“«L’Italia non aveva più soldi. Non avevamo niente. Niente». Andrea Monorchio smette di parlare, china il capo e chiude gli occhi. E in quel momento di raccoglimento rivede il baratro in cui stava per precipitare il Paese nell’estate del 1992. Per chi è Ragioniere generale dello Stato ed è chiamato a gestire le risorse dello Stato, il fallimento dello Stato rappresenta il fallimento di sé stesso. «E sapere che l’Italia rischiava di non poter pagare stipendi, pensioni e titoli pubblici era un’idea inaccettabile».”
Inizia così l’intervista sul Corriere della Sera ad Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato dal 1989 al 2002.
Peccato che il racconto sia, se non completamente, quasi del tutto sbagliato.
L’Italia non rischiava il fallimento. L’Italia ha attraversato una pesante crisi dovuta all’insensata scelta di “proteggere” il cambio fisso, cioè l’adesione allo SME (il sistema monetario europeo, antesignano dell’euro), al mancato intervento di Bankitalia (figlio del divorzio del 1981) e alla scelta della Germania di non mantenere la parola data intervenendo in favore della Lira (un altro modo di far pagare ai Paesi europei la riunificazione tedesca).
Ricordiamo qualche data importante per capire meglio la crisi del 1992.
Nel 1979 l’Italia aderì al Sistema Monetario Europeo, un sistema di cambi fissi che può essere considerato il padre putativo della moneta unica.
Nel 1981 avvenne il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro per impedire alla Banca Centrale italiana di comprare titoli di stato e di finanziare direttamente le casse del Tesoro. Il divorzio avvenne con un semplice scambio di lettere tra l’allora ministro del tesoro, Beniamino Andreatta, e dell’allora governatore di Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi senza avere mai una vera legittimazione politica.
Nel 1989 ci fu la caduta del muro di Berlino che portò da lì a poco alla riunificazione tedesca (più un’annessione come spiegato bene da Vladimiro Giacché nel suo Anschluss). La Bundesbank, la banca centrale, aumentò la stretta monetaria e i tassi di interesse contravvenendo agli accordi di sostenere il tasso cambio del marco mettendo così in crisi molti Paesi europei (tra cui l’Italia) che furono colpiti da fenomeni di fuga di capitali (verso la Germania) e di austerità in una fase di rallentamento dell’economia¹. Facendo così pagare anche i partner europei la riunificazione tedesca.
Nel 1990 vennero completamente liberalizzati i movimenti di capitali (portando a termini un processo iniziato 2 anni prima, nel 1988) e l’Italia aderì alla banda stretta di oscillazione dello SME (il cosiddetto SME credibile) che comportava l’ulteriore stretta sulla fluttuazione del cambio.
Torniamo al racconto di Monorchio. Un racconto, dicevamo, “se non del tutto sbagliato, quasi niente giusto” (parafrasando la celebre strofa de Il Bombarolo di De André).
E infatti, smentendo sé stesso, più avanti ricorda «Da settimane la lira era sotto attacco speculativo. I mercati ci avevano abbandonato. E i tedeschi completarono l'opera: la Bundesbank annunciò che non ci avrebbe più sostenuto. Carlo Azeglio Ciampi, che allora era governatore di Bankitalia, provò per mesi a difendere la permanenza della lira nel Sistema monetario europeo, prima di essere costretto a mollare».
L’attacco speculativo contro la Lira di George Soros fu possibile grazie alla libera circolazione dei capitali e all’adesione allo SME.
La difesa, insensata e inutile, del cambio fisso da parte di Ciampi ci costò tra giugno e settembre 43 miliardi di dollari di riserve valutarie (quasi 100 miliardi di dollari di oggi)².
La fuga di capitali pari fu di 25.900 miliardi di lire (circa 24 miliardi di dollari dell'epoca, quasi 50 miliardi attuali).
Arrivò poi la notte del 10 luglio. Quando l’allora presidente del consiglio, Giuliano Amato, e il Ministro delle Finanze, Giovanni Goria, decisero segretamente di prelevare il 6 per mille dai conti correnti degli italiani e di imporre un’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3 per mille della rendita catastale rivalutata (imposta che invece venne resa permanente diventando l’ICI). Di quella decisione non c’è traccia neanche nei verbali desecretati della riunione.
Prelievo sui conti correnti e ISI costarono agli italiani 11.500 miliardi di lire (circa 12 miliardi di euro di oggi).
Nel decreto legge 133 dell'11 luglio 1992, oltre al prelievo forzoso sui conti correnti e all’imposta straordinaria sugli immobili, vennero inseriti l’aumento dell’età pensionabile, la patrimoniale sulle imprese, l’introduzione dei ticket sanitari, la tassa sul medico di famiglia e l pari al 3 per mille della rendita catastale rivalutata.
Questa manovra lacrime e sangue, vale la pena ribadirlo, non venne fatta per necessità. Venne fatta per ideologia. Venne fatto per una fede irrazionale nel vincolo esterno. Non a caso venne fatta nell'anno più nero della storia recente di questo martoriato Paese, il 1992. Quello di Maastricht, del Britannia, di tangentopoli e degli omicidi di Falcone e Borsellino.