È iniziata la famosa controffensiva ucraina, che sembra concentrarsi nella regione di Kherson, come preannunciato. Un’iniziativa audace, dal momento che anche diversi analisti occidentali autorevoli hanno espresso dubbi sulle possibilità di riuscita (Piccolenote).
Nonostante tutto, come ha scritto l’Evening Standard, Zelensky ha ordinato l’attacco, andando anche “contro i consigli dei militari”, i quali dubitavano della vittoria e che forse presagivano quanto accenna anche il giornale britannico, che cioè se l’attacco fallisce, per l’Ucraina “sarà difficile riprendersi”.
Il fatto è che Zelensky – qui e di seguito leggi i suoi burattinai – voleva assolutamente un successo e ha dato l’ordine. Secondo il giornale succitato, il premier voleva evitare che lo stallo logorasse il consenso che Kiev ha acquisito nella Ue, ma questo forse è solo uno dei motivi e neanche il principale.
In realtà, dopo aver brandito per mesi tale controffensiva, che avrebbe messo alle corde i russi, non dargli seguito sarebbe stato l’equivalente di un grave insuccesso militare, un segno di debolezza che avrebbe messo alle strette i falchi che da mesi stanno alimentando la grancassa delle magnifiche sorti e progressive della macchina bellica ucraina a trazione Nato.
Una sconfitta secca per l’amministrazione Usa, che non a caso, per sovrastare le critiche, negli stessi giorni ha rilanciato la posta, stanziando altri 14 miliardi di aiuti all’Ucraina (cioè miliardi di dollari diretti all’apparato militar industriale Usa, sul quale l’amministrazione conta per uscire dalla crisi economica – nella quale era precipitata ben prima della guerra -, com’è avvenuto per le crisi economiche precedenti).
Dopo i primi squilli di tromba, con i media pronti a rilanciare lo sfondamento delle linee nemiche, le cose si devono essere complicate, dal momento che sugli asseriti guadagni ucraini è calato il silenzio, rotto solo da qualche singulto della propaganda di Kiev su asserite conquiste di qualche oscuro villaggio.
L’imbarazzo si può percepire in tutta la sua plasticità nella conferenza stampa di un alto funzionario del Pentagono, il quale, alla domanda sull’esito della controffensiva, rispondeva così: “Durante il fine settimana, abbiamo visto un numero maggiore di colpi di artiglieria provenienti principalmente dagli ucraini. E quindi, sai, dico ‘più grande’ non lo farei… non esagererei, ma è una maggiore quantità di artiglieria che abbiamo visto sparare dagli ucraini”.
“E poi — come tutti sapete – nelle ultime due settimane hanno fatto alcuni piccoli progressi dentro e intorno alla tasca di Kherson per un po’. Quindi non voglio fuorviarvi qui e dirvi che non credo che l’offensiva sia in corso. Io — vorrei solo — riferirei, riguardo gli ucraini, in questo momento… perché abbiamo assistito ad un’azione offensiva in quell’area nelle ultime due settimane”.
Insomma, una formidabile “supercazzola“.
Nella stessa conferenza stampa, un incidente di percorso. Quando all’alto ufficiale del Pentagono è stato chiesto del bombardamento della centrale atomica di Zaporizhzhia – riguardo il quale gli Usa hanno sempre avallato la versione ucraina che vede i russi bombardare se stessi -, questi ha risposto che l’esercito americano non aveva informazioni dettagliate (sic), aggiungendo: “E non voglio dire che anche gli ucraini non abbiano sparato in quella zona perché penso che probabilmente ci sia una probabilità che lo abbiano fatto”… un lapsus freudiano che ha costretto lo staff a troncare subito la conferenza stampa, forse temendo gli approfondimenti del caso.
Al di là dello scivolone finale, forse voluto per mandare un segnale agli ucraini perché cessino di lanciare missili contro la centrale – bombardamento che prosegue nonostante l’arrivo degli ispettori dell’Aiea -, resta il denso fumo che aleggia sulla mistica controffensiva (o controffensiva mistica che dir si voglia), della quale si sa poco o nulla, a parte i resoconti russi che parlano di un’ecatombe degli attaccanti, che sarebbero stati fatti avanzare per chiuderli in una sorta di tonnara (il ritiro è un classico della tattica militare russa).
Ma forse anche questa è propaganda, anche se sarebbe importante approfondire perché sarebbe un altro tassello della follia in corso in questa guerra della Nato alla Russia combattuta fino all’ultimo ucraino…
Va da sé che la controffensiva serve anche alla salute di Zelensky: se non trova qualche successo rischia contestazioni interne ed esterne. E di fare la fine del presidente del Vietnam del Sud, Ngô ?ình Di?m, che gli Usa fecero deporre perché ormai odiato anche dai suoi militari (finì fucilato).
Di interesse, sul punto, un articolo di George Beebe su The Hill, la cui importanza discende dal fatto che era il consigliere per la Russia del superfalco Dick Cheney. Nella nota, Beebe rinnova la narrativa che l’Ucraina ha comunque fermato la Russia, diventata ormai dogma nonostante sia ovvio che, se volesse, Mosca chiuderebbe la partita in un giorno (basta colpire tutte le centrali energetiche dell’Ucraina, un po’ come fecero gli americani con l’Iraq, e Kiev sarebbe in ginocchio).
Ma, al di là del dogma, resta che Beebe riconosce che “è difficile immaginare una vittoria ucraina a breve termine” e che le sanzioni non solo non hanno funzionato, ma che “la valuta russa è più forte oggi di quanto non fosse prima della guerra, nonostante il voto del presidente Biden di ‘trasformare il rublo in macerie’” (in realtà, si può chiosare, le macerie le vedremo in Occidente il prossimo inverno, ma tant’è).
Né la Russia è stata ridotta a un paria del mondo, anzi, registra Beebe. Considerazione cui segue un’annotazione di grande interesse: “Nel complesso, il Sud del mondo è molto più allarmato dal percepito imperialismo economico e culturale americano che dall’aggressione russa in Ucraina”.
Si potrebbe aggiungere che tale percezione è stata favorita dalle bombe Usa cadute sulla ex Jugoslavia, in Afghanistan, Yemen, Iraq, Libia, Siria etc, come anche dalle sanzioni comminate alle popolazioni di mezzo mondo.
Sul punto riportiamo quanto scrive Steven Simon su Responsible Statecraft: “Il New York Times ha riferito che la pandemia ha annullato 20 anni di progressi nelle lettere e nella matematica tra gli studenti delle scuole elementari degli Stati Uniti. I commentatori hanno sottolineato il terribile effetto di ciò sulle prospettive di vita di questi bambini e, di conseguenza, sull’economia americana”.
“[…] Questa terribile notizia dovrebbe aiutare gli americani [e noi europei ndr ] a comprendere meglio gli effetti dei conflitti violenti e delle sanzioni economiche inflitti ai paesi di tutto il mondo. Le loro popolazioni sono state colpite ogni anno dall’equivalente di una terribile pandemia”…
Sul sito del Tesoro degli Stati Uniti si contano oltre venti Paesi attualmente sotto sanzioni, ma temiamo che siano molti di più (ovviamente alle sanzioni Usa spesso si accompagnano quelle europee e delle Nazioni Unite…). Alcuni di questi Paesi hanno vie di fuga anche ampie, vedi Cina e Russia, altri no, vedi Yemen o Afghanistan.
Ma, al di là della digressione, e tornando all’articolo di The Hill sulla guerra ucraina, ne riportiamo la conclusione: “Finché non saremo disposti a orientarci verso una soluzione di compromesso – che, come la stessa Kiev ha proposto all’inizio della guerra, dovrebbe implicare una qualche forma di neutralità armata per l’Ucraina – dobbiamo scegliere tra l’intensificarsi del nostro coinvolgimento e impegnarci in una gara di resistenza in cui Putin ha molte possibilità dalla sua. Nessuno dei due approcci rischia di finire bene per l’Ucraina o per gli Stati Uniti”. Insomma, meglio chiuderla subito, prima che le conseguenze risultino devastanti. come già lo sono per gli ucraini mandati al macello.
Purtroppo l’elezione di Liz Truss a premier britannico – che ha dalla sua la dote della scarsa intelligenza, molto apprezzate dai superfalchi – non aiuta.
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