di Giuseppe Masala
In più di una circostanza ho parlato della genesi della Seconda Repubblica incentrandomi soprattutto sulla lotta interna alla Democrazia Cristiana: da una parte gli andreottiani, i dorotei e forlaniani e dall'altro lato la cosiddetta "sinistra Dc" quella che ci ha dato uomini come Prodi e Andreatta che dopo il tragico epilogo della Prima Repubblica (a suon di bombe stragiste politico-mafiose e di arresti di massa nel nome dell'onestà) prese il potere.
Ora è il momento di interessarci dell'altra "chiesa", quella comunista. Un partito il Pci senz'altro pieno di personalità di spicco, tralasciando Gramsci, parliamo di gente del calibro di Terracini, di Secchia, di Togliatti. Ma mano a mano che questi invecchiavano prese il potere un'altra generazione, quella di Berlinguer. Ecco, per capire come si evolse il pensiero politico del Pci e le sue linee programmatiche mi pare interessante illustrarvi questo testo del 1977 dove c'è un discorso di Berlinguer tenuto al "Convegno degli intellettuali" il 15/1/1977. Il testo si intitola emblematicamente "Austerità occasione per trasformare l'Italia". Andiamo a sfogliarlo:
[Immagine 2] Austerità non come condizione temporanea e strumento contingente di politica economica ma come politica duratura ed ineludibile. Austerità dunque come moderazione salariale e come deflazione salariale condizione permanente per i lavoratori. Un passaggio che è una via di mezzo tra il "there is no alternative, Tina" di Margaret Thatcher e la deflazione salariale di un'Angela Merkel ante litteram;
Pagine emblematiche queste che spiegano tanto della nostra storia passata e presente. Con una formbidabile opera di manipolazione una banda di reazionari che si muoveva trasversalmente ai partiti ha imposto politiche di destra, quelle che nella Seconda Repubblica sono diventate immodificabili grazie alla scelta europea. Inutile dire che nella Seconda Repubblica quiesti reazionari annidati nella vecchia Dc e nel vecchio Pci hanno fuso le loro esperienze in un unico partito.
Una delle poche voci che si oppose a questo scempio e a questa manipolazione ammantata da lotta agli sprechi e all'inflazione non a caso fu il Professor Federico Caffè, una voce limpida, sempre più flebile e isolata che criticò aspramente la scelta berliguerista (*)
(*) “L’Espresso”, 11 aprile 1982. Federico Caffè in "La solitudine del riformista". A cura di Nicola Acocella e Maurizio Franzini. Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 138-139.
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