di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Stanno suscitando quantomeno clamore le recenti dichiarazioni di Donald Trump a proposito di quelli che non sembra esagerato qualificare come appetiti americani nei confronti di aree e interi paesi che, anche solo geometricamente parlando in termini di superficie, non somigliano proprio allo scoglio di Montecristo o alla città del vaticano, pur con tutto il rispetto per il primo e la rilevanza mondiale della seconda. Il prossimo quarantasettesimo presidente yankee ha menzionato, per diversi aspetti e con diverse motivazioni, Messico, Panama, Canada, Groenlandia...
A parte canale di Panama e Canada, Donald Trump aveva bofonchiato qualcosa a proposito di una ipotetica acquisizione della Groenlandia – territorio autonomo danese - già durante la sua prima presidenza e aveva allora addirittura annullato la prevista visita in Danimarca, dopo che Copenhagen gli aveva risposto picche.
Considerati nel loro insieme, le regioni che Trump intenderebbe porre sotto controllo USA hanno la peculiarità di concedere agli yankee, in caso di conseguimento del progetto, il controllo del commercio mondiale, con diretti vantaggi commerciali e geopolitici. Il canale di Panama, per dire, rappresenta il 5% del traffico marittimo mondiale e due dei suoi cinque porti sono già in mano cinese; Washington ha dunque motivi sufficienti per allarmarsi: secondo il Council on Foreign Relations, società statali cinesi possiedono, in giro per il mondo, quote di circa 100 porti in 64 paesi, in tutti gli oceani e continenti tranne l'Antartide, e Pechino chiaramente non intende fermarsi qui.
Per quanto riguarda la Groenlandia, con le sue riserve di acqua dolce, idrocarburi e minerali rari (43 dei 50 materiali ritenuti “critici” dal Dipartimento di stato sono nel sottosuolo dell'isola) è chiaramente una portaerei galleggiante: basta dislocarvi missili e caccia, come durante la guerra fredda, e il controllo dell'Artico è cosa fatta. Più o meno lo stesso per il Canada.
Insomma, pare che Trump, in generale, sogni un'America come una cittadella in grado di disporre autarchicamente di tutto ciò di cui ha bisogno. Ma, la Danimarca non mostra alcuna intenzione di separarsi dalla Groenlandia e il Canada, tuttora membro del Commonwealth britannico, non vuole passare agli Stati Uniti, eventualità che oltretutto porterebbe a uno scontro tra Londra e Washington.
Limitiamoci però per il momento a esaminare alcuni aspetti riguardanti la Groenlandia, anche perché sembrano quelli più degli altri direttamente legati alla competizione, se non proprio ancora contrapposizione aperta, tra Washington e Mosca per il controllo della regione artica, con la Russia che, per esempio, dispone di una flotta di rompighiaccio (atomici e non) che surclassa di alcune decinedi volte quella statunitense.
Del resto, l'interesse per l'Artico, anche da parte di paesi molto distanti dal Polo, è aumentato sensibilmente con lo scioglimento dei ghiacci e il significativo aumento dell'accessibilità alle rotte marittime regionali, ora percorribili tutto l'anno. Tanto più che il cambiamento climatico rende più facile lo sfruttamento delle risorse naturali locali, tra cui petrolio e gas.
Nello specifico della Groenlandia, essa è strategica per la difesa missilistica e la sorveglianza spaziale, oltre che per il controllo dell'Artico, sia in senso militare, che per avere sotto mano, appunto, le direttrici di trasporto marittimo, come la Rotta artica. Già nel 2019, quando circolavano già alcune voci sull'interesse yankee per l'immensa isola, esperti USA stimavano che il suo acquisto avrebbe comportato una spesa di 1.700 miliardi di dollari.
Del resto, ragionando per assurdo e ricordando come il governo groenlandese abbia il diritto di negoziare e concludere accordi internazionali a nome del regno danese e una decisione sull'indipendenza possa essere presa per via referendaria dagli stessi abitanti della Groenlandia (pur con il consenso del Parlamento danese), è chiaro come la situazione dell'isola più grande del mondo sia ben lontana dallo status di “terra indiscutibilmente danese” e potrebbe portare con relativa facilità a una definitiva perdita di potere della corona danese.
E se immediatamente dopo le dichiarazioni di Trump, il primo ministro groenlandese Mute Egede ha ribattuto che l’isola non è in vendita e anche la maggior parte degli isolani si dice contraria all'indipendenza, le loro risposte di solito includono l'aggiunta: «se questo porta a un livello di vita più basso». Per dire, un anno e mezzo fa è stato preparato e trasmesso a Copenhagen un progetto di Costituzione per una Groenlandia sovrana.
Andando un po' indietro nel tempo, quando la Danimarca si arrese ai nazisti nell'aprile del 1940, Washington riesumò immediatamente le proprie dichiarazioni del 1920, secondo cui nessuna nazione terza (inclusa la Gran Bretagna) sarebbe stata accettata come sovrana sulla Groenlandia, estendendo in tal modo all'isola la famigerata “Dottrina Monroe”.
Molto più di recente, invece, dal 1° ottobre 2023, Washington ha sottoscritto un contratto di appalto con la groenlandese “Inuksuk” per la manutenzione della base spaziale americana Pituffik (ex Thule Air Base, risalente agli anni '50, come prima zona di allerta da attacchi nucleari), la più grande struttura militare yankee sull'isola: il Pentagono pagherà alla ditta appaltatrice 28 miliardi di corone danesi fino al 2035, una cifra più o meno equivalente a tutte le sovvenzioni di Copenhagen per l'isola.
In sostanza, “Monroe” o meno e indipendentemente dalle “ubbie” di Donald Trump, l'interesse USA per la Groenlandia è strategico: è dall'isola (oltre che, ovviamente, dalle cinque basi americane in Alaska) che il Comando di difesa aerospaziale yankee dovrebbe intercettare i missili russi in caso di guerra e, in ogni caso, a Pituffik potrebbero essere dislocati anche gli F-35. In fin dei conti, Washington aveva voluto la Danimarca nella NATO sin dal 1949 proprio per la Groenlandia e all'epoca Harry Truman aveva offerto alla Danimarca 100 milioni di dollari per l'acquisto dell'isola.
Così, se già la scorsa primavera i vertici NATO avevano forzato la Danimarca ad accrescere le spese militari di un ulteriore 1% del PIL (5,94 miliardi di dollari in più nel 2024-2028) e Copenhagen aveva acconsentito obtorto collo, ecco che ora, dopo le dichiarazioni di Trump, ha immediatamente deciso, senza che qualcun altro le forzasse la mano, di investirvi altri 2 miliardi di dollari. Il Ministro della difesa Troels Lund Poulsen ha dichiarato: «Per molti anni non abbiamo investito nell'Artico in misura sufficiente, ora abbiamo intenzione di rafforzare la nostra presenza». Questa è anche la risposta alla domanda sul perché, già nel 2020, Vladimir Putin avesse firmato il decreto “Sulla strategia di sviluppo della zona artica della Russia e la sicurezza nazionale fino al 2035”.
E non è fuor di luogo, osserva Elena Panina su news-front.su, ricordare la posizione geografica dell'isola: la distanza dalla base di Pituffik a Washington è di 4.206 km, mentre Londra è a 3.958 km e Copenhagen a 3.862 km; fino a Murmansk sono invece solo 3.021 km e all'aerodromo di Rgacëvo (Novaja Zemlja) 3.104 km. Pevek (Chukotka) dista 3.295 km e il punto più settentrionale della Russia appena 2.184 km.
In generale, le “incursioni” verbali di Trump si basano sulla strategia a lungo termine degli Stati Uniti. Non è un caso che gli analisti della Heritage Foundation parlassero dell'importanza della Groenlandia per la sicurezza nazionale USA, mettendo in guardia dalla supremazia russa nell'area artica, già nel 2019, prima cioè di arrivare all'agenda completa stilata nel cosiddetto “Progetto 2025” della stessa agenzia (lo stesso istituto, aveva compilato le “raccomandazioni” governative nel 2015 e, prima ancora, nel 1981, alla vigilia dell'insediamento di Ronald Reagan) e dunque con largo anticipo sulle dichiarazioni di Trump per un'accresciuta attenzione di Washington verso la Groenlandia.
D'altronde, l'Artico è senz'altro una delle possibili arene di un futuro conflitto globale, tanto più che tutti i paesi più o meno vicini alla Russia nella regione artica sono membri della NATO, con la regione che viene drasticamente militarizzata e con dispute sempre più frequenti sulla proprietà di alcuni territori e lo status delle rotte commerciali.
In conclusione, sul piano “operativo”, la Reuters si chiede quale potrebbe essere la via per cui Washington riesca ad “attrarre” l'isola danese e ipotizza potersi ripetere un analogo del COFA (Compact of Free Association) firmato con Micronesia, Palau e Isole Marshall: vale a dire, niente altro che uno status di semi--colonie USA.
Oppure le dichiarazioni di Trump sono sulla stessa lunghezza d'onda di porre fine al conflitto in Ucraina in 24 ore....?
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