di Alberto Fazolo
Ciro Cerullo -in arte Jorit- è uno dei più importanti street artist del mondo, famoso per i suoi mastodontici ritratti realistici caratterizzati da delle strisce che solcano il volto.
Questi sono la sua nota distintiva, sorta di decorazioni tribali che segnano l’appartenenza ad un medesimo gruppo, quella che lui identifica come “Human Tribe”. Per questo le opere -che già nei soggetti palesano una chiara impronta d’impegno sociale- sono un vero e proprio “manifesto di pace”.
I suoi murales ci gridano che siamo fratelli, richiamandoci alla solidarietà, al rispetto e all’amore. Sebbene le sue opere siano ritratti, il volto non è il protagonista, ma solo uno strumento per veicolare un messaggio.
In questi giorni Jorit è finito al centro di una feroce polemica internazionale per essere andato a fare un murale in Donbass nella città di Mariupol, famosa per essersi sollevata per due volte contro la junta golpista di Kiev, poi per due volte riconquistata dai nazisti del
Battaglione Azov che vi hanno fatto feroci rappresaglie e persecuzioni per otto lunghi anni.
Il terrore è durato fino a quando le truppe russe, insieme alla Milizia della Repubblica Popolare di Donetsk, non l’hanno liberata. I combattimenti hanno segnato duramente la città, ma sebbene il fronte non sia lontano, la ricostruzione procede alacremente e alle popolazioni civili si cerca di dare tutto ciò di cui hanno bisogno in questi difficili momenti.
Non solo il pane, ma anche le rose. I bisogni non sono solo quelli materiali, Jorit è andato a piantare una rosa su un campo di battaglia, infondendo speranza, amore e solidarietà.
A Mariupol Jorit ha ritratto una bambina sullo sfondo dei bombardamenti, ha voluto ricordare tutti quei bambini che per otto anni hanno subito le aggressioni dell’esercito ucraino sostenuto dai paesi occidentali.
Jorit ha deciso di non fare il ritratto di uno specifico bambino, magari di uno di quelli ammazzati dagli ucraini (tra il 2014 e il 2022 sono stati circa trecento), ma di rappresentare attraverso un generico bambino tutta l’infanzia e per estensione gli indifesi e gli oppressi.
Per questo, ha fatto un volto di fantasia per il quale ha tratto ispirazione da diverse persone realmente esistenti, tra cui
una bambina del Donbass e una australiana; ne ha fuso i tratti somatici e gli elementi accessori creando un insieme armonico particolarmente espressivo ed empatico.
Le polemiche contro Jorit si erano scatenate ben prima della realizzazione del ritratto, già
quando si era diffusa la notizia che si trovasse a Mariupol. Le ire sono per il fatto che Jorit ha preso una posizione politica ben precisa, rivendicando la resistenza antifascista del popolo del Donbass iniziata nel 2014.
Questa è la cosa che il “potere” e i suoi scagnozzi gli vogliono far pagare. Così è iniziato il linciaggio mediatico, per il quale è stato usato
qualsiasi appiglio. Il più patetico è forse quello di accusarlo di aver mistificato la narrazione
ispirandosi a una bambina australiana: il tentativo è quello di dire che la bambina non è
una vittima dei bombardamenti ucraini e quindi (per una fantasiosa estensione), i bombardamenti non ci sarebbero mai stati.
Una grottesca operazione revisionista e negazionista. Si vuole screditare Jorit, la sua narrazione e la sua presa di posizione.
La polemica è infondata sia perché non è che una storia si rimuove contestandone una narrazione, ma soprattutto perché si prova ad addebitare a Jorit qualcosa che non ha fatto: il ritratto di “una” vittima del conflitto.
Lui non ha ritratto una specifica persona, ha preso in prestito dei tratti somatici per rappresentare tutti gli oppressi indifesi.
La polemica scatenata dai media mainstream atlantisti avrebbe potuto avere un senso nel caso in cui Jorit avesse per esempio detto di aver fatto il ritratto di una bambina di nome “Maria Rossi morta sotto i bombardamenti ucraini” e poi si fosse scoperto che non era
vero. Però Jorit non ha mai detto di aver fatto il ritratto di un bambino morto, perché la sua opera non è cronaca, ma poesia.
Una poesia impegnata, di denuncia e di amore.
Ha fatto bene Jorit a non fare il ritratto di un bambino ucciso, sia per non fare preferenze tra le altre centinaia, sia per non cedere al pietismo.
Ma soprattutto, il suo messaggio non è commemorazione, bensì una proposta costruttiva per come arrivare alla pace: rivendicando giustizia per quello che è stato e al contempo pretendendo garanzie per
l’avvenire.
I bambini del Donbass ancora stanno sotto i bombardamenti dell’esercito ucraino, l’unica differenza con il passato è che ora le bombe sono esclusivamente di fabbricazione occidentale.
Il problema di fondo è che questo accanimento verso Jorit è dettato dalla rabbia per quanto è riuscito a fare: squarciare la coltre di silenzio che è stata calata sui primi otto anni
di guerra.
Un silenzio che è condizione necessaria per l’occultamento delle responsabilità occidentali non solo nel conflitto, ma nell’ascesa di forze dichiaratamente naziste. La
contraddizione principale non è quindi nel volto ritratto, ma nelle mani sporche di sangue degli occidentali. La completezza e correttezza dell’informazione è una condizione necessaria per capire la genesi dei problemi e per trovarvi una soluzione.
Jorit è riuscito a fare tanto per la pace, ha fissato un caposaldo ineluttabile. Sapeva benissimo quanto gli sarebbe costato sia in termini professionali che in quelli umani, ma ha deciso di farlo lo stesso, ascoltando solo la propria coscienza.
Ha avuto il coraggio di schierarsi e lo ha fatto usando tutta la sua forza, consapevole che ci sarebbe stata una reazione maggiore e contraria. I complimenti e la solidarietà vanno sia all’artista Jorit, che all’uomo Ciro.
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