Di Maurizio Vezzosi* - 10 dicembre
Con la fuga di Bashar al Assad a Mosca finisce la storia della Repubblica araba di Siria nata con il tramonto del mandato coloniale francese. L'offensiva delle milizie sostenute dalla Turchia è riuscita ad arrivare a Damasco nel giro di pochi giorni, forte della copertura aerea israeliana che per mesi, ed anzi per anni, ha bombardato la Siria e della debolezza ormai terminale di Assad.
Quello che le milizie antigovernative non sono riuscite a fare in oltre dieci anni di guerra civile si è compiuto in una settimana. Le forze israeliane stanno continuando ad attaccare le infrastrutture dell'ormai ex esercito siriano avanzando nell'area del Golan - denominando la nuova area d'occupazione “zona cuscinetto” - e distruggendo con i bombardamenti aerei infrastrutture – come il porto di Latakia - centri di ricerca ed industriali. Contemporaneamente gli attacchi delle milizie sostenute dalla Turchia si stanno concentrando sulle aree controllate dalle forze curde. Il quadro, ancora opaco, fa intravedere almeno per il momento il maggiore successo israeliano, turco, britannico e statunitense raggiunto nell'area negli ultimi anni. Oltre a Damasco, le forze sostenute dalla Turchia avrebbero già anche il controllo di Tartus, città costiera dove si trova la base navale russa.
Il nesso degli eventi siriani con tutte le altre crisi del Vicino Oriente – su tutte, quella palestinese – è evidente: non meno evidente è il nesso di questi con la transizione transizione Biden – Trump. Se si tratti dell'ennesima mossa dell'amministrazione Biden pensata per mettere condizionare il successore, di una mossa volta ad anticipare la politica della nuova amministrazione o di un “do ut des” tra Mosca e Washington legato all'Ucraina diventerà chiaro nel 2025. Quello che è certo è che quanto è avvenuto in Siria nelle ultime ore non sarebbe potuto accadere senza l'avallo statunitense, visto anche il presidio delle truppe di Washington presso i pozzi petroliferi della parte nord-orientale dell'ormai ex-Siria ed i legami tra gli attori coinvolti con gli Stati Uniti.
Mentre l'ex membro dell'ISIS e di al-Qaeda Abu Mohammed al-Jawlani - Ahmed al-Shara - viene presentato come l'uomo forte sulla scena, Mohammed al-Bashir è stato incaricato capo del gabinetto di transizione dopo un incontro con l'ex primo ministro siriano Mohammed al-Jalali: quest'ultimo era apparso poche ore prima scortato da uomini dell'HTS (acronimo di Hayat al Tahrir al Sham, “Organizzazione per la liberazione del Levante”) che hanno ormai il controllo della capitale Damasco.
Questi elementi potrebbero spiegare le diserzioni di massa tra le forze armate siriane e come queste ultime abbiano rinunciato ad opporre una resistenza significativa all'avanzata delle milizie sostenute da Ankara. La debolezza di Assad sul piano interno era nota da tempo anche a Mosca: una conferma di ciò si può trovare ricordando i colloqui promossi dal Cremlino tra il governo di Damasco e le opposizioni nell'ormai lontano 2018: sullo sfondo di questi colloqui era trapelata persino la bozza di nuova costituzione che avrebbe dato alla Siria un assetto più decentrato e maggiormente federale. Un progetto riformatore teso a dare maggiore rappresentatività e potere sopratutto alle grandi comunità sunnita e curda: un progetto mai attuato anche per l'oltranzismo di Assad con cui forse, almeno in alcune aree della Siria, sarebbe stato possibile salvare l'eredità di quel laicismo che appare destinato a scomparire.
Considerando il proprio impegno in Ucraina ed il quadro siriano Mosca ha attuato la scelta probabilmente più logica in difesa dei propri interessi: del resto con una forza terrestre estremamente ridotta - impiegata ad oggi principalmente come polizia militare – e con le forze governative scioltesi - sul piano politico e militare - come neve al sole qualunque altra scelta sarebbe risultata velleitaria. Per Mosca ma soprattutto per Teheran il nuovo scenario siriano apre una nuova fase di rischi ed incognite. Oltre alle basi presenti nell'area un problema significativo per Mosca riguarda i combattenti jihadisti provenienti da tutto lo spazio post-sovietico inquadrati tra le fila dell'HTS: un problema che rimarrà sicuramente al centro dell'interlocuzione tra il Cremlino e la nuova dirigenza siriana. L'Iran rischia di perdere il corridoio terrestre con cui attraverso l'Iraq ha avuto fino ad oggi un accesso diretto al Mediterraneo, oltre a subire una maggiore pressione militare a ridosso delle proprie frontiere: nonostante questo rischio e la forte contrapposizione degli anni scorsi tra HTS ed Hezbollah le prime dichiarazioni del partito-milizia libanese sugli eventi siriani hanno evitato ogni presa di posizione marcata.
L'era di Bashar al Assad è terminata, a differenza della grande guerra che si sta combattendo in tutto il Vicino Oriente.
*Pubblicato su Telegram: @mauriziovezzosi
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