l’11,7% è tornato a vivere in casa con la famiglia d’origine. Le rinunce toccano anche la salute, cosa molto grave in una nazione dove l’assistenza sanitaria dovrebbe essere gratuita e garantita a tutti. La necessità di ridurre le spese comporta spesso, oltre alla messa in atto di strategie per risparmiare e ottenere liquidità, anche alla rinuncia a spese importanti di carattere sanitario, in alcuni casi anche essenziali per la salute. Poco meno di un italiano su tre ha rinunciato a cure/interventi dentistici (29,5%), a controlli medici periodici/preventivi (28,7%) e a trattamenti/interventi estetici (28%). Il 23,1% ha rinunciato a visite specialistiche per disturbi o patologie specifiche, il 17,3% a terapie/interventi medici e il 15,9% all’acquisto di medicinali.

Il lavoro nero è una realtà diffusa: il 40,5% degli intervistati, infatti, dichiara di aver lavorato senza contratto; l’8% sempre o spesso, mentre quasi un terzo (32,5%) una volta o qualche volta. La maggioranza degli intervistati che lavorano attualmente o hanno lavorato in passato (59,5%) afferma di non aver mai lavorato senza contratto. Tra questi, il 38,2% non accetterebbe di farlo, il 21,3%, al contrario, accetterebbe in caso di bisogno. I dati - rileva il rapporto - confermano la diffusione del lavoro nero nel nostro Paese, anche tenendo conto che il fenomeno tende a restare in parte nascosto e potrebbe, dunque, coinvolgere una quota anche superiore di cittadini.

L’esperienza di lavorare senza regolare contratto viene riferita con maggiore frequenza della media dagli intervistati con basso titolo di studio: il 55,2% tra chi non ha alcun titolo di studio e il 50,8% tra quanti hanno la licenza elementare. D’altra parte, il fenomeno tocca in maniera consistente anche il 39,3% di chi ha un diploma e il 35,2% di quanti sono laureati. Lavorare senza contratto è capitato con frequenza ai giovanissimi: il 56,8% dei 18-24enni (spesso e qualche volta). A seguire si sono trovati a lavorare in nero il 48,3% dei 35-44enni e il 43,3% dei 25-34enni.

Ci sono pericoli legati all’adozione del concordato preventivo biennale. Nella radiografia delle dichiarazioni 2022 sui redditi 2021, su 2,42 milioni di autonomi censiti erano ben 1,34 milioni a fermarsi sotto la sufficienza rappresentata dall’8, con il 55,4% che non ha quindi raggiunto la sufficienza Isa (Indice di Affidabilità Fiscale). In questo gruppo il reddito medio dichiarato si ferma a 23.530 euro all’anno, vale a dire il 68,5% in meno dei 74.698 euro dichiarati dai contribuenti 'affidabili'. Circa il 68,8% delle imposte dovute (68,8 euro ogni 100) sfugge alle casse dello Stato, con una sottrazione media al bilancio pubblico, negli ultimi tre anni, pari a 31,2 miliardi l’anno.

Come ricorda poi l'Eurispes, sono invece 111 i soggetti di grandi dimensioni che hanno aderito alla cooperative compliance. Nel 2023, l’Agenzia delle Entrate italiana ha inviato alle controparti straniere ben 273 accordi, rispetto ai 224 dell’anno precedente, a fronte della Germania, che ne ha inviati solo 10, della Francia, che ne ha inviati 16, degli Usa che ne hanno inviati 26 (Ocse). Nel caso di accordo tra Fisco e contribuente, anche dopo post accertamento, non si parla più di compliance ma di istituti deflativi del contenzioso attraverso uno dei molteplici istituti che il nostro Ordinamento giuridico prevede (adesione, conciliazione, etc.). Negli ultimi anni sono stati conclusi con multinazionali estere accordi in adesione (post accertamento) per le seguenti cifre: Apple (318 milioni di euro); Amazon (100 milioni di euro); Gucci/Kering (1,2 miliardi di euro); Google (306 milioni di euro); Facebook (oltre 100 milioni di euro); Netflix (oltre 55 milioni di euro); Airbnb (576 milioni di euro).

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