Lo "schema Meloni". I 3 significati dietro la nomina di Barnier in Francia

di Paolo Desogus*

Alla fine è andata come molti di noi si aspettavano. Il presidente Macron ha affidato alla destra il compito di formare il governo. L’incarico è stato dato a Michel Barnier, uomo d’altro profilo conosciuto come il “negoziatore della Brexit”. È stato anche più volte commissario europeo e ha alle spalle una lunga carriera come parlamentare e senatore. Non è un uomo brillantissimo, ma non è nemmeno uno qualsiasi.

La sua nomina è stata preceduta da una serie di consultazioni con Sarkozy, segno che la mediazione è stata lunga e laboriosa, sebbene ufficialmente Macron abbia inizialmente cercato di formare un governo guidato dalla sinistra uscita vincente. Si trattava, come si è subito capito, di semplice melina.

Per il momento da questa nomina possiamo ricavare tre significati. In primo luogo è una chiamata nel segno dell’europeismo. Barnier è un uomo di fiducia di Bruxelles, ne conosce i meccanismi e ha tutte le entrature per avere un dialogo diretto e decisivo con la commissione Von del Leyen. La Francia si avvia del resto verso una fase di più stringente dipendenza dall’UE, e questo sia per questioni strutturali (la Francia si sta impoverendo) e sia perché l’establishment vuole servirsi della sponda europea per smantellare quel che ancora sopravvive dello stato francese. L’UE del resto serve proprio a diffondere l’ideologia del neoliberismo.

In secondo luogo, è una nomina che offre garanzie ai centri economici del paese. La mediazione di Sarkozy, di cui Barnier è stato primo ministro, è servita a quello. D’altra parte, va detto, nell’ottica macronista era necessario trovare un accordo per sbarrare la strada a un governo del cambiamento di sinistra.

In terzo luogo, è un governo che dovrà aiutare il RN di Marine Le Pen a entrare nell’area di governo e a rendersi presentabile all’estero. Barnier non ha infatti una maggioranza parlamentare. Il suo sarà un esecutivo di minoranza che per sopravvivere dovrà entrare in dialogo con i lepenisti, i quali come contropartita verranno sdoganati con il loro sostegno indiretto.

È questo forse il punto più dolente da sopportare. L’idea che Macron intendesse veramente creare un fronte repubblicano contro l’estrema destra era solo una trovata estiva a cui potevano credere gli allocchi o i liberali scemi. Macron ha giocato la carte antifascista solo per raggranellare qualche voto in più e per tentare di dare al suo mandato una parvenza di moderazione.

La grande attenzione dei potentati economici francesi verso il RN doveva però già far intendere che il vento è cambiato e che la figurina di Macron si sarebbe riposizionato su nuovi equilibri in cui la destra lepenista, una volta normalizzata, può far valere il suo peso politico.

In questo quadro Barnier in quanto figura europeista può aiutare i lepenisti nell’opera di adeguamento politico. Lo schema è simile a quello impiegato in Italia con il partito di Giorgia Meloni, inizialmente anti-establisment e antieuropeista e poi tramutatosi in una pedina importante del sistema UE.

Due considerazioni rapide: i liberali sono sempre gli stessi, sono quelli che pur di stare in sella e impedire qualsiasi riforma che ridistribuisce la ricchezza verso il basso si alleerebbero col diavolo; per la sinistra può forse aprirsi uno spiraglio: il colpo di mano di Macron non sarà privo di conseguenze e seppure dall’opposizione i partiti del Front Populaire potrebbero capitalizzare altro consenso. Dobbiamo solo sperare che i governisti del Psf non si facciano attrarre dalle sirene delle larghe intese come dei piddini qualsiasi.

*Post Facebook del 6 settembre 2024

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