di Giuseppe Masala
Già durante la campagna elettorale, Donald Trump, ha dichiarato più di una volta di voler imporre dazi molto pesanti con la finalità di raddrizzare l'enorme squilibrio commerciale che, di fatto, sta distruggendo il tessuto produttivo (e conseguente sociale) degli Stati Uniti d'America.
Precisamente nel piano di Trump, gli Stati Uniti dovrebbero imporre dazi tra il 10% e il 20% per le merci importate dai paesi europei e dazi del 60% sulle merci importante dalla Cina. Come si può intuire si tratta di provvedimenti draconiani che – nelle intenzioni del tycoon – dovrebbero modificare gli equilibri commerciali a favore degli USA rispetto ai due suoi maggiori competitor, l'Unione Europea e la Cina popolare.
Di fronte ad una prospettiva di questo genere in un primo momento bisogna dire che sia Pechino che Bruxelles hanno risposto con il silenzio. Se però quello europeo è apparso sin da subito il silenzio di chi è paralizzato e dunque imbelle perché nulla può contro il proprio dominus politico e militare, ben diverso è apparso il silenzio cinese assolutamente più simile a quello di chi prepara le proprie mosse per fare fronte a quella che è considerata un'aggressione da parte di Washington.
Passato quello che è stato il momento dedicato al silenzio da parte degli uomini di Pechino è arrivata infatti la prima risposta agli intendimenti manifestati da Trump. Una risposta che non è azzardato definire inusuale e del tutto inaspettata. Infatti a parlare è stato Zhu Min, l'ex vice governatore della People's Bank of China, ovvero la banca centrale cinese.
Zhu Min, dopo aver auspicato un dialogo tra Washington e Pechino per risolvere i problemi ha chiarito che qualora Trump insisterà per imporre i dazi, la questione verrà portata al World Trade Organization. Chiariamo subito che la cosa non fa alcuna paura a Trump visto che già durante il suo primo mandato ha fatto intendere, in più di una circostanza, che la demolizione di questa istituzione e del suo trattato istitutivo non gli sarebbe dispiaciuto anche in considerazione del fatto che preferisce i rapporti bilaterali tra stati a quelli multilaterali.
Ma l'ex vice governatore secondo Bloomberg ha fatto intendere che la Cina è pronta ad usare un'arma ben più potente contro gli USA: quella finanziaria e monetaria. In altri termini, Zhu Min ha fatto intendere che la mossa di Trump in materia di politiche commerciali potrebbe comportare la riduzione degli acquisti cinesi di titoli di debito pubblico americano. Una mossa che, dato il debito pubblico ed il debito estero USA, non potrà che avere enormi conseguenze dal punto di vista delle finanze pubbliche (aumento dei tassi sul debito pubblico americano) e più in generale della stabilità finanziaria del sistema bancario e finanziario americano con conseguenti ripercussioni anche in Europa.
Davvero una minaccia fortissima quella prospettata dall'ex banchiere centrale cinese che dimostra l'estrema gravità delle conseguenze che comporterebbe lo scoppio di una guerra commerciale e finanziaria tra Washington e Pechino.
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