La politica estera di Donald Trump e del suo team appare come uno spettacolo tanto diretto quanto sfrontato. Le richieste sono esplicite, le minacce schiette, quasi a voler godere nel sottolineare la potenza brutale degli Stati Uniti. L'approccio verso gli alleati sembra più quello di un boss mafioso che di un diplomatico: comprare più gas naturale liquefatto o affrontare conseguenze economiche, ricordare a Panama che tutto ciò che possiede appartiene agli USA, e persino suggerire a Canada e Danimarca di rivedere i confini territoriali sotto la pressione statunitense.
Un esempio lampante è il caso della Groenlandia. Trump vede l'isola come un'opportunità strategica, ignorando la sovranità danese e puntando a una pressione economica e politica per forzare un cambiamento. Questo atteggiamento ricorda una logica mafiosa: identificare nemici comuni (Russia e Cina), imporre obblighi di difesa e, se non rispettati, pretendere compensazioni o territori.
Gli alleati degli USA dovrebbero preoccuparsi. Questa tattica, che mischia minacce e incentivi, non risparmia nessuno. Persino la Germania, nonostante il servilismo verso Washington, potrebbe un giorno ritrovarsi a dover difendere la sua sovranità contro pretese simili.
Quel che rende questa strategia ancora più inquietante è la sua franchezza. Non si tratta più di mascherare ambizioni imperiali con il linguaggio della diplomazia, ma di rivendicarle apertamente. Per gli alleati degli USA, il rischio è di passare da presunti amici a sudditi disprezzati.
*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
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