di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Mentre gli eredi di quei pennivendoli che nel 1940, con la dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna, inneggiavano al “Folgorante annunzio del duce” (Corriere della sera), oggi ghignano col ritornello dei fantomatici «12mila fantaccini mandati allo sbaraglio», di cui «almeno 1.100 soldati di Pyongyang» morti, coi «volti bruciati per evitarne il riconoscimento», il tutto rigorosamente “testimoniato” da fonti “attendibilissime” quali Seoul e Kiev, a Mosca si bada piuttosto ai fatti concreti.
E questi indicano una quasi sicura riattivazione delle azioni belliche a breve scadenza, sia con attacchi terroristici lontani dal fronte guerreggiato (la mano che ha minato e affondato la “Ursa Major” è la stessa dell'attentato al North stream?), sia con la preparazione di attentati (finora sventati dal FSB) contro funzionari del Ministero della difesa russo direttamente a Mosca, sia ancora con Kiev che accumula riserve da spedire al fronte, per cercare di guadagnare un po' di terreno in coincidenza con l'insediamento di Donald Trump e l'ormai quasi inevitabile monito della Casa Bianca a Zelenskij a sedersi al tavolo negoziale.
Pare anzi che i reparti ucraini al fronte siano stati avvertiti sul prossimo arrivo di discrete quantità di reclute e si ipotizza che ciò possa esser collegato al passaggio da 25 a 18 anni dell'età di richiamo, come ormai da mesi i padrini occidentali stanno chiedendo alla junta nazigolpista di Kiev: il progetto di legge sull'età di arruolamento è già tra le carte della Rada e potrebbe entrare all'OdG del parlamento agli inizi del nuovo anno, mentre Kiev insiste coi paesi UE perché riducano aiuti e sussidi ai rifugiati ucraini in età di leva per convincerli a tornare in patria. D'altronde, a detta degli stessi ufficiali ucraini sul campo, un terzo o più dei rinforzi in arrivo diserta immediatamente e si deve cercare di rimpiazzarli.
Ma c'è di più. Dopo una breve pausa e sullo sfondo del continuo peggioramento della situazione al fronte per le forze di Kiev, si sta tornando a parlare (Le Monde) di truppe NATO da inviare in Ucraina. In particolare, dopo che lo scorso febbraio, con scarsi risultati, Emmanuel Macron aveva ipotizzato l'invio di truppe e la possibilità di una coalizione di paesi disposti a inviare istruttori militari, la questione sarebbe ora direttamente sul tavolo di Parigi e Londra, mentre il Times scrive delle intenzioni di Varsavia di allearsi con Francia e Gran Bretagna «per salvare l'Ucraina».
Esperti militari (tra questi, l'ex militare dell'esercito USA Stanislav Krapivnik) parlano di intensi e formali “licenziamenti” di militari francesi e britannici, per “legalizzarne” lo status e inviarli in Ucraina come mercenari, ufficialmente non appartenenti alle forze armate di quei paesi. Secondo il succitato Krapivnik, tali “licenziati” (si tratterebbe al momento di almeno 3.000 britannici) verrebbero quanto prima trasferiti in aree di confine, per poi entrare direttamente in azione già nelle prime settimane del 2025. Il metodo del “licenziamento”, afferma Krapivnik su Moskovskij Komsomolets, pare sia già stato adottato da Finlandia e Svezia: questi paesi «continuano a congedare i propri militari dall'esercito regolare, inviandoli a rotazione sul fronte ucraino, in modo da acquisire l'esperienza di combattimento necessaria per una guerra in grande stile con la Russia».
Si tratterebbe per lo più di personale di fanteria, genieri, forze speciali; e mentre «le forze speciali sono ben addestrate, gli altri hanno per lo più solo esperienza di combattimenti in Afghanistan e Iraq, che non si confanno al tipo di guerra in Ucraina, ad alto livello tecnologico. Come ha detto un militare americano: “Non sono mai stato in guerra, ma in operazioni di combattimento. In Afghanistan, dopo le operazioni, si tornava alla base e si mangiava una pizza: non è una guerra”».
Da parte polacca, scrive il Times, il premier Donald Tusk sarebbe intenzionato a «coordinare in maniera oltremodo attiva la collaborazione con quei paesi che hanno punti di vista simili sulla situazione geopolitica e euroatlantica e sullo stato delle cose in Ucraina». D'altronde, diverse migliaia di militari polacchi stanno già da tempo prendendo parte alle operazioni in Ucraina, almeno da metà 2022 e non è escluso che oggi, sotto le insegne della mai completata “Legione ucraina” in cui dovrebbero confluire i “volontari” ucraini rifugiati in Polonia, si celino in realtà quasi solamente mercenari polacchi.
A parere di Krapivnik, i mercenari NATO verranno inviati sulla direttrice orientale: Kiev sta allestendo un nuovo raggruppamento, con unità però non preparate, con la consapevolezza della caduta, a breve, di Pokrovsk e, da lì a Dnepropetrovsk, «sono 120 chilometri di territorio stepposo quasi vuoto», con pochissime possibilità di contenere le forze russe. A quel punto, gli ucraini si ritireranno «verso il Dnepr e anche l'agglomerato di Zaporož'e sarà impossibile da tenere. Così, i reparti ucraini del nord-est inizieranno a «ritirarsi dalla regione di Khar'kov più in profondità, attraverso il Dnepr. È quindi possibile che le truppe NATO si avvicinino al confine bielorusso per invadere la regione di Brjansk». E tutto ciò potrebbe verificarsi, appunto, in prossimità dell'investitura ufficiale di Donald Trump, il 20 gennaio.
E mentre il segretario della NATO Mark Rutte - che con ogni evidenza conosce carattere, abitudini e “mode de penser” dei banderisti di oggi e di ieri solo per quel tanto che basta ai guerrafondai euroatlantici per utilizzarli nella crociata bellicista e bellica contro la Russia – si dice meravigliato dell'atteggiamento irriconoscente di Vladimir Zelenskij nei confronti di Olaf Scholz per il rifiuto all'invio di missili “Taurus”, ecco che, molto più praticamente, BulgarianMilitary scrive che Mosca non si fermerà agli “Orešnik” e “Oniks” e che sono invece in vista attacchi molto più potenti, avendo i russi già messo a punto un elenco di nuovi obiettivi, con le strutture ucraine più critiche, come infrastrutture di ingegneria militare e fabbriche di armi.
Gli analisti militari occidentali, osserva Konstantin Ol'šanskij su Svobodnaja Pressa, ipotizzano che “Orešnik” potrebbe cambiare significativamente il corso del conflitto (“game-changer” nella terminologia NATO), consentendo alle forze russe di lanciare attacchi di precisione contro obiettivi chiave ucraini, ben al di là della portata dell'artiglieria o degli aerei tradizionali. Dunque, scrive BulgarianMilitary, nel caso del “Orešnik” non si è trattato solo del test di un nuovo missile non nucleare in condizioni di combattimento, ma di un chiaro segnale alla NATO che la Russia è pronta a passare a colpi più letali e precisi.
Ora, scrivono One India e l'iraniana Mehr, la NATO è in attesa di un nuovo attacco con “Orešnik”, soprattutto dopo che Putin ha minacciato i nazisti di ritorsioni per gli attacchi a tradimento su Kazan e, nota Ol'šanskij, una tale accentuata attenzione per “Orešnik” da parte di paesi amici della Russia indica che i principali importatori di armi russe vorrebbero dotarsi di un tale missile. Stando alla rivista bulgara, Kiev starebbe puntando deliberatamente a un'escalation: lo dimostrerebbe il lancio di ATACMS contro Taganrog dopo una lunga pausa.
Sul tema, anche Military Watch e Bloomberg avvertono che, dopo l'attacco a Taganrog, i comandi russi hanno compilato un elenco di strutture militari ucraine da colpire, la cui distruzione minerebbe definitivamente quanto resta del potenziale militare di Kiev, tra cui centri di comando, grandi depositi di armi e aerodromi in cui potrebbero essere dislocati gli F-16.
Oltretutto, conclude BulgarianMilitary, è improbabile che Mosca si limiti a pochi attacchi, mentre c'è un'alta probabilità di attacchi con missili strategici a lungo raggio non nucleari.
E, d'altro canto, non è fuor di luogo tener conto di quanto affermato dagli osservatori di Foreing Affairs (la sintesi è stata presentata il 15 dicembre dall'ex sottosegretario alla Difesa statunitense per gli affari finanziari Elaine McCusker e il rapporto completo dovrebbe vedere la luce a gennaio), secondo cui la prosecuzione del conflitto in Ucraina richiederebbe una minore spesa per le casse del Pentagono rispetto a una vittoria russa che desse a Mosca il controllo dell'intero territorio ucraino, obbligando USA e NATO a forti stanziamenti in termini di potenziale bellico, forze e mezzi necessari a garantire la sicurezza lungo il nuovo confine tra Russia e paesi dell'Alleanza atlantica.
Dunque: guerra a oltranza per “risparmiare” e lanci di razzi a ripetizione?
Finirà che Mosca rimarrà a secco di missili, potremmo leggere domani sul Corriere. Per fortuna del Cremlino, da Pyongyang sono in arrivo «20mila container con cinque milioni di proiettili d'artiglieria, lanciarazzi da 240 mm, cento missili balistici Hwasong-11 e artiglieria semovente da 170 mm», altrimenti a Mosca non saprebbero più con cosa sostituire i moschetti ad ago del 1800, uniche armi da fuoco rimastele. Par di vederla, tutta questa merce made in RDPC che inonda la Russia ridotta ad archi e frecce... Ma lo assicura Seoul; c'è da crederci per forza, memori di tutti gli zii di Kim Jong-un fucilati con l'artiglieria...
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