L’idea nacque circa dieci anni fa nell’ambito del dialogo tra esponenti politici tenutosi in Sud Africa nel 2002 con la mediazione dell’Unione africana e delle Nazioni Unite per risolvere la dimensione “interna” del conflitto armato iniziato nel 1996 e durato fino al ritiro delle truppe straniere che hanno appoggiato sia il governo congolese che i vari gruppi armati.
Se il conflitto iniziato nel 1996 ebbe una breve durata conclusasi dopo pochi mesi con un cambio al vertice dello Stato avvenuto nel 1997, il conflitto scoppiato nell’agosto del 1998 fu di lungo respiro coinvolgendo direttamente tanti paesi africani e indirettamente alcuni non appartenenti al continente africano.
Il conflitto presentava due dimensioni con due diverse modalità di soluzione: da una parte la dimensione interna con la tenuta di un dialogo tra le forze vive della RDC sbocciata in un nuovo assetto costituzionale e politico tramite la conclusione il 17 dicembre 2002 di un Accordo globale ed inclusivo. Dall’altra invece la dimensione internazionale, con l’invito rivolto a tutte le truppe straniere presenti nella RDC a ritirarsi dal territorio congolese. Ufficialmente il ritiro è avvenuto nel 2003 anche se alcune incursioni da paesi confinanti come l’Uganda e il Ruanda, soprattutto quest’ultimo, sono state segnalate più di una volta. Durante il conflitto numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi a danno delle popolazioni civili uccise, stuprate, costrette ad abbandonare i loro beni, la loro terra etc. Secondo fonti autorevoli più di un milione di congolesi sono stati uccisi. Nonostante i vari richiami del Consiglio di Sicurezza affinché gli autori dei suddetti crimini siano ricercati e portati dinanzi ad un tribunale, i superstiti e le vittime chiedono giustizia anche sulla falsariga dei tribunali penali internazionali o delle camere straordinarie.
Proprio in questo contesto i partecipanti al dialogo del 2002 avevano espresso il desiderio dell’istituzione di un Tribunale internazionale per il Congo. Il Presidente della RDC l’aveva ribadito formulando una richiesta espressa in un discorso pronunciato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2003; la società civile congolese ha sostenuto l’idea. Due dei maggiori esponenti congolesi del diritto internazionale (Professori Auguste MAMPUYA e Sayeman BULA-BULA) si sono espressi positivamente sulla fattibilità del progetto evidenziandone però le difficoltà d’attuazione.
È paradossale che più di un milione di morti non scuotano la coscienza della Comunità internazionale che si è mossa per istituire perfino un tribunale speciale per il Libano in seguito all’uccisione di un Primo ministro! I crimini commessi nella RDC sono stati documentati dalle ONG e dalle Nazioni Unite. Un Rapporto pubblicato nel 2010 a cura dell’Alto Commissariato per i diritti umani (Il Progetto Mapping) evidenzia i crimini che sono stati commessi nella RDC nel decennio 1993-2003. Il Rapporto finora non è stato sfruttato pienamente. L’idea del tribunale internazionale per il Congo, al di là delle difficoltà più politiche che giuridiche, del costo non indifferente per l’istituzione e il funzionamento del suddetto tribunale, la comunità internazionale si è rivelata poco recettiva all’idea puntando tutto sulla Corte Penale internazionale (CPI) e sull’azione dei tribunali congolesi potendo avvalersi della cooperazione internazionale. I limiti della CPI sono evidenti anche per ragione di competenza temporale. La maggior parte dei crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi prima dell’entrata in vigore dello Statuto il primo luglio 2002 e quindi i fatti anteriori esulano della sua competenza. I tribunali militari congolesi sono competenti per giudicare i crimini internazionali, ma sono stati istituiti dopo 2003 e i vari processi celebrati dinanzi a questi tribunali lasciano a volte a desiderare per mancanza di esperienza degli operatori giuridici nel campo del diritto internazionale penale ed umanitario.
Conviene però sottolineare gli sforzi che si stanno compiendo con l’ausilio delle ONG per formare avvocati, magistrati congolesi nell’ambito dei crimini internazionali. Questa strada dell’attivismo dei tribunali congolesi, pur percorribile, non è idonea a rispondere a quella sete di giustizia per migliaia di congolesi. Non è tanto meno sufficiente il progetto del governo congolese d’istituire sia una Corte speciale congolese per i diritti umani, progetto bocciato dal Senato l’anno scorso, o ancora istituire delle camere straordinarie miste con il vantaggio di inserire nell’organico magistrati stranieri che affiancherebbero così magistrati congolesi, quest’ultimi avvalendosi dell’esperienza dei primi. Questo progetto appare percorribile se è sostenuto da un’ampia volontà politica e popolare. Ci sembra che questi presupposti non siano ancora maturati soprattutto al livello politico nella misura in cui tanti esponenti che ricoprono vari incarichi istituzionali corrono il rischio di sedersi sulla panchina degli imputati per aver partecipato, diretto o sostenuto la commissione dei crimini internazionali quando facevano parte dei gruppi armati o dal governo regolare. Il pesante prezzo pagato per la pace e la riconciliazione ha avuto come rovescio della medaglia un silenzio tombale sui crimini sancendo così un’impunità “istituzionale e concordato”. Se dovesse realizzarsi il progetto delle camere straordinarie, c’è da scommettere che la competenza temporale non riguarderà fatti avvenuti tra il 1998 e 2002.
Inoltre la Commissione verità e Riconciliazione istituita nel 2004 che poteva far luce sui crimini del passato è stata solo una parentesi che nessun ricorda. Alla luce dei fatti avvenuti tra 1993-2003 consegnati nel Rapporto del progetto Mapping del 2010, dei combattimenti ad intervalli più o meno regolari tra le truppe congolesi e gruppi armati affiancati da truppe estere dal 2004 fino ad oggi; alla luce del Rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sull’appoggio del Ruanda al Movimento M23; di fronte alla pubblicazione dei Rapporti mettendo in evidenza crimini internazionali commessi nel conflitto nella parte orientale del Congo, l’istituzione di un tribunale internazionale per il Congo, pur consapevole delle innumerevoli difficoltà per l’attuazione del progetto, rimane se non fattibile, ma almeno auspicabile. Il suddetto tribunale sarà competente anche nei confronti di esponenti dei paesi limitrofi indiziati. La Corte internazionale di giustizia (CIG) nella sentenza del 19 dicembre 2005 ha dato una modesta soddisfazione alla RDC condannando l’Uganda per esser venuta meno ai suoi obblighi internazionali. Invece nei confronti del Ruanda, Stato all’epoca nelle stesse condizioni che l’Uganda, la CIG aveva preso atto, nella sentenza del 3 febbraio 2006, del difetto della base di competenza nella controversia. Il tribunale internazionale per il Congo, per l’ampiezza della competenza temporale di cui potrà disporre, appare uno strumento più idoneo e più efficace rispetto alla CPI di cui abbiamo brevemente evidenziato i limiti soprattutto temporali.
Kazadi Mpiana Joseph. Dottore di Ricerca in Diritto internazionale e dell’Unione europea presso l’Università di Roma “ La Sapienza”. E-mail: kazadimpiana@hotmail.com