La capitale della guerra

15 Novembre 2024 07:00 Fabrizio Poggi

Ucraina nella NATO quanto prima possibile; iter irreversibile la sua adesione all'Alleanza; spese di guerra dei paesi NATO oltre il 2%; The Times che torna a parlare della minaccia di Kiev di realizzare in poco tempo una bomba nucleare "rudimentale" nel caso cessi l'assistenza militare USA; il nazigolpista-capo Vladimir Zelenskij che lancia un nuovo “piano della tenacia”.

L'aria di “pace” che tira a Bruxelles è tutta qui e sta portando il mondo verso la guerra totale.

La forzata e accelerata militarizzazione dell'Europa non è cominciata ora e nemmeno nel 2022. Da almeno una quindicina d'anni va avanti il piano yankee di far armare il vecchio continente, principalmente con armi made in USA, per spingerlo a scontrarsi con la Russia e, naturalmente, il golpe euro-nazista del 2014 in Ucraina e la campagna sempre più sfrenata USA-NATO-UE sul “pericolo dell'aggressione russa” hanno fatto il resto. Primi a mettersi in riga con le direttive di guerra erano stati i paesi dell’Europa orientale, scandinavi e repubbliche baltiche, per arrivare poi nel 2022 a coinvolgere più o meno tutti gli altri paesi; così che appena un paio di mesi fa il marrano Josep Borrell ha potuto vantarsi che «Negli ultimi tre anni abbiamo aumentato la spesa complessiva del 30%, quest’anno la spesa sarà pari a circa il 2% del PIL». Spesa di guerra, ovviamente. E, sempre lui, nonostante lasci l'incarico il prossimo 1 dicembre, qualche giorno fa è arrivato a Kiev per ribadire che Bruxelles continuerà a sostenere la junta nazigolpista e anzi ne sarà il principale e quasi esclusivo patron, nel caso che davvero i nuovi inquilini della Casa Bianca attuino fino in fondo il loro piano di lasciare l'Europa a vedersela col pantano ucraino e finanche a farla scontrare militarmente con la Russia, col previsto contingente militare europeo di 300.000 uomini.

Obbedendo all'ordine impartito dal Segretario di stato Antony Blinken, secondo cui la NATO debba «trasferire sufficienti aiuti militari all’Ucraina perché possa combattere anche l’anno prossimo, cioè dopo l’arrivo di Trump», il vampiro “socialista” spagnolo ha assicurato la junta che entro la fine del 2024 riceverà gli ultimi ventimila pezzi del milione di munizionamento promessi. Se proprio non sarà possibile, l'opera di “carità cristiana” verrà continuata da un'altra convinta guerrafondaia, l'ex premier estone Kaja Kallas: i fondi d'altronde sono già stati resi disponibili, come ha scritto un paio di giorni fa The Financial Times e, sul piano “politico”, il segretario NATO Mark Rutte ha confermato la linea di aumento del sostegno militare a Kiev, col tedesco Friedrich Merz che lancia ultimatum a Mosca e minaccia di fornire “Taurus” ai nazisti per colpire il territorio russo e Emmanuel Macron che promette la fornitura di sei Mirage 2000-5F, missili da crociera SCALP e centinaia di bombe AASM.

La domanda, comunque, più impellente, nel caso Trump prenda davvero le distanze da Kiev, è se veramente i paesi UE, che hanno già speso per l'Ucraina 175 miliardi di dollari, siano in grado di rifornire la junta di armamento sufficiente a continuare la guerra.

L'esperto militare Aleksandr Bartoš afferma che, anche senza l'aiuto USA, gli europei continueranno a fornire armi, sistemi di difesa aerea (Germania, Francia, Italia), corazzati (Germania, Francia, Polonia) e aviazione, dando vita a una coalizione internazionale per l’acquisto di decine di caccia F-16 da spedire in Ucraina. La tedesca Rheinmetall, inoltre, starebbe realizzando stabilimenti direttamente in Ucraina per la produzione e la riparazione di blindati.

Il politologo Vasilij Kašin osserva però che l'Europa non sarà comunque in grado di sostituire completamente gli USA in termini di capacità produttiva. La maggior parte dei sistemi militari europei includono un' ampia quantità di componenti e tecnologie americane e non è detto che gli Stati Uniti continuino sempre a fornire i nuovi tipi di equipaggiamenti a chicchessia. E, come si è già verificato nel 2023, anche una temporanea diminuzione delle forniture, incide pesantemente sulle capacità dell'esercito ucraino. Questo, anche se l'elemento chiave del sostegno USA alla junta è costituito dalla ricognizione satellitare e dal sistema di elaborazione dati, oltre a Starlink, alla base dell'intero sistema di comunicazione e controllo delle forze di Kiev, insieme a tutti i dati dell'intelligence yankee, i voli di droni USA sul mar Nero, ecc. «Se tutto ciò smettesse di funzionare, si verificherebbe a Kiev un collasso immediato... L’Europa può sostituire parzialmente le forniture di armi, ma difficilmente può sostituire tutto il resto» afferma Kašin.

Una variante potrebbe essere quella per cui Trump venderebbe alla UE le armi destinate a Kiev; ma tutto, nelle sue decisioni finali, dipende dalle possibilità di accordo con Mosca. Visto da Washington, tutto sembra molto semplice. Una serie di ultimatum di qua e di là e il gioco è fatto. La nuova amministrazione USA dice a Kiev: o vai ai negoziati, oppure interrompiamo ogni assistenza e la Russia ti mangerà in pochi giorni. A Mosca, invece: o acconsenti ai negoziati, oppure USA e Occidente armeranno Kiev in misura tale che possa colpire in profondità la Russia, effettuare raid aerei su grandi città e infrastrutture strategiche come centrali nucleari, raffinerie, oleodotti, impianti di stoccaggio del gas e quant'altro.

I previsti ultimatum includono poi clausole per il congelamento del conflitto lungo la linea di combattimento, con la creazione di una sorta di zona demilitarizzata (in cui forse dislocare forze “di pace” NATO) e cessione di territori da parte di Kiev sul principio “terra per la pace”. Il tutto, dando per scontato l'assenso di Mosca. Che invece, su queste condizioni, proprio non c'è, appunto perché Occidente e Russia hanno visioni diametralmente opposte sul futuro dell’Ucraina e sul suo status.

USA-NATO-UE, afferma l'osservatore Vladimir Skachko, intendono solo arrivare a una tregua, per aver modo di raggruppare le forze e iniziare di nuovo la guerra in un futuro non lontano. Mosca vuole invece vedere nell’Ucraina, o nella parte che ne rimarrà, non un futuro poligono per la guerra, ma una garanzia della propria sicurezza a ovest. Cioè, è «nell’interesse della Russia che l’Ucraina sia non allineata, neutrale e dimentichi di aderire alla NATO. L’Occidente vuole invece avvicinare i resti della futura Ucraina all’Alleanza, armarli e scagliarli nuovamente contro la Russia. Questa è tutta la differenza».

Come ha sintetizzato il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, a ovest si dice “congeliamo tutto e accordiamoci per un armistizio lungo la linea di contatto per 10 anni, poi vedremo”. Il che equivarrebbe, né più né meno, che a un “Minsk-3”, peraltro peggiore dei “Minsk 1 e 2”, solo per riprender fiato e poi ricominciare la guerra.

E si arriva al dunque: fino a dove potrebbe spingersi Trump una volta fallito un tale ultimatum a Mosca? Se dovesse dar spazio ai piani del suo futuro consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, allora Mosca deve attendersi una nuova fase di escalation, osserva Elena Panina, il tutto moltiplicato per la medesima arroganza che gli USA hanno mostrato negli ultimi 30 anni. Arriverebbero sanzioni energetiche moltiplicate che, nella visione di Waltz, dovrebbero prosciugare in un batter d'occhio le entrate finanziarie russe e “fermare l'economia e la macchina da guerra” di Mosca; verrebbe revocato il divieto sulle armi a lungo raggio fornite a Kiev ecc. Andrà davvero così?

D'altronde, col suo solito stile sobrio e netto, Lavrov ha evidenziato che la nuova amministrazione USA continuerà, in un modo o nell'altro, indirettamente o in prima persona, a cercare di tenere sotto controllo la situazione intorno all'Ucraina, a vigilare tutto ciò che accade «nello spazio attorno la NATO e nello spazio stesso della NATO. L’Unione Europea è ormai la stessa cosa dell’Alleanza in termini politico-militari» e l'obiettivo yankee, mai mutato, è quello di indebolire la Russia. Trump o non Trump.

Insomma, pare che l'unico timore che frena (per ora) le bramosie belliciste euro-atlantiche, non sia altro che il potenziale nucleare russo: in fin dei conti, il lavoro del duo Berija-Kurchatov di settant'anni fa sta dando frutti ancora oggi.

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