di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
In questa ormai lunghissima crisi geopolitica tra Stati Uniti da una parte e Russia e Cina dall'altra, c'è un convitato di pietra che raramente viene evocato; mi riferisco ovviamente all'equilibrio strategico tra superpotenze che è strettamente legato alle armi atomiche strategiche, ovvero quelle in grado di colpire a livello intercontinentale e dunque a migliaia di chilometri di distanza dal punto dove sono posizionate.
Storicamente l'utilizzo di questo strumento è considerato, sia dai militari che dagli studiosi di questioni strategiche, come la linea rossa definitiva, quella insuperabile, perché significherebbe la fine della civiltà umana. Infatti le due superpotenze principali (Stati Uniti e Unione Sovietica / Federazione Russa) hanno da sempre stabilito delle regole tacite ma anche suggellate da veri e propri trattati internazionali tendenti a mantenere un equilibrio che rendesse impossibile ad uno dei due contraenti di sferrare un attacco in grado di decapitare l'avversario e di paralizzarne la capacità di rispondere all'attacco subito.
Gli accordi più importanti tendenti a limitare il rischio di una guerra nucleare globale sono senza dubbio i trattati START (acronimo di Strategic Arms Reduction Treaty): il primo Trattato START fu firmato da Stati Uniti e Urss nel 1991 e prevedeva la riduzione delle testate nucleari dei due paesi ad un massimo di 6000 e ad un massimo di missili ICBM (missili balistici intercontinentale). Pochi mesi dopo la firma di questo, che fu definito START I, l'Unione Sovietica collassò e subentrarono al suo posto, Federazione Russa, Kazakistan, Bielorussia e Ucraina. A questo trattato si susseguirono – tra alterne e complicatissime vicende – seguirono altri trattati quali lo START II che fu firmato da Bush e Eltcin a Mosca nel 1993 e che prevedeva il divieto di usare testate MIRV (un sistema di trasporto che consente di installare nel missile ICBM diverse testate anziché una singola); questo trattato fu approvato nel 1996 dal Senato americano, ma non entrò mai in vigore a causa dei continui rinvii da parte russa a causa delle vicende legate alla politica internazionale (per esempio l'invasione dell'Iraq e il bombardamento della Serbia e del Kossovo da parte Nato), fino a quando non perse di interesse e cadde nel dimenticatoio nonostante la formale approvazione russa avvenuta nel 2000. Ma il tentativo di regolare l'intricata e pericolosa materia non venne meno, infatti addirittura prima dell'entrata in vigore dello START II partirono le trattative per lo START III nel 1997, ma questo trattato non vide mai la luce. Un altro tentativo che ebbe successo invece fu il trattato SORT che venne firmato nel 2002 a Mosca e che prevedeva il divieto di installare testate multiple nei missili grazie ai MIRV e che limitava il numero di testate in un range tra le 1700 e le 2200.
Venendo più vicini ai nostri giorni, a Praga nel 2010, Barack Obana e Dmitry Medved firmarono il cosiddetto New START che di fatto inglobava, lo START I e II e il SORT. Le cose dunque sembravano andare per il verso giusto con una significativa diminuzione sia delle testate che dei missili ICBM oltre che con il divieto di utilizzo di testate multiple MIRV. Tuttavia, anche su questo fondamentale piano i rapporti tra super potenze sono entrate in un terreno alquanto scivoloso, ovviamente a causa del conflitto scoppiato in Ucraina. Infatti nel Febbraio del 2023 Vladimir Putin annuncia la sospensione da parte di Mosca del trattato NEW START (trattato che comunque scadrà nel 2026, va ricordato). Una notizia, clamorosa giustificata dal Presidente russo, appunto, con la gravità della situazione di ostilità fredda (o quasi) esistente tra la Russia e gli Stati Uniti.
In questa infinita e pericolosissima partita a scacchi con la bomba a questo punto la palla è passata a Washington che ha risposto informalmente proprio in questi giorni attraverso funzionari che anonimamente hanno rilasciato dichiarazioni molto significative al magazine americano di questioni strategiche Semafor.com. Secondo questi funzionari, la Casa Bianca ha deciso di tenere una posizione più competitiva nei confronti di Cina e Russia, al fine di riuscire a portarle al tavolo delle “trattative nucleari”. Va detto, per correttezza, che l'idea americana di aprire un tavolo a tre è da considerarsi giusta, ormai Pechino non può essere esclusa da trattati relativi a questa materia essendo diventata una potenza nucleare di primissimo piano.
Probabilmente la prima mossa statunitense di questa strategia nucleare più aggressiva è lo studio e la realizzazione di una nuova bomba nucleare a gravitazione, denominata B61-13 che si caratterizza per avere una potenza molto maggiore di quella delle B61-12 di obamiana memoria: il nuovo ordigno infatti avrebbe una potenza pari a 360 kilotoni a differenza dei “soli” 50 kilotoni delle B61-12.
Una strategia aggressiva quella americana che non è detto che funzioni, come per esempio sostiene Elena Panina ex deputata della Duma per il partito Russia Unita e attualmente studiosa presso l'Istituto per gli studi strategici internazionali RUSSTRAT. La studiosa infatti sostiene che la Cina non intende in alcun modo sedersi al tavolo delle trattative perché – a suo dire – il proprio potenziale nucleare e di molte volte inferiore a quello statunitense, mentre il Cremlino lega le possibili trattative ad un più generale accordo tra Russia e Stati Uniti che parta innanzitutto dalla risoluzione del conflitto in Ucraina.
Ciò che possiamo evincere da questa pericolosissima partita è che la strategia americana può portare paradossalmente proprio a quella corsa agli armamenti nucleari che voleva evitare. Inutile sottolineare che, allo stato, questa costituirebbe una nuova pericolosissima variabile nella crisi che stiamo vivendo.
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