La volontà popolare come mito da sfatare

di Giuseppe Giannini

C'è un dato che, da qualche decennio, caratterizza le vicende politiche del Vecchio Continente: la scarsa affluenza al voto dei cittadini europei. L'assenteismo è il risultato di molteplici elementi. Innanzitutto, la prima causa è la spoliticizzazione dell'esistente modellato sull'uniformismo degli individui votati al consumo; vi è la presa d'atto della sempre più autoreferenzialità dei partiti, che mirano unicamente al carrierismo trascurando colpevolmente le questioni fondamentali: e poi c'è la grande massa di vecchi e giovani elettori che non si riconoscono negli esponenti degli stessi o non trovano risposte adeguate alle loro esigenze. Questo a voler delineare un quadro generico, le cui singole componenti andrebbero approfondite, ma è al contempo emblematico della perdita di significato della questione di classe. Se fino al secolo scorso chi accettava la competizione all'interno della rappresentanza lo faceva perchè intravedeva il riconoscimento delle problematiche attraverso la forma- partito - quelle che una volta venivano definite ideologie – al quale rimetteva, delegando, la conflittualità sociale, via via questo processo di immedesimazione, che addirittura in alcuni casi sfociava nei dogmatismi, è andato scomparendo. Ciò che è rimasto, quello che non è mutato, è l'eterna lotta tra fazioni e cordate di potere, dentro e per mezzo dei partiti, per accaparrarsi le posizioni migliori.

Già negli anni sessanta del Novecento si parlava di crisi dei partiti come organi della mediazione, e della rappresentatività nel suo complesso, ma qui eravamo comunque immersi in una realtà, che per quanto distante dalle vite normali, sembrava vera rispetto a quella attuale unificata dal pensiero neoliberale della "fine della Storia". Il cui compimento ultimo è costituito dall'ibridazione col virtuale della rete internet, che come prima aveva fatto la televisione, è riuscita a surrogare il reale con momenti del vero propri di soggetti che sembrano appartenere ad un'altra dimensione.

D'altronde i media generalisti hanno lo scopo di tranquillizzare (lobotomizzare) i cittadini, incentrando ogni racconto sulle vite esemplari di determinate figure - le star dello spettacolo e dello sport, gli appartenenti alle monarchie, il mondo imprenditoriale e affaristico, i politici di professione ecc. - che diventano gli esempi virtuosi da imitare, con lo scopo di fuorviare e far desiderare il privilegio, al fine di rimuovere definitivamente il conflitto sociale.

La fine dell'estensione di quelle lotte grazie alle quali invece la società umana nel suo complesso è progredita, mentre oggi ha perso la sua essenza.
Cosi, per sopperire alla mancanza di senso, ecco montata l'attenzione verso le competizioni elettorali che vedono coinvolti protagonisti funzionali al sistema. Facciamo finta di entusiasmarci quando a vincere è una donna, magari di colore, tralasciando, ancora una volta, il dato fondamentale che sta dietro agli interessi in campo. E il popolino che come negli stadi fa il tifo, urlando grida di delirio per il contendente più telegenico. Ed è ovvio che il ruolo della rete, e in specie dei social, diventa fondamentale nel far passare determinati messaggi, quanto nello sponsorizzare i futuri leader, che nelle fattezze e nel linguaggio stereotipato appaiono del tutto similari ai peggiori influencer. (Basti guardare l'ultimo impresentabile video della premier appena tornata dalle vacanze). Quando tutto diventa marketing.

Per cui, l'utilizzo di ogni mezzo per rendere credibile/ attrattivo il politcante di turno, e gli infiniti appelli a richiamare al voto gli indisciplinati, non tengono conto che, per fortuna, c'è una minoranza consapevole che non ci sta a far parte del gioco.

La volontà che trova formazione all'interno del popolo è un mito da sfatare proprio per quanto detto fin ora. Lì dove esiste la presa di coscienza che mira al cambiamento dello status quo essa riceve come risposta la forza della repressione delle moderne democrazie.

Quando poi accade un fatto raro, quanto recentemente avvenuto nelle elezioni francesi, con il Fronte popolare vincitore e portavoce del malcontento sociale (la popolazione stanca delle troppe diseguaglianze e degli abusi del potere), il presidente Macron, delegittimato a destra come a sinistra, ribadisce non solo la lontananza dall'ideale repubblicano delle pari opportunità, quel libertè, egalitè, fraternitè coniato durante la rivoluzione francese del 1789, ma mette in discussione anche secoli di vita delle istituzioni politiche fondate sui presupposti della separazione dei poteri, dell'autonomia del politico, e del rispetto della volontà uscente dal voto.

In sostanza, un trend fattosi prassi un pò dovunque nel cd. mondo democratico. E che, secondo la distorta visione occidentale, vede altrove dittature!

Viene a delinearsi il nuovo assolutismo che, a seconda delle circostanze, è pronto a rivedere taluni principi del viver associati pur di non mettere in discussione il sistema di governo mondiale imperniato sull'appoggio alle politiche imperialistiche di appropriazione delle risorse umane e fisiche sulle quali si basa il capitalismo.

D'altronde, se in Europa la mggior parte dei partiti con una tradizione di sinistra hanno scelto la via liberista come scorciatoia per il raggiungimento del potere, altrove, quando vi sono state forze social-comuniste con una vocazione popolare o indigena (nei diversi Paesi dell'America Latina) che sono giunte a governare, hanno optato, anche a causa delle forti pressioni dei mercati internazionali e dei tentativi di golpe fomentati dall'esterno, per il compromesso con le istituzioni del capitale globale al fine di evitare il peggio. Ancora oggi poche luci e troppe ombre in quelle terre martoriate da secoli di colonialismo.

La competizione è relativa all'estrazione delle ricchezze, che riguardino il petrolio, i gasdotti o le terre rare, tale è il fondamento dell'agire politico di ieri come di oggi.

Quindi, coloro che rendono la volontà popolare uno slogan a fini prettamente elettoralistici, dovrebbero zittirsi.

E lezioni di democrazia non ci spettano nemmeno dal mondo liberal "democratico" di sinistra.

Sono loro che hanno concesso uno strapotere a soggetti e piattaforme ( Bill Gates, Zuckerberg, Bezos) in grado di manipolare e controllare le masse. Essi si muovono in perfetta sintonia con gli esponenti del pensiero conservatore-liberista, i cui paladini, magnificati dai media asserviti hanno fatto troppi danni e si chiamano Mario Draghi, Christine Lagarde, Ursula von der Leyen, ma anche lo stesso Macron o tutti quelli che fanno parte del giro. Per questi inquietanti soggetti le elezioni sono una pura formalità, da contrastare nelle remote ipotesi in cui venga fuori una volontà diversa. Quando il popolo si esprime, nel caso in cui lo fa in maniera divergente con i superiori interessi quei milioni di voti diventano carta straccia. E' il caso del referendum sull'acqua in Italia nel 2011. E qualora fosse in vista il cambiamento bisognerà iniziare a muoversi con meno democrazia come ebbe a dire l'altro tecnocrate Mario Monti.

Il capitalismo nella versione neoliberista è disposto a sacrificare qualche diritto civile (che non sono per tutti) tollerando l'ascesa delle destre reazionarie (dei Meloni, Salvini, Orban ecc.) le quali sono ad esso speculari. Infatti, servendosi di guru tossici come Elon Musk, e continuando con quella narrazione populistica smentita dalla tragedia storica dei nazionalismi, le destre non hanno nessuna intenzione di mettere in discussione la globalizzazione economico-politica che li vede essere sostenitori e parte attiva dei disegni imperialistici portati avanti dalla Nato e dalla sua appendice tecnocratica, la UE.

Tutti funzionali al governo delle élite mal sopportano il pluralismo delle idee. Sono lì ad assicurare l'alternanza dei governi all'interno della stessa cornice, e non di certo l'alternativa al capitalismo.

Quando la volontà è eterodiretta viene meno anche la libera autonomia di pensiero e decisonale degli individui. Altro che consenso popolare!

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