di Federico Giusti
Nella manovra economica da poco presentata, e contro la quale il 29 Novembre ci sarà lo sciopero generale non solo della CGIL ma di buona parte del sindacalismo di base, le spese militari non raggiungono le cifre auspicate dalla Nato ma restano comunque parte rilevante delle complessive uscite se pensiamo alla loro ininterrotta crescita da dieci anni a questa parte e a ritmi incalzanti dal 2019 ad oggi.
La manovra prende in esame un parametro, quello della crescita ipotetica del Pil e del tasso di disoccupazione di equilibrio, criticati per la scarsa affidabilità scientifica dall'economista Emiliano Brancaccio , ci si muove dentro un quadro economico reale assai deludente e tale da smentire le previsioni già al ribasso della Banca d'Italia. E in ogni caso l'Italia si è adeguata ai nuovi parametri di Bilancio comunitari in fretta e furia accogliendone la versione più ristrettiva in termini di spesa.
Il tasso di crescita economico, per riferirci ai canonici riferimenti, previsto dal Governo è attorno all'1%, l'economia reale italiana cresce meno della metà e se questi dati saranno confermati presto si renderà necessaria una manovra aggiuntiva con ulteriori tagli. Stiamo parlando di una manovra che farà uscire la nostra economia dalla crisi? Ovviamente no perchè le entrate fiscali sono ridotte ai minimi termini.
Se poi guardiamo alla spesa sanitaria, dati alla mano, andremo a spendere lo 0,4% in meno della media dell'ultimo decennio, cifre inferiori alle reali necessità e alla media di molti altri paesi Ue.
9,1 miliardi di euro nel 2025 destinati alla difesa, tagli alle risorse destinate alla salvaguardia dei territori dal rischio di frane e smottamenti, tagli alla transizione verde ma investimenti nei settori tecnologici duali che poi finiscono a loro volta nel settore della difesa essendo indirizzati a nuovi sistemi di arma.
Qualcuno obietta che il nostro paese è ancora lontano dal raggiungere il 2 per cento del Pil per la spesa militare chiesto dalla Nato 10 anni fa ai suoi paesi membri, a Manovra approvata dovremmo guardare invece i singoli capitoli di bilancio, inclusi quelli non legati al Ministero della Difesa ma parte integrante delle uscite "belliche", a quel punto potremo trarre qualche conclusione ulteriore.
Anche senza raggiungere il 2 per cento la spesa in armamenti cresce costantemente, passata da 7,3 a 13 miliardi di euro in meno di 5 anni, in percentuale parliamo di un più 70%, al contempo si lesinano fondi per l' innovazione considerando lo sviluppo tecnologico rilevante soprattutto se a fini di guerra.
Una manovra che non destina fondi dove serve (ricerca, lavoro, welfare e sanità), evitando di ripristinare aliquote fiscali progressive e una tassa sui grandi patrimoni ma si mostra, con tutti i limiti di una economia in grande crisi, fin troppo attenta alla spesa militare
Una Finanziaria di guerra contro la quale urge mobilitarsi.