di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
In molte redazioni del mondo ha destato scalpore il fatto che il deputato americano Mike Collins abbia condiviso un immagine dei collegi elettorali degli Stati Uniti che comprendeva anche la Groenlandia. Il “meme” del deputato peraltro recava la dicitura Project 2029 quasi a segnalare che la “conquista” americana della Groenlandia è un progetto politico già predisposto.
In realtà non c'è nulla di cui stupirsi, l'interesse ad acquistare la Groenlandia – che ricordo è un territorio facente parte della Danimarca – da parte di Washington è di lunghissima data, infatti si segnalano alcuni tentativi di acquisto, quali quello avvenuto nel 1910 dove però alla fine la trattativa tra Danimarca e Stati Uniti si concluse con il riconoscimento di Washington della sovranità di Copenaghen sulla Groenlandia, ma con la cessione agli USA delle Antille Danesi; un altro tentativo fu quello avvenuto nel 1946 quando gli americani offrirono ai danesi 100 milioni di dollari per acquisire queste terre.
L'interesse americano per le terre inospitali di Erik il Rosso è da ricercare in due fattori, peraltro ampiamente correlati in tempo di grave tensione geopolitica: il posizionamento altamente strategico della Groenlandia sia perché è una enorme piattaforma di raccordo tra l'est e l'ovest dell'oceano Atlantico, sia perché, verso nord, è una valida sentinella in grado di controllare ciò che accade oltre il Polo Nord, ovvero nella Russia siberiana. Non solo, la Groenlandia sembra essere ricca di materie prime strategiche a partire da presunti giacimenti di petrolio e di gas offshore ancora da esplorare. Senza inoltre dimenticare che contiene depositi confermati di zinco, oro, minerale di ferro, uranio e vari altri metalli tra i quali vasti giacimenti di terre rare, utilizzate nei veicoli elettrici e nelle turbine eoliche.
Non a caso Donald Trump già durante il suo primo mandato alla Casa Bianca, ha lanciato con entusiasmo la possibilità dell'acquisto come un grande affare immobiliare. "La Danimarca ne è essenzialmente proprietaria... Siamo ottimi alleati con la Danimarca, proteggiamo la Danimarca come proteggiamo gran parte del mondo... Strategicamente è interessante e saremmo interessati, ma parleremo un po' con loro" disse nel 2019.
E ora con il ritorno del Tycoon newyorkese queste partita “artica” pare riemergere in tutta la sua rilevanza geostrategica ed economica. E questo non è certamente un caso. Già durante l'amministrazione Biden gli USA – anche attraverso la Nato – si è lanciata nella corsa al Grande Nord con l'entrata della Finlandia e della Svezia nell'Alleanza Atlantica. Infatti se molti hanno guardato all'effetto strategico dell'entrata dei due paesi scandinavi sugli equilibri di forza nel Mar Baltico non va dimenticato l'effetto sugli equilibri nell'estremo nord polare. Non a caso, gli strateghi americani e della Nato hanno immediatamente preso possesso della base finlandese di Rovaniemi nella quale si sta discutendo se depositare armi nucleari tattiche e dove certamente verranno inviati gli aerei F-35 che, peraltro, hanno capacità di trasporto e lancio di bombe nucleari tattiche. La base di Rovaniemi che si trova a meno di 150 km dai confini russi, sarà quindi in grado di minacciare con armi nucleari le grandi basi russe che si trovano nella penisola di Kola e che fungono da “guardia” strategica al lato russo-europeo del Grande Nord.
Certamente uno dei fattori che rende il Grande Nord un area del mondo così strategica e importante agli occhi degli americani è dovuta anche al fatto che i russi stanno costruendo una serie di infrastrutture civili (ma anche militari) in quella che è stata definita “Rotta commerciale dell'Artico” e che permette di collegare l'Europa alla Cina, al Giappone e all'India per via marittima abbattendo le distanze che, passerebbero mediamente, dalle attuali 23000 miglia alle 14 mila della nuova rotta, con un enorme risparmio di costi e di tempo. Senza poi considerare i problemi di sicurezza che da ormai oltre un anno si rilevano nella rotta tradizionale a causa della guerriglia marittima, contro le navi occidentali, perpetrata dai ribelli yemeniti Houti all'altezza dello stretto di B?b el-Mandeb e del Golfo di Aden. Chiunque può capire l'enorme importanza di questa rotta del nord che, di fatto, sgancerebbe commercialmente tutta l'Europa dalle Americhe e, conseguentemente, dagli Stati Uniti per unirla all'Estremo Oriente.
Inoltre il lancio della Rotta del Grande Nord sarebbe la fine del controllo e dell'egemonia americana sulle più importanti rotte commerciali del mondo. Non pare azzardato, guardando a questa eventualità, sostenere che gli USA senza più il totale controllo delle rotte commerciali smetterebbero di essere considerate la potenza egemone del mondo. Del resto accadde così anche all'Impero Britannico; quando la sua marina militare perse l'egemonia e dunque il controllo delle rotte commerciali a vantaggio degli USA anche l'egemonia mondiale passò agli USA.
E così anche non pare azzardato, sostenere che la nascita di una fondamentale rotta commerciale tra Estremo Oriente ed Europa al di fuori del controllo della marina USA significherebbe – probabilmente – l'uscita di scena definitiva dell'iperpotenza USA.
Ed è per questo che la corsa al Grande Nord con la militarizzazione della Lapponia (la base finlandese di Rovaniemi passata alla Nato) e soprattutto con nuovi tentativi di “conquista” della Groenlandia sarà sempre più importante per Washington. La gara per l'egemonia mondiale è ormai aperta, e il suo percorso passa anche e soprattutto per l'Artico.
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