Quando si intraprende un viaggio nell'ignoto è fisiologico attrezzarsi con un bagaglio di difesa.
Allacciare le cinture.
Ed è proprio quello che non dobbiamo fare, guardando Rivoluzione.
Slacciamo le cinture, abbandoniamo i nostri soliti occhiali di giudizio e pregiudizio.
Bisogna essere liberi, disposti a mettere in discussione tutto quello che, fino ad oggi, ci hanno raccontato, e continuano a narrarci, contro quello che è stato definito "l'impero del male", "la giungla" che minaccia il giardino delle nostre certezze.
Disposti e liberi, soprattutto, di mettere in discussione noi stessi, i nostri "egemoni valori occidentali da esportazione", perché "Rivoluzione" è anche un viaggio nell'anima, nella spiritualità.
Può risultare respingente, inizialmente.
È difficile, per noi figli del positivismo e dell'illuminismo, nonché consumatori compulsivi e schiavi del neoliberismo, concepire che vi possa essere sincretismo tra spiritualità e azione politica.
Siamo stati abituati a guardare all'Iran attraverso stereotipi, costruiti per fomentare rivoluzioni colorate e regime change.
Noi occidentali crediamo di essere i detentori della democrazia e della libertà: siamo cresciuti a nutella, McDonald's e libertà:
libertà di arricchirsi sulla pelle degli altri, libertà di sfruttare i più deboli, libertà di avere successo e arricchirsi, di colonizzare, di imporre la legge del più forte, di consumare ed elevare il prodotto di consumo a status simbol....
Salvo, poi, essere anche liberi di perdere il lavoro, di non trovare nessuno disposto ad aiutarci o almeno a condividere empaticamente la nostra sofferenza, (a compatire cioè), liberi di fallire, di essere "perdenti", di suicidarci o cadere in preda a droghe e depressione, senza assistenza, senza welfare, senza sanità e istruzione pubbliche.
In Iran tutto è pubblico, è diritto e dovere di ognuno partecipare alla pari alla vita politica.
Se pensiamo all'Iran abbiamo un'immagine stigmatizzata: la donna velata e succube, ignorante e schiava, uccisa se dal velo esce una ciocca di capelli.
Gli autori non si sottraggono alla polemica.
Anzi.
Con dovizia di particolari fanno parlare i movimenti di protesta per la liberazione della donna, parlano diffusamente delle azioni di "Donna, vita, libertà", che hanno lanciato in occidente, come gesto simbolico, il taglio di un ciuffo di capelli a favore delle telecamere.
Il docufilm preferisce quindi fare parlare le donne iraniane.
Donne studiose, manager, docenti universitarie, ricercatrici, parlamentari.
Rivoluzione riesce a sfatare tutti i falsi pregiudizi, con delicatezza e paziente naturalezza, senza mai cadere nel gioco della contrapposizione, del vittimismo o della arroganza.
Attraverso interviste, a parlamentari iraniani, (una donna e un cristiano armeno), a guide spirituali , a docenti scolastici, ad un giornalista di origine ucraina che dagli Stati Uniti ha ritrovato in Iran la sua dimensione spirituale, gli autori ci raccontano l'Iran di oggi, estremamente avanzato anche tecnologicamente, ma che tutela e cura con rispetto le sue tradizioni e valorizza il rapporto umano, spirituale, filosofico.
Soleimani, ad esempio, non è rappresentato come un super eroe o un semidio: è un uomo che piange davanti ai martiri , soffre, abbraccia i suoi soldati, sa di dover morire.
"Ma tutti dobbiamo morire, - dice, - anche quello che abita nel lusso: la vera e sola scelta che puoi fare è come vivere".
Dopo il film è inevitabile chiedersi se il nostro mondo sia davvero l'unico possibile, se non siamo nati dalla parte sbagliata della storia.
È inesorabile domandarsi quando e dove abbiamo smarrito la nostra vera anima, la nostra umanità....e se c'è ancora modo per poter recuperare la nostra spiritualità e la "cum patior" (soffrire con) per tutti coloro che sono vittime di ingiustizia.
Ecco perché l'Iran fa così paura..
Il docufilm è disponibile per chi volesse organizzare la proiezione nel proprio territorio.