Adesso che la Giornata è passata e avete potuto dare libero sfoggio di tutta la vostra arguzia, sagacia e superiorità culturale, vi invito a leggere una cosa. Vi avviso è lunga, ma siccome non l'ho scritta io ne vale davvero la pena. Tutto parte da una banalissima considerazione: leggendo Primo Levi e la sua esperienza ad Auschwitz si nota una cosa molto interessante, che mi ha sorpreso profondamente come ha stupito non poco l'autore al tempo di quei tragici eventi. La scelta fra prigionieri buoni per lavorare nel lager e quelli da spedire direttamente nei forni non era fatta dai militari SS bensì dai medici del campo. Una circostanza molto importante - e troppo spesso trascurata - che dimostra come il sapere scientifico fu una componente fondamentale, per non dire determinante, nell'affermazione ideologica della barbarie nazista. Ebbene, approfondendo qua e là il discorso mi sono imbattuto in un libro davvero molto interessante e di cui posto qui l'estratto del capitolo dal titolo “La nazificazione della medicina”. Buona lettura.
[Tratto da “I medici nazisti”, R.J. Lifton - BUR, Rizzoli]
La nazificazione della professione medica – un aspetto chiave nel passaggio dalla sterilizzazione all'uccisione medica diretta – fu conseguita per mezzo di una combinazione di entusiasmo ideologico e di terrore sistematico. In un manuale influente di Rudolf Ramm, della facoltà di medicina dell'università di Berlino, si diceva che il medico non doveva più limitarsi semplicemente alla cura dei malati, ma doveva diventare un “coltivatore dei geni”, un “medico del Volk”, un “soldato della biologia”. Pur ricollegandosi a forme tradizionali di idealismo medico (“vacazione interiore, alta etica, conoscenza profonda.. sacrificio e dedizione”), Ramm sostenne che si doveva abbandonare il vecchio “spirito liberal-materialistico” (associato specialmente alla nefasta influenza degli ebrei nella professione) e acquistare invece la “Weltanschauung idealistica del nazionalsocialismo”. Così il medico poteva mettere in pratica quello che Gerhard Wagner identificò come il compito del suo Ufficio di Sanità Pubblica: la “promozione e perfezione della sanità del popolo tedesco... far sì che la gente si renda conto di tutto il potenziale del proprio patrimonio razziale e genetico”. Ramm continuò parlando di “grandi passi avanti nel pensiero biologico” compiuti sotto il nazionalsocialismo, i quali consentivano ai dirigenti medici di assumere una parte importante in progetti per rovesciare il corso della degenerazione razziale, come le leggi di Norimberga e il programma di sterilizzazione. Per mettere in pratica in modo appropriato questi programmi, il singolo medico doveva diventare un “medico genetista” (Erbarzt). Solo così egli sarebbe potuto diventare un “custode della razza” e un “politico demografico”. Svolgendo funzioni di “cura pubblica” consistenti nell'impedire la “bastardizzazione in conseguenza della propagazione di elementi indegni e razzialmente estranei... e nel conservare e accrescere quelli di sana eredità”, egli poteva conseguire l'obiettivo nazionale di “mantenere puro il nostro sangue”.
Ramm analizzò anche le virtù della sterilizzazione ed etichettò come “erronea” la convinzione diffusa che in nessuna circostanza il medico dovesse togliere la vita al paziente, giacché per i malati affetti da malattie fisiche o mentali incurabili “l'eutanasia” era il trattamento più “pietoso” e “un dovere verso il Volk”. Quel dovere era sempre centrale. Il medico doveva interessarsi alla sanità del Volk ancor più che alle malattie dell'individuo e doveva insegnare alla gente a superare il vecchio principio individualistico del “diritto al proprio corpo” e ad abbracciare invece il “dovere di essere sani”. Così, Johann S. mi parlò con orgoglio del principio di “essere medico del Volkskorper [corpo nazionale o corpo del popolo] e del “nostro dovere... verso la collettività”.
Il manuale di Ramm specificava anche che un medico doveva essere un militante della biologia, un “soldato della biologia sempre sul chi vive” ispirato dalla grande idea della struttura di Stato del nazionalsocialismo”. Esso sosteneva infatti che “il nazionalsocialismo, a differenza di qualsiasi filosofia politica o di qualsiasi altro programma di partito, è in accordo con la storia naturale e con la biologia dell'uomo”. I medici potevano vibrare nel ricevere quel messaggio. Il dottor S., per esempio disse di essersi iscritto al partito nazionalsocialista subito dopo aver udito il vice di Hitler nel partito, Rudolf Hess, dire, in un raduno di massa nel 1934 che “il nazionalsocialismo non è altro che biologia applicata”. E nel suo lavoro di organizzazione medica nazista questo medico vide se stesso impegnato primariamente a diffondere un messaggio biologico: “volevamo mettere in pratica le leggi della vita, che sono leggi biologiche”. La sua funzione medica rifiutava qualsiasi politica che non seguisse quel principio: “noi intendemmo il nazionalsocialismo dal versante biologico: introducemmo considerazioni biologiche nelle misure politiche [del partito]”. Il dottor S. sottolineò la convinzione che solo i medici posseggono la combinazione di conoscenza teorica e di esperienza umana diretta necessaria per svolgere la funzione degli autentici evangelisti biologici: “Ogni medico che esercita la professione ha una conoscenza della biologia molto superiore a quella di un filosofo o di qualsivoglia altra persona, avendone un'esperienza diretta.”[…]
Ernst von Grawitz, medico capo delle SS, proponeva il concetto del medico tedesco come “protettore della vita” che “sa di avere profondi doveri nei confronti del futuro del nostro Volk”. Un'introduzione analoga a un volume di etica medica fu scritta da Joachim Mrugowsky, medico di grado elevato che divenne direttore dell'Istituto di igiene, responsabile della conservazione e distribuzione del gas Zyklon-B usato ad Auschwitz. Mrugowsky fu condannato a morte a Norimberga nel 1948 per il suo esteso coinvolgimento in esperimenti medici mortali. […] Nella sua introduzione, Mrugowsky si concentrò sulla funzione del medico come “sacerdote della sacra fiamma della vita” e “sull'arte della guarigione” come “missione divina” del medico. Egli parlò dell'eliminazione nazionalsocialista della distinzione fra ricerca e guarigione, giacché i risultati del lavoro del ricercatore vanno a vantaggio del Volk. [...]
Lo stesso Reichsfuhrer delle SS e capo supremo del sistema di polizia tedesca, Heinrich Himmler, additò in Ippocrate un modello per i medici SS. In una breve introduzione a una collana di libricini per medici SS col titolo generale “Medici eterni”, Himmler parlò del “grande medico greco Ippocrate”, “dell'Unità del carattere dell'opera” della sua vita, la quale “proclama una moralità la cui forza è ancora oggi intatta e continuerà a determinare l'azione e il pensiero della medicina anche in futuro”. […] Al processo dei medici a Norimberga, un testimone riferì che l'accettazione dei principi di Ippocrate da parte dei nazisti era “un'atroce ironia della storia universale”. Ma questa assurdità estrema aveva una sua logica interna: il senso di riplasmare la professione medica – e l'intera nazione tedesca – al servizio di una nozione più vasta di risanamento.
Ci fu un'area in cui i tedeschi insistettero per una chiara rottura con la tradizione medica. Essi organizzarono un attacco concertato contro quella che consideravano una compassione cristiana esagerata per gli individui deboli a scapito della sanità del gruppo, del Volk. Questa posizione parzialmente neitzschiana, quale fu espressa da Ramm, comprendeva un rifiuto del principio cristiano della caritas e del comandamento della Chiesa di “prestare ogni cura alla persona affetta da una malattia incurabile e darle aiuto medico fino alla morte”. La stessa posizione fu espressa dal periodico medico “Ziel und Weg” sin dal tempo della sua fondazione nel 1931. Il problema fu formulato in termini molto decisi dal dottor Arthur Guett, un funzionario sanitario di rango elevato, il quale dichiarò che “l'amore mal concepito per il prossimo deve sparire... è dovere supremo dello Stato... garantire vita e mezzi di sussistenza solo alla parte in buona salute ed ereditariamente sana della popolazione, allo scopo di assicurare un popolo (Volk) ereditariamente sano e razzialmente puro per tutta l'eternità”. Egli aggiunse il principio visionario-idealistico che “la vita dell'individuo ha significato solo alla luce di un tale fine supremo”. Ci si attendeva che il medico, come ogni altra persona nella Germania nazista, diventasse “indurito”, per adottare quella che lo stesso Hitler chiamò la “logica glaciale del necessario”. La nota dominante della politica nazista era la trasformazione, nelle parole di Ramm: “un mutamento nell'atteggiamento di ogni e ciascun medico, e una rigenerazione spirituale e mentale dell'intera professione medica”. Il vero medico, inoltre, “non deve solo essere esteriormente un membro del partito ma dev'essere convinto nel suo intimo più profondo delle leggi biologiche che formano il centro della sua vita”. Egli doveva essere anche “un predicatore di queste leggi”.
Direi che può ampiamente bastare.
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