La lista dei principali finanziatori di Kamala Harris


di Alessandro Volpi

Il capitalismo delle Big. Se si scorre la lista dei finanziatori di Kamala Harris si trovano numerosi esponenti della finanza legata, a vario titolo, ai grandi fondi. Spiccano infatti i nomi di Reid Hoffman, creatore di LinkedIn, ceduta nel 2016 a Microsoft per 26, miliardi di dollari e, da allora, membro del Consiglio di amministrazione della stessa Microsoft, di cui, come è noto Vanguard, Black Rock e State Street hanno oltre il 20%. Lo stesso Hoffman, oggi, ha una partecipazione rilevante in Airbnb, dove le Big Three sono azioniste di riferimento. Accanto a Hoffman figura Roger Altman, finanziere democratico di lungo corso, collaboratore di Carter e di Clinton con ruoli molto delicati, passato da Lehman e da Blackstone, e ora amministratore della banca Evercore, di cui Vanguard possiede il 9,46%, Black Rock l'8,6 e State Street il 2,6.

Ci sono poi Reed Hastings, presidente di Netflix, dove Vanguard ha l'8,5, Black Rock il 5,7 e State Street il 3,8%, Brad Karp, a lungo legale di fiducia di Jp Morgan, Ray McGuire, presidente di Lazard Inc, in cui Vanguard è il primo azionista con il 9,5, seguito da Black Rock con l'8,5%, Marc Lasry, ceo di Avenue Capital Group, l'hedge fund vicino alle Big Three, e Frank Baker, proprietario di un private equity. Un posto di rilievo tra i donatori per Kamala Harris hanno anche diversi membri della famiglia Soros e vari protagonisti delle principali società di consulenza americane come Jon Henes e Ellen Goldsmith-Vein. In sintesi, la nuova potenziale candidata ha messo insieme una vasta cordata di donatori che vedono nella finanza trumpiana un pericolo per il monopolio "rasserenante" coltivato con cura dai super fondi, azionisti centrali delle principali società dell'indice S&P 500: si potrebbe immaginare così uno schieramento che intende difendere i principali player del risparmio gestito globale e della proprietà azionaria dei colossi in nome della tutela dei risparmiatori dagli scossoni generati da una vittoria repubblicana.

Siamo davvero di fronte allo scontro interno ad un capitalismo che, da un lato sta costruendo la sua fortuna sul monopolio finanziario inteso come strumento della riduzione del rischio per i cittadini divenuti ormai soggetti finanziari attraverso le loro polizze, e dall'altro sta conoscendo la formazione di un blocco destinato a indebolire tale monopolio nella speranza di non essere escluso dalla bolla in atto e che ha bisogno della politica, a cominciare da quella monetaria, con tassi decisamente più favorevoli, per poter contare. Al di là delle pur fondamentali narrazioni popolari, queste elezioni contengono una dura guerra tra gruppi finanziari.

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