La Russia fa rientrare nelle caserme parte delle truppe schierate presso i confini dell’Ucraina. Ciò accade a due giorni dal giorno del giudizio, il fatidico 16 febbraio nel quale, secondo gli Stati Uniti, avrebbero attaccato l’Ucraina (sulla infondatezza di tale avvertimento abbiamo già scritto).
Un segnale di distensione notevole che però non è stato accolto. Per tenere alta la tensione, gli Stati Uniti hanno comunicato di aver spostato la loro sede diplomatica da Kiev a Leopoli, aggiungendo di aver distrutto documenti e ripulito i computer, come in genere avviene per una fuga precipitosa (di chi avevano paura, degli ucraini, dato che a Kiev non ci sono russi?).
La drammatizzazione della crisi da parte degli Stati Uniti sta inquietando anche Kiev, che da usuale attore drammatico del confronto con Mosca è retrocesso a spettatore di una tragedia di cui rischia di diventare vittima, registrando fin da ora ingenti danni alla sua economia, che i venti di guerra hanno reso ancor più volatile.
Non solo il ritiro delle truppe, che il bellicoso segretario della Nato Jens Stoltenberg nega che sia avvenuto (qui filmati di carri armati russi caricati su un treno che lo documenta… è falso o Jens è poco informato?), ma anche le parole del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il quale ha detto che la Nato e gli Usa hanno “risposto positivamente ad alcune richieste russe che hanno respinto per anni. In particolare, ha fatto riferimento alla disponibilità del blocco a discutere per arrivare a un trattato sul controllo degli armamenti in Europa”.
In particolare “Il ministro ha ricordato che la Russia ha chiesto una moratoria sul dispiegamento di missili a corto e medio raggio in Europa, dopo la fine del Trattato INF con gli Stati Uniti nel 2019 (dopo il ritiro unilaterale di Washington da questo)”.
Così la sintesi di Sputnik, che riferisce anche le conclusioni del ministro russo: “Penso che, grazie agli sforzi profusi in tutte queste aree, si possa elaborare un ottimo accordo”. Parole ottimistiche, che precedono una nuova missiva russa in risposta alle proposte Usa inviate alcuni giorni fa.
Oggi il Cancelliere tedesco Olaf Sholz è a Mosca, buon ultimo dopo Macron e gli inviati britannici, tentando di salvare il salvabile, perché la prima vittima di questo scontro è la Germania che sta vedendo collassare i suoi rapporti con la Russia, vitali per i suoi interessi.
Tra i tanti ponti che uniscono Mosca a Berlino, quello del North Stream 2, il quale rischia di essere smantellato appena ultimato. Sul gas europeo un interessante articolo del Wall Street Journal.
“Mentre la crisi ucraina suscitava preoccupazione per la dipendenza dell’Europa dal gas naturale russo, è successo qualcosa di straordinario. Il mese scorso, per la prima volta in assoluto, le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto verso l’Europa hanno superato le consegne dei gasdotti russi. Le esportazioni russe, che normalmente rappresentano circa il 30% del consumo di gas in Europa, sono diminuite notevolmente a causa dei prezzi russi [causata della crisi ucraina ndr]. E con i prezzi del gas europei circa quattro volte più alti del normale, le esportazioni statunitensi sono aumentate per colmare il divario”.
“La straordinaria crescita della produzione statunitense di petrolio e gas è una risorsa geopolitica ed economica per gli Stati Uniti che contribuisce alla sicurezza energetica globale. Mentre l’industria nazionale del petrolio e del gas continua a riprendersi dal crollo dei prezzi della primavera 2020 causato dall’inizio del Covid, gli Stati Uniti sono di nuovo il primo produttore mondiale di petrolio, quasi il 20% sopra gli altri due maggiori produttori, Arabia Saudita e Russia. e il primo produttore mondiale di gas naturale”.
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