di Alberto Bradanini* - 1° novembre 2024
1. In un articolo pubblicato su Substack, Glenn Diesen, un pungente professore norvegese (dell’Università Sud-Orientale del suo paese) e acuto esponente della scuola realista delle Relazioni Internazionali - cui appartiene anche il più noto John Mearsheimer dell’Università di Chicago – sfida con argomentato coraggio la narrativa convenzionale occidentale, manifestamente costruita dai sistemi di comunicazione di massa - che l’operazione militare speciale decisa da Mosca il 24 febbraio 2024 sia stata una derivata non-provocata dell’intento russo di riproiettarsi sul quadrante esteuropeo un tempo occupato/presidiato dall’Unione Sovietica.
Le riflessioni del prof. Diesen costituiscono un prezioso arricchimento intellettuale e vaccinatorio contro la macchina della distorsione mediatica. Insieme alle sue riflessioni il lettore troverà ad intermittenza alcuni commenti a margine da parte dello scrivente.
2. Confondendo i termini della questione, molti dipingono la scuola del realismo politico – rileva l’autore - come una teoria deficitaria sotto il profilo etico, non solo politico, contestandone la valenza teleologica, vale a dire la capacità di definire un convincente modello di gestione della competizione tra nazioni, che per i realisti è una derivata ineludibile della struttura anarchica del sistema internazionale. Tale indomabile competizione è causata dalla necessità degli stati di proteggere la loro sicurezza in assenza di un potere gerarchico che disponga del monopolio dell’uso della forza. Per gli idealisti (i seguaci della scuola di pensiero da cui prendono nome), la condotta degli stati deve invece ricondursi alla dimensione etica. Se i corrispondenti valori non sono rispettati - quelli generati dalla Grande Potenza di turno e coincidenti, non a caso, con i suoi interessi (oggi, gli Stati Uniti, portatori dell’ideologia democratica, liberale e mercantile) -, questa ha il dovere morale di imporli al resto del mondo. E qui, come si può immaginare, cominciano i guai.
La scuola realista, dunque, contesta la capacità di quella idealista di trascendere la cosiddetta politica di potenza, tanto più che, quando le due istanze entrano in contraddizione, è sempre la prima a prevalere.
Sull’arena internazionale gli stati non possono far a meno di duellare sul fronte della sicurezza, in un confronto che opera in ogni ambito, pacificamente o con l’uso della forza. E la ragione di tale condotta, nel pensiero realista, dipende dalla natura strutturale del sistema, perché gli stati devono evitare di essere sopraffatti da altri più forti. Il realista reputa altresì che agire in conformità con la logica del bilanciamento di potere risponde anche alla legge morale, poiché tale equilibrio costituisce la precondizione per garantire pace e stabilità. Ai suoi occhi l’impegno dell’idealista nel combattere la politica di potenza con le armi della moralità (i valori essendo ontologicamente precari e di parte) finisce per essere foriero di conseguenze immorali. Chiudere gli occhi sull’evidenza, vale a dire l’ineludibilità degli stati a difendere le chance di sopravvivere in ogni possibile modo, compromette la capacità del sistema di gestire la competizione per la sicurezza quale percorso effettivo (realistico, dunque) per conseguire la pace.
3. Sulla base di tale premessa e sorvolando per ragione di spazio su aspetti facilmente intuibili, Diesen contesta l’assolutezza del diritto sovrano dell’Ucraina di aderire alla Nato, discostandosi dalla narrativa semplicistica imposta in Occidente (governi e media), che nasconde finalità che nulla hanno a che vedere con la logica o l’etica pubblica. Vediamo.
L’argomento idealista, seducente e insieme pericoloso - sulla base del quale l’Ucraina viene quotidianamente devastata, deve aggiungersi – implica che quel paese disponga in parallelo della sovranità e della libertà (entrambe in forma incondizionata) di aderire a qualsiasi alleanza, politica o militare che sia. Tale statuizione è quanto mai attraente sul piano astratto e raccoglie dunque istintivo sostegno presso le opinioni pubbliche, usualmente poco inclini all’approfondimento, oltre che narcotizzate dalla macchina del rimbambimento televisivo serale. La medesima statuizione appare incontestabile anche perché altrimenti occorrerebbe riconoscere alla Russia un ipotetico diritto di condizionare le scelte altrui, e questo è giudicato sommamente inaccettabile, sul piano logico e politico, di certo nel caso dell’Ucraina.
L’argomento idealistico che a Kiev deve essere riconosciuta libertà incondizionata di aderire a qualsiasi alleanza fonda le radici su una proiezione onirica o su un sentimento di infantile onnipotenza, che nasconde a sua volta la pretesa di poter modellare il mondo secondo i propri desideri, ignorandone le leggi intrinseche e dunque la cruda realtà. Quest’ultima non risponde alle nostre impulsioni, siano esse giustificate o irragionevoli.
Credere poi che la pace sia una derivata dell’espansione di alleanze militari decise sulla carta senza tener conto dei bisogni di sicurezza delle Grandi Potenze, riflette una pulsione di pancia e immatura, che nega le lezioni della storia. L’Ucraina confina con un paese nucleare, tra i più armati al mondo. A motivo di ciò, dunque, devono ritenersi ancor più legittime le sue preoccupazioni di sicurezza. Tuttavia, proprio per tali ragioni l’aver invitato la Grande Potenza rivale, gli Stati Uniti, ad accomodarsi e mettere radici nel salotto di casa ha reso la competizione ancor più effervescente, aggravando l’equazione del confronto e l’urgenza di proteggere la propria sicurezza. Questo invito, sia esso stato spontaneo o estorto dalla Cia con la corruzione o il ricatto, ha messo a rischio la stessa sopravvivenza dell’Ucraina quale stato sovrano.
Investire sul desiderio che il mondo sia il riflesso dei nostri bisogni, continua Diesen, non rende la nostra condotta più rispondente ai principi etici ai quali scegliamo di richiamarci. È semmai la resistenza a prendere atto dei fattori che sovrintendono al funzionamento del mondo che contribuisce a generare le condizioni che portano alla guerra.
Tale linea di pensiero non porta alla conclusione che, per non cadere nella brace dell’espansionismo atlantico verso Est, la sola alternativa fosse rassegnarsi alla sorveglianza russa, poco gradita al popolo ucraino. Ciò, infatti, sempre secondo la dottrina realista, avrebbe concesso un privilegio improprio alla Federazione Russa, che esattamente come la Potenza Atlantica mira ad espandere il suo potere a spese altrui.
Un percorso suscettibile di generare un orizzonte di pace e sviluppo sarebbe stato quello di accogliere con attenta considerazione le preoccupazioni russe sulla cruciale nozione di sicurezza. Un accoglimento questo, che senza rinunciare ai diritti e propositi, avrebbe garantito una sostanziale e realistica sovranità all’Ucraina, la quale per di più avrebbe potuto sfruttare tale storica occasione per costruire il suo futuro alla luce della sua posizione geografica privilegiata, dialogando e commerciando con gli uni e con gli altri. Nei decenni di guerra fredda nessun paese occidentale, nemmeno gli oscillanti Stati Uniti, ha mai temuto che prestare attenzione agli interessi di sicurezza dell’Unione Sovietica ai suoi confini sarebbe stata giudicata una capitolazione. Non è un caso che in quegli anni gli stati europei neutrali fungevano da cuscinetto tra Est e Ovest, mitigando la reciproca competizione per la sicurezza.
4. Nel continente americano, il Messico dispone di piena sovranità e di molte libertà sulla scena internazionale, ma non di quella di aderire a un’alleanza militare guidata dalla Cina o di ospitare basi militari russe o nordcoreane. L’argomento idealistico secondo cui il Messico può fare ciò che vuole implica l’obliterazione delle ansie di sicurezza degli Stati Uniti, i quali in tal caso procederebbero alla destrutturazione del Messico. Nel Regno Unito, se la Scozia si separasse dall’Inghilterra e si legasse a un’alleanza militare con la Russia, ospitandone missili e infrastrutture militari, è improbabile che gli inglesi sarebbero ancora propensi a difendere il principio del consenso e della libertà di scelte, come fanno da spettatori esterni sull’Ucraina. In un mondo realista se si vuole preservare la pace occorre accettare vincoli reciproci per mitigare la competizione sulla sicurezza. Nel mondo idealista di paesi buoni contro quelli cattivi, invece, la forza del bene non accetta limiti, deve imporsi a qualsiasi costo, poiché la pace è raggiungibile solo se il bene sconfigge il male, e il compromesso è anch’esso uno stato provvisorio di pacificazione, che attende la resa finale dei conti. Gli idealisti cercano di trascendere la politica di potenza nell’illusione di poter creare un mondo moralizzato e pacificato, intensificando la competizione per la sicurezza a costo di promuovere guerre indispensabili, nell’illusorio convincimento per giungere al traguardo.
Nel caso ucraino, continua Diesen, la scuola realista reputa che la causa prima dell’intervento armato della Russia sia stata l’espansione della Nato. Un argomento questo che la scuola idealista considera immorale perché legittimerebbe la politica di potenza della Russia, accordando giustificazione all’invasione di un paese sovrano. È arduo, tuttavia, sostenere che la realtà oggettiva debba essere considerata immorale se con corrisponde a un mondo ideale che non esiste.
5. Nel 2020, l’ex ambasciatore britannico in Russia, Roderic Lyne, avvertiva che promuovere l’adesione dell’Ucraina alla Nato sarebbe stato un errore fatale e aggiungeva: se si vuole una guerra con la Russia, questo è il modo migliore per raggiungere l’obiettivo. Nel 2008, Angela Merkel aveva affermato che la Russia avrebbe interpretato l’apertura dell’Ucraina alla Nato come una dichiarazione di guerra. Quando era ambasciatore a Mosca, l’attuale direttore della CIA, William Burns, (si può dimenticare il passato, in cambio di onori e denari!), aveva messo in guardia i superiori a Washington contro tale prospettiva, poiché questa avrebbe spinto la Russia a ricorrere alla forza per uscire dall’accerchiamento, una decisione – aveva aggiunto - che la Russia avrebbe adottato se messa alle strette. Un consigliere dell’ex presidente francese Sarkozy aveva sostenuto che il partneriato strategico firmato tra Stati Uniti e Ucraina nel novembre 2021 avrebbe posto la Russia davanti all’alternativa: attaccare o essere attaccata! Nessuna delle personalità menzionate ha mai inteso legittimare un’invasione, quanto invece evitare una guerra. Tuttavia, prendere atto di tali avvertimenti viene condannato come se ciò significasse concedere alla Russia un insolente diritto di veto, mentre l’aver ignorato con arroganza tali avvertimenti viene dipinto come un gesto virtuoso, sostenuto da solidi principi morali, e non da ontologica imbecillità.
Quando non dispongono di un diritto di veto soft, le Grandi Potenze sono tentate di utilizzarne uno hard, vale a dire l’uso della forza. Gli idealisti reputano che la Russia non dovrebbe disporre di un diritto di veto sull’espansione della Nato. Il risultato è davanti agli occhi: perdita di territorio, migliaia di morti, devastazioni, distruzione della nazione ucraina. Si potrebbe aggiungere che i sostenitori di tale postura suicida non sono parte in causa, ma solo spettatori seduti in platea, perché il sangue versato e il territorio perduto sono ucraini, non certo americani o/e occidentali. Anche se si accantona ogni critica a tale ipocrisia, resta un mistero doloroso, tuttora irrisolto, la ragione che induce a considerare gli idealisti individui più sensibili alla dimensione etica (ideologia, buona politica o umanesimo) oltre che, ça va sans dire, agli interessi degli ucraini.
Al contrario, i realisti, che da decenni e in posizione minoritaria mettono in guardia governi e opinioni pubbliche sui rischi letali dell’espansione della Nato, sono considerati seguaci della religione dell’immoralità e dell’insensibilità alla libertà (alla democrazia!) e agli interessi degli ucraini. Prendere atto dei propri errori, dimenticanze e confusione intellettuale - per deficit cognitivo o corruzione, cambia poco - affinché tali tragedie cessino quanto prima e non si ripetano in futuro, costituirebbe una straordinaria evidenza di maturità. Il contrario (…, perseverare autem diabolicum!) ci trasforma in demòni.
6. Glenn Diesen solleva quindi il quesito se la Nato sia davvero parte terza. Aver sostenuto il diritto assoluto dell’Ucraina di aderire alla Nato implica che il blocco militare occidentale (Nato-Usa) agisca nella veste di un osservatore neutro, come un protagonista periferico che osserva con distacco la scena del crimine, cercando di allontanare i curiosi, prendendo atto della spontanea aspirazione di governo/popolo ucraini a entrare nella rassicurante compagine militare occidentale! Una narrazione questa, fabbricata nei cupi corridoi di Bruxelles/Washington, rileva il professore norvegese, che trascura la circostanza intenzionale (il disturbante punto di domanda: perché?) che l’Ucraina non aveva alcun interesse a entrare nella Nato, e questa non aveva alcun vincolo o necessità per proporlo/imporlo, quando la sola motivazione di tale evoluzione/involuzione deve ricercarsi nella politica militare espansiva del blocco atlantico in funzione antirussa e sullo sfondo anticinese, che da trent’anni ignora la scomparsa del Patto di Varsavia, insieme allo spirito e alla lettera della Carta Atlantica.
Al termine della guerra fredda i paesi occidentali firmano con Mosca accordi che si vogliono messaggeri di una svolta storica - ad esempio la Carta di Parigi per una Nuova Europa - con il dichiarato intento di aprire la strada alla costruzione consensuale di un’Europa senza sbarramenti, basata sulla nozione di sicurezza indivisibile. Dietro le quinte, in realtà, la Nato (vale a dire l’oligarchia Wall Street/stato profondo-Usa), che non ha mai condiviso quella tabella ideologica di marcia, inizia subito a infrangerne lo spirito, la lettera e la teleologia, lavorando nel buio per l’espansione bellicista, sulla scorta di pretesti insensati e obliteratori della legittima sollecitazione di Mosca (a quel tempo debilitata) di acquisire qualche minima garanzia di sicurezza ai suoi confini.
Remando contro la corrente della storia, che in quella fase avrebbe aperto scenari straordinari di pacificazione e cooperazione su tutto il territorio eurasiatico (con incalcolabili benefici per noi euro-occidentali), il dominus unipolare converte gradualmente la pregressa dialettica Nato-Urss/Russia in un conflitto diretto Ucraina-Russia, avendo a mente il medesimo obiettivo, destrutturare e frantumare quello sterminato paese per depredare le immense risorse. A quel punto, nell’ottica russa, un indugio prolungato a intervenire – conclude Diesen – avrebbe consentito agli eserciti guidati dalla macchina da guerra Usa di mettere radici in Ucraina, divenendo inesorabilmente una minaccia esiziale alla sicurezza militare, politica ed economica della Federazione Russa, e fors’anche alla sua sopravvivenza.
Il sostegno della Nato alla presunta piena libertà dell’Ucraina di scegliere la direzione della propria politica estera non è che una costruzione fantasmagorica. Kiev è stata trascinata nell’orbita militare occidentale contro la sua volontà. Alle opinioni pubbliche occidentali tutto ciò viene nascosto. I mezzi d’informazione di massa vengono istruiti per occultare, non per svelare quello di cui, talvolta, vengono a conoscenza. I governi poi negano persino le evidenze plateali.
Secondo tutti i sondaggi esperiti tra il 1991 e il 2014, infatti, solo un’infima minoranza di ucraini (il 20%!) aveva espresso il desiderio di aderire all’Alleanza. In un rapporto del 2011, il blocco militare americano-centrico aveva qualificato tale deficit di interesse come una sfida cruciale. La memoria del popolo ucraino a lasciarsi risucchiare nell’ideologia bellicista di un’organizzazione tradizionalmente ostile, insieme alla saggia postura del governo di allora, doveva essere disfatta, con le buone, come si dice, o le cattive.
Sorprende solo chi non conosce la storia degli ultimi ottant’anni che la soluzione sia stata quella di lavorare a una democratica rivolta popolo, - cui il lessico mediatico aggiunge solitamente l’aggettivo colorata, dimenticando di precisare che il colore è quello del sangue di tanti innocenti – una pratica abituale come sappiamo per l’intelligence imperiale, Cia e suoi compagni di merende.
È così che nel 2014 il governo democratico di Yanukovich viene rovesciato, violando la Costituzione del paese e calpestando la volontà popolare. La telefonata Nuland-Pyatt (nel 2014, la prima sottosegretario di stato, l’altro ambasciatore Usa a Kiev) ormai passata alla storia per infamia etica e politica (su cui le anime candide dell’atlantisti europei/italiani sorvolano come se i due si fossero scambiati auguri natalizi) ha rivelato al mondo che furono gli Stati Uniti a pianificare il colpo di stato, insieme a nomi e cognomi di chi sarebbe entrato nel governo post-golpe. Tale pianificazione, gestita dalla più malata oligarchia del pianeta, ha rovesciato un governo democratico puntando a legittimare il passaggio di mano e controllare il successivo, al punto che il Procuratore Generale ucraino (2015-2016), Victor Shokin, così si esprime[1]: da allora (siamo nel 2014) tutte le nomine governative di qualche rilievo vengono decise dagli Stati Uniti, i quali trattano l’Ucraina come un loro feudo. Il conflitto con la Russia, nel pensiero di Diesen, si rende dunque necessario per rigenerare in quel paese di frontiera il bisogno di Nato.
7. Una delle prime decisioni del governo Poroshenko creatura di Washington è quella di abolire il russo come seconda lingua del paese. Il New York Times[2] riferisce che dopo il colpo di Stato il nuovo direttore dei servizi ucraini convoca Cia e Mi6 per definire un’alleanza strategica in vista di operazioni segrete contro la Russia, cominciando col portare a 12 le basi della Cia lungo il confine russo. Il conflitto si intensifica quando Mosca reagisce con l’annessione della Crimea e sostiene apertamente i separatisti del Donbass, mentre la Nato, per mano di francesi e tedeschi, decide di sabotare quegli accordi di Minsk che avrebbero risolto l’impasse col sostegno della stragrande maggioranza degli ucraini.
L’intensificazione del conflitto consente a Washington di utilizzare il territorio e il sangue dei soldati ucraini per sconfiggere un paese sterminato, ben più ricco e armato, in una guerra che anche un bambino avrebbe compreso che sarebbe stata persa, perché l’Ucraina dispone di risorse demografiche ed economiche più limitate, scarsità di militari e tecnologie, e non è una potenza atomica (a meno che generali atlantici usciti di testa abbiano in mente un conflitto nucleare tra Russia e Nato, e non vogliamo immaginarlo!)
Il citato articolo del New York Times riconosce che la guerra segreta contro Mosca dopo il colpo di Stato del 2014 è stata una delle ragioni principali del conflitto. Dopo l’invasione del febbraio 2022, non provocata secondo la narrativa occidentale, gli idealisti reputano che aver aperto all’Ucraina l’orizzonte nella Nato sia stata una mossa giusta e opportuna, e che lo sia tuttora, se non nell’immediato, di certo a guerra finita. La valenza idealistica di tale percorso sarebbe non solo moralmente giustificata, ma anche foriera di pace, perché garantirebbe all’Ucraina protezione immediata e salvaguardia contro analoghe tentazioni future.
Nel ragionare di Diesen, gli idealisti che ragionano in tal modo vivono su altro pianeta. La prospettazione di un futuro di questo genere trasmette a Mosca il messaggio che segue: il territorio che la Russia non sarà in grado di conquistare oggi verrà utilizzato in avvenire dalla Nato per distruggere la Federazione, perché Nato/Usa prima o poi lo trasformeranno, come fanno in ogni paese membro, in una piattaforma militarizzata contro paesi considerati ostili, in questo caso la Russia. L’esito è palese: la prospettiva espansionistica della Nato rafforza la determinazione di Mosca a conquistare quanto più territorio possibile, affinché quel che rimarrà al cessate il fuoco riduca l’Ucraina ai minimi termini, uno stato debole e disfunzionale.
8. Il solo orizzonte in grado di immaginare una prospettiva di pacificazione in Ucraina, che ponga fine ai massacri reciproci e apra la strada a una possibile riconciliazione, è dunque costituito dal ripristino della sua neutralità, una prospettiva su cui il paese potrebbe costruire benessere e prosperità, scegliendo il dialogo con l’Est o con l’Ovest sulla base dei propri interessi (come la Finlandia, ad esempio, che ha costruito la sua prosperità su tale condizione, ormai trascorsa). Tutto ciò implica tuttavia una circostanza che non è alle viste: il recupero della piena sovranità dell’Ucraina, che invece è più che mai asservita alla strategia strumentali e devastatrice dell’impero egemone, che poco si cura di amici o nemici.
È palese che l’obiettivo di Nato-Usa di sconfiggere e dissanguare la Russia sia quanto mai velleitario, irraggiungibile sotto ogni aspetto. Invece di promuovere un dialogo realistico, equo e riconoscente degli interessi altrui, la superpotenza in declino – che in condizioni analoghe avrebbe scatenato una guerra planetaria - non si arrende all’evidenza, mirando a preservare la capacità unipolare di estrarre ricchezza, risorse e lavoro dal resto del mondo, accelerando in tal modo, auspica Diesen, il suo crepuscolo.
D’altra parte, come il recente vertice Brics di Kazan ha messo in mostra, la storia ha ripreso il suo cammino, il Sud del mondo non accetta più sottomissione e sfruttamento, disponendo oggi dell’energia per resistere alle oligarchie atlantiche uscite di senno. Divenuto plurale, multipolare e multimodale, il pianeta dà il benvenuto a nuovi protagonisti: Cina e India (le nazioni più popolose del pianeta) e poi Russia, Brasile, Sud Africa e molti altri determinati a contenere la hybris e le strategie distruttive dei Dottor Stranamore che si agitano nel ventre imperiale, quale espressione di disprezzo dei principi di coesistenza e non interferenza negli affari altrui.
In sintesi, il divario etico-intellettuale che separa la scuola idealista da quella realista, conclude Diesen, può essere riassunto nelle parole del grande storico francese, Raymond Aron: l’idealista, credendo di aver rotto con la politica di potere, finisce per esaltare ulteriormente i suoi crimini.
NOTE:
[1] https://www.farodiroma.it/ex-procuratore-ucraina-il-fatto-che-joe-biden-abbia-dato-un-miliardo-di-dollari-in-cambio-del-mio-licenziamento-non-e-un-caso-di-corruzione/
[2] https://www.nytimes.com/2024/02/25/world/europe/cia-ukraine-intelligence-russia-war.html
[1] Alberto Bradanini è un ex-diplomatico. Tra gli incarichi ricoperti, è stato Ambasciatore d’Italia a Teheran (2008-2012) e a Pechino (2013-2015). È attualmente Presidente del Centro Studi sulla Cina Contemporanea e autore di saggi e ricerche. Ha inoltre pubblicato "Oltre la Grande Muraglia" Ed. Bocconi 2018; "Cina, l'irresistibile ascesa”, Ed. Sandro Teti, 2022" e Cina, dall'umanesimo di Nenni alle sfide di un mondo multipolare", Ed. Anteo, 2023.
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