di Gabriele Germani
Il 30 ottobre, il presidente greco-cipriota Christodoulides ha paventato davanti ad un entusiasta Joe Biden la possibilità di far aderire il suo paese alla NATO. I due hanno dialogato sulla necessità di modernizzare la Guardia Nazionale cipriota. Saremmo davanti una ripetizione del recente passato, quando Svezia e Finlandia aderirono all’alleanza, tuttavia Cipro presenta alcune questione delicate.
Dettaglio non da poco - e che non si capisce come sia sfuggito al Presidente degli Stati Uniti - , la parte settentrionale dell’isola è dal 1983 de facto indipendente col nome di Repubblica Turca di Cipro del Nord (l’occupazione turca risale al 1974).
La repubblica, riconosciuta dalla sola Turchia, ottenne nel 2022 lo status di osservatore dell’Organizzazione degli Stati Turchi. Aleggiò il sospetto che questo fosse un riconoscimento da parte dei membri, tra i quali dal 2021 era (è) annoverata anche l’Ungheria, paese NATO ed UE. Bruxelles comunicò che non era in corso nessun processo di riconoscimento della repubblica turco-cipriota.
La proposta di adesione alla NATO ha incontrato il no di Erdogan ed è stata definita una provocazione dalla controparte settentrionale.
Pochi giorni dopo, Michael Rubin, senior fellow all’American Enterprise Institute, evocava su The National Interest la necessità per gli USA di farsi consegnare le basi militari del Regno Unito sull’isola. Le strutture sono vestigia coloniali conservate da Londra al momento dell’indipendenza. I precedenti ci sono già, dice Rubin, dalla recentissima cessione delle Chagos alle Mauritius, fino al ritiro britannico a Ovest di Suez che Wilson organizzò nel 1970 cedendo le strutture agli USA.
La questione non si conclude qui. L’estate passata, il ministro degli esteri di Ankara, Hakan Fidan, aveva detto che Nicosia stava fornendo supporto logistico a Israele nel conflitto con Gaza. Nashrallah aveva dichiarato che Hezbollah avrebbe colpito Cipro qualora avesse fornito assistenza logistica in un conflitto col Libano.
La minaccia non era da poco: Cipro è membro UE e area euro. Christodoulides ha ribadito che Cipro non intendeva farsi coinvolgere nel conflitto e che le autorità avevano un continuo dialogo con Beirut e Teheran.
L’isola è inoltre posizionata strategicamente davanti le coste libanesi e siriane, all’altezza delle due basi russe di Latakia (aerea) e Tartus (navale).
Il rebus si risolve dunque con una banale intenzione degli USA di fare le scarpe agli alleati e subentrare in un hub militare ed energetico? Siamo davanti al solito strozzamento a cui gli USA sottopongono l’Europa (tecnicamente alleata, in realtà colonia)? Non solo.
Turchia, Regno Unito e Israele, non sono Francia, Germania o Italia sottoposte a politiche di spoliazione industriale e costrette ad una politica estera eterodiretta da Washington.
Ankara ha più volte dimostrato di saper tesaurizzare la sua posizione tra tre continenti, usando la propria storia. L’ascesa di Erdogan e del suo partito, l’AKP, una sorta di Democrazia Cristiana turca, ha permesso alla Turchia di ritagliarsi un ruolo più ambizioso di quello giocato fino a un paio di decenni fa.
Fino ad allora Ankara aveva tenuto un atteggiamento filo-occidentale e parte di questo era stato il laicismo; che in politica estera dopo la caduta dell’URSS, si era trasformato in una rivalutazione del panturanismo. Il paese aveva penetrato l’Azerbaigian e gli -stan centroasiatici per conto della NATO, rivangando il passato.
L’AKP ha contrapposto a questa politica estera il neo-ottomanesimo, mediterraneo ed orientato a fare di Ankara il ponte tra Europa, Asia e Africa. Da qui il dinamismo in Siria e Iraq, la trasformazione dell’Azerbaigian in una sorta di piccolo fratello armato contro l’Armenia, cartine governative che includono le isole egee (greche), dalle quali è facile arrivare sulle coste libiche, dove la Turchia ha rimpiazzato l’Italia nel post-Gheddafi.
Ankara si è impegnata a sostenere la Somalia e ha concentrato nell’area del Corno d’Africa ingenti investimenti nell’edilizia, a cui Erdogan è legato. Una strategia pragmatica, non anti-occidentale, ma post-occidentale che la Turchia può giocare anche data la percezione di appartenere al Sud globale.
Al termine della Guerra Fredda, lo stato anatolico ha ereditato il ruolo di ponte tra mondi che prima era toccato al nostro paese; i mutamenti geopolitici odierni (l’ascesa multipolare) permettono però a queste manovre maggior coraggio e forse porranno il paese al sicuro dal tramonto occidentale.
Questo era almeno in parte il piano di Erdogan, quando questa estate dopo l’Azerbaigian, presentò domanda di adesione ai BRICS.
Tanta acqua è corsa sotto i ponti e tante vicende apparentemente non collegate rivelano forse una trama più grande.
I primi giorni di ottobre l’alleato di governo Bahçeli, leader del MHP della destra nazionalista, stringeva la mano ai parlamentari del partito di sinistra DEM, espressione dei curdi. Il 22 ottobre, Bahçeli andava oltre, invitando Ocalan - leader del PKK, detenuto dallo stato turco - a recarsi in Parlamento e dichiarare la fine della lotta armata.
Il 23 ottobre mattina, il nipote di Ocalan riceveva il permesso di poterlo visitare, un fatto epocale.
Lo stesso giorno Erdogan arrivava a Kazan, ospite del vertice dei BRICS in Russia.
Nelle stesse ore, un gruppo del PKK portava un feroce attentato alla sede dell’industria aerospaziale turca ad Ankara.
Ma perché il governo ha provato a dialogare con DEM/PKK?
Una delle ipotesi è legata al corridoio transcaspico. Il gasdotto partirebbe dall’Asia centrale, passerebbe il Caspio per giungere in Azerbaigian, da qui attraverso il corridoio di Zangezur (non a caso sede di conflitto tra azeri e armeni) arriverebbe in Turchia, nella porzione curda del territorio nazionale. Garantire la sicurezza di questa via energetica è di importanza capitale per Erdogan per controllare il mercato energetico europeo.
Potrebbero poi esservi anche dinamiche locali, il governo potrebbe chiedere l’appoggio di DEM per far varare una nuova Costituzione in cambio di una serie di garanzie per le minoranze.
Arriviamo all’attentato.
Una Turchia in grado di proiettarsi in Asia Centrale, hub energetico, in buoni rapporti con la Russia, membro dei BRICS, nella Via della Seta, in rotta con Israele e pacificata al proprio interno a chi non fa comodo?
Il 23 ottobre si verificava l’attentato, il 30 ottobre si parlava di adesione di Cipro alla NATO.
Arriviamo alle recenti vicende siriane: i jihadisti che stanno distruggendo la stato siriano sarebbero filo-turchi e avrebbero avviato una resa dei conti con i curdi locali (alleati degli USA). I due paesi della NATO presenti nell’area sostengono fazioni opposte? L’amministrazione Biden dimissionaria vuole bruciare ogni ponte dalla Siria all’Ucraina.
E allora ancora una volta: a chi conviene la situazione odierna?
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