L’autonomia differenziata è una truffa

di Michele Blanco

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge 26 giugno 2024, n.86 recante disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
La riforma andrà a completare, peggiorandolo, il percorso di devoluzione delle competenze legislative verso le Regioni, già iniziato con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che fu malauguratamente approvata con una maggioranza di centrosinistra e poi confermata da referendum (33,9% di votanti, 64% di favorevoli e 36% di contrari). Le responsabilità vengono da lontano.
Oggi sono tantissime le voci discordanti circa l’introduzione della nuova riforma. Per capirci, l’on. Calderoli, il proponente della “Riforma”, si è sempre distinto per leggi come la famosa legge elettorale da lui stesso definita “porcata”, che hanno penalizzato le scelte democratiche dei cittadini italiani. Quella di Calderoli è senza dubbio una autonomia nella quale il più forte si accaparra tutto. Molti ritengono, senza mezzi termini, che nel piano progettato dal ministro leghista, i più forti prenderanno gran parte dei fondi disponibili.
L’esatto contrario di quanto dice la Costituzione italiana. Inoltre, cosa assurda in uno Stato di diritto, si prevede che la trattativa sull’attribuzione dei poteri si svolga tra Regioni e ministro, ignorando il ruolo democratico del Parlamento, una sorta di trattativa privata su funzioni, soldi, e materie che lo Stato è disposto a delegare: sono ventitré gli ambiti previsti, che vanno dalla scuola ai trasporti, dall’ambiente alla sanità, ai servizi sociali. I patti che ne deriveranno saranno di fatto blindati visto che sarà possibile modificarli solo con il consenso della Regione interessata, cioè mai nel caso si tratti di Regioni ricche, nemmeno se il governo si convincesse dell’opportunità di rivederli.
Le preoccupazioni riguardano i rischi legati all’unità nazionale e soprattutto all’ uniformità delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, attraverso i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi (in breve LEP) che devono essere garantiti in modo uniforme a tutti i cittadini italiani, sull’intero territorio nazionale. Questo perché riguardano diritti civili e sociali da tutelare per tutti.
Nello specifico le richieste che sono state avanzate dalla Lombardia, dal Veneto e, in larga misura, anche dall’Emilia Romagna, hanno due fondamentali caratteristiche. La prima è portare talmente tanti poteri e competenze a livello regionale da determinare vere e proprie Regioni-Stato che non esistono in nessun sistema politico del mondo. Si tratta di un processo, se non formalmente, ma sostanzialmente secessionista, perché farebbe nascere con il tempo in Italia Regioni largamente indipendenti nella determinazione di quasi tutte le principali politiche pubbliche, in particolare assistenza sociale e politiche sanitarie.
Chiaramente essendo queste le tre Regioni più ricche e forti del Paese è una secessione dei ricchi. Lo ha spiegato con grande dovizia di particolari Gianfranco Viesti, docente di Economia applicata all'Università di Bari, e autore del libro Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale, pubblicato da Laterza.
La seconda caratteristica risiede nel fatto che da sempre nelle richieste di Lombardia e Veneto, c’è l’idea di fondo che poichè i loro cittadini pagano più tasse, devono avere più servizi. Questa azione antisolidaristica rompe l’unità sostanziale della Repubblica perché tratta gli italiani in maniera diversa, a seconda del luogo in cui vivono. La riforma dell’autonomia differenziata è solo a favore dei ricchi perché è a vantaggio solo dei cittadini che vivono nelle Regioni più ricche. Infatti le Regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, sicuramente le più ricche, hanno chiesto tutte le competenze teoricamente previste dalla Costituzione, quindi scuola, sanità, infrastrutture, energia, ambiente, cultura etc. La concessione di questi poteri alle prime Regioni che li chiedono, e poi anche alle altre, creerebbe un Paese enormemente disuguale e ingiusto nel quale il governo nazionale non si sa più in cosa ha competenza e ciascuna Regione organizza le infrastrutture o la sanità come meglio può, cioè molto bene per le Regioni ricche e molto male nelle restanti povere.
Il trasferimento di questi enormi poteri alle Regioni avrebbe il risultato di ridurre la velocità di crescita dell’Italia, perché un trasferimento di questo genere è assolutamente economicamente inefficiente.
Non solo, un passaggio di competenze così esteso a Regioni così grandi, e poi via via a tutte le altre, ridurrebbe enormemente la dimensione del bilancio nazionale. Quindi il ministro dell’Economia avrebbe problemi sia a gestire il debito pubblico sia a disegnare le politiche che normalmente uno Stato nazionale fa: la Costituzione prevede la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi (LEP) ma i settori in cui mancano sono l’assoluta maggioranza. E non sono stati definiti per un chiaro ritardo, un disinteresse della politica.
Tutto questo dipende da una grave e ingiustificata sottovalutazione politica del tema fondamentale: in una nazione democratica, l’uguaglianza tra i cittadini è favorita dalle condizioni dei luoghi in cui si vive; ciò rappresenta una determinante importantissima, già oggi, delle disparità che subiscono i cittadini nella loro vita quotidiana.
Il caso più importante riguarda la sanità, dove esistono i cosiddetti LEA (Livelli essenziali di assistenza) che sono sostanzialmente dei LEP, ma sono totalmente scollegati dai meccanismi finanziari, perciò chi non riesce a raggiungere tali livelli essenziali di assistenza, non può far nulla, perchè non ha risorse aggiuntive per poterli garantire. Con l? autonomia differenziata sarà sempre peggio, per le Regioni povere sarà impossibile curare i propri cittadini malati.
Il Parlamento viene spogliato del suo potere legittimo perché questa legge prevede che le intese fra lo Stato e le Regioni possono essere tranquillamente sottoscritte senza che i rappresentanti del popolo eletti possano fare nulla. Allora perché è stata fatta la legge? Per portare tutti i poteri in materia alla Presidenza del Consiglio e impedire al Parlamento di entrare nel merito delle richieste, e quindi di fare quello che sarebbe assolutamente indispensabile potere fare per una discussione parlamentare punto per punto, richiesta per richiesta, per capirne di più. La cosa maggiormente preoccupante è che la materia è diventata esclusivamente questione di scambio politico interno alla maggioranza, che governa attualmente il nostro Paese, e non questione fondamentale per tutti perché riguarda gli assetti di governo dello Stato.
In Italia avremmo semplicemente bisogno della perequazione finanziaria orizzontale come è prassi costituzionale nella Repubblica Federale tedesca che ha permesso negli anni una sostanziale uguaglianza dei cittadini, eliminato le differenze economiche che erano molto forti, quando nacque la Repubblica, tra i vari Stati che compongono la federazione.
La perequazione tra Länder, vale a dire gli Stati ricchi finanziano gli Stati poveri, è stabilito dall’art. 107 della Legge Fondamentale: una norma molto articolata che mira a garantire, in primo luogo, l’assicurazione che le differenze nella capacità finanziaria dei singoli Länder vengano adeguatamente compensate, imponendo nel contempo alla legge ordinaria di stabilire i presupposti sia per le richieste di conguaglio presentate dai Länder che ne hanno diritto, che per gli obblighi contributivi a carico dei Länder più facoltosi, nonché dei criteri necessari per l’individuazione dell’ammontare delle prestazioni di conguaglio (art. 107 II LF).
A ben vedere l’esatto contrario di quello che si sta facendo in Italia con questa legge che molti parlamentari, provenienti dalle zone svantaggiate del nostro Paese, anche molisani, hanno votato. Con la “legge Calderoli” a pieno regime non ci saranno probabilmente più servizi di nessun tipo per gran parte degli italiani, ovviamente i più poveri, mentre chi già sta bene probabilmente, con un accordo Regione-Presidenza del Consiglio, finanzierà la costruzione di un muro per impedire di trasferirci tutti in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.

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