Sulla vicenda di Taiwan c’è un malinteso enorme e assai diffuso: su Taiwan non c’è alcuna questione di indipendentismo, chi ne parla o non ha capito nulla, o è in malafede.
Nel 1912 tramonta l’impero cinese e viene fondata la Repubblica di Cina che poi cade in mano ai peggiori criminali nazionalisti. Con la Rivoluzione del 1949 venne abbattuto il Governo nazionalista e nacque la Repubblica Popolare Cinese guidata da Mao. Praticamente tutti i paesi del mondo riconobbero la Cina di Mao come legittimo rappresentante della Cina, tanto che gli venne assegnato il posto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Le forze nazionaliste ormai sconfitte scapparono rifugiandosi su alcune isole, tra cui Taiwan. Da lì continuarono a considerarsi il legittimo governo cinese -cioè,della Repubblica di Cina- e a rivendicare la sovranità sull’intero territorio che fu di quello Stato: tutta la Cina, la Mongolia e un piccolo pezzo di Russia. Questi sono i territori che oggi rivendica il Governo di Taiwan, non l’isola su cui sono rintanati.
In dettaglio, la Repubblica Popolare Cinese e il Governo nazionalista con sede a Taiwan rivendicano entrambi tutto il territorio dell’attuale Cina. Per questo non si tratta di indipendentismo, ma di incompatibilità.
In caso di indipendentismo il riconoscimento è per l’uno E l’altro, in questo caso il riconoscimento è per l’uno O l’altro. Riconoscere il Governo di Taiwan significa disconoscere il governo della Repubblica Popolare Cinese, sarebbe come dichiarargli guerra. Discorso analogo vale per la Mongolia, mentre per la Russia il coinvolgimento sarebbe più marginale.
Riconoscere il governo di Taiwan, sarebbe come se oggi qualcuno volesse riconoscere su tutto il territorio italiano la sovranità degli eredi del Governo di Salò. Una follia. O meglio, una provocazione finalizzata alla destabilizzazione.
Non è un caso se nessun grande stato riconosca il Governo nazionalista di Taiwan, al momento lo riconoscono solo 13 micro-stati tipo il Vaticano (che oltretutto negli ultimi anni sta stabilendo un dialogo molto costruttivo con la Repubblica Popolare Cinese).
Chi getta benzina sul fuoco ancora una volta sono gli Stati Uniti, dopo la destabilizzazione dell’Europa ora puntano a quella dell’Asia. Lo fanno perché sanno che il loro sistema economico è ormai fallito e cercano di deindustrializzare tutti i possibili competitori globali. Meglio chiamarsi fuori da questa follia autolesionista.
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