di Paolo Desogus*
Il grande entusiasmo del PD verso la rielezione di Ursula Von der Leyen è rivelatore del vuoto politico di questa formazione politica da tanti anni alla deriva, trascinata dalle correnti neoliberali e dal rifiuto radicale di qualsiasi autocritica. Il PD conferma la propria unica autentica vocazione: la "vocazione al vincolo esterno". Incapace di offrire una qualsiasi forma di intervento in favore delle classi sociali a cui dovrebbe fare riferimento per mantenere l'etichetta di "sinistra", il PD si propone come "forza di governo" in quanto "forza dell'establishment europeo".
Il PD non ha un programma, non esprime un progetto per il paese, non propone una lettura dei processi economici e sociali. Avete mai letto un'analisi, uno studio, un approfondimento sull'occupazione, sul sud, sulla deindustrializzazione, sull'ambiente? Avete mai sentito parlare di un documento elaborato dalla segreteria Schlein sulla politica estera, sulle relazioni internazionali tra Italia e USA o sul Mediterraneo?
Il partito politico dovrebbe essere il luogo di elaborazione di una visione del mondo strutturata a partire dalle esigenze del proprio referente sociale e pensata in stretta dialettica con le traiettorie geopolitiche, i rapporti di forza tra capitale e lavoro e le condizioni strutturali del paese. Il PD si è mai proposto nulla del genere?
Il PD non ha un referente sociale. Non lo ha esplicitamente. Si propone come partito interclassista, ma poi, fatalmente, si ritrova sempre sotto ricatto da parte di quei soggetti non direttamente coinvolti nella vita parlamentare, ma che al contrario del PD sono fortemente impegnati a elaborare una visione del mondo e della società. Banche, fondazioni, centri studi finanziati da gruppi privati, strettamente connessi con l'editoria e la stampa e afferenti al grande capitale, si sono fatti carico di riflettere, analizzare, studiare il paese, la sua economia, il suo sistema di istruzione, la sua politica estera e il suo welfare allo scopo di servirsi di questo materiale per imporre la propria egemonia politica.
Il PD non è un partito che pensa. Ma c'è qualcuno che pensa per lui e che si fa carico di conferirgli qualche straccio di idea, una linea, una corrente lungo la quale farsi trascinare per sopravvivere. La parola d'ordine è in questo momento: Von der Leyen e di lì non ci si schioda. Poi, guardate, Elly Schlein fa quasi tenerezza quando tenta qualche manovra correttiva. Rispetto ad altri ha fatto dei tentativi. Ha mostrato di non essere così servile e ottusa come Enrico Letta o così inconsistente come Zingaretti. Ma è troppo debole. La sua struttura politica è quella che pensa al partito in termini postmoderni e interclassisti. Di fatto, dunque, per mandare avanti la baracca è costretta più o meno consapevolmente a seguire la corrente, a restare subalterna al vincolo esterno che garantisce al capitale italiano di conservare la propria egemonia, di imporre la visione del mondo nata fuori dal contesto partitico.
*Post Facebook del 18 luglio
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