di Giuseppe Giannini
Da un pò di tempo è in atto nelle cd. democrazie occidentali una pericolosa tendenza, che mette in discussione la tradizionale ripartizione dei poteri, in base alla quale da secoli è improntata la vita degli Stati. La rigida separazione delle funzioni (legislativa, esecutiva e giudiziaria) pensata da Locke e Montesquieu è stata la caratteristica precipua dell'esistenza democratica.
E' ovvio che ogni ruolo a cui si è adibiti è perfettibile, ma quello che non dovrebbe mai mancare è il divieto di ingerenza da parte di un potere sull'altro. E se Rousseau, uno dei padri della democrazia diretta (volontà generale) ci ammoniva circa i pericoli insiti della democrazia rappresentativa, è vero che essa, con tutti i limiti (l'identificazione con lo Stato borghese di cui parlavano Marx e Lenin) ha cercato attraverso la salvaguardia di tali prerogative (la separazione appunto) di assicurare l'autonomia dei decisori e la trasparenza, e quindi il consenso dei governati.
" Non è bene che chi fa le leggi le esegua" affermava Rousseau nel Contratto Sociale. Questa pronuncia è sicuramente attuale quando andiamo a vedere gli eccessi del potere esecutivo. Infatti, scavalcando la funzione legislativa e le caratteristiche del parlamentarismo, garanzia del pluralismo delle posizioni e della dialettica democratica nelle aule, i governi hanno cercato di dare un'accelerata al processo di formazione delle leggi, che sta diventando una prassi della quale non si avverte alcuna necessità. Quando avviene ad opera di governi reazionari, unitamente a riforme che toccano il potere giudiziario, ed insieme al condizionamento dell'altro potere esterno ed indispensabile per il controllo dal basso, quale è la funzione dei media (il Quarto potere), ecco che allora, dovremmo iniziare a preoccuparci. Senza tirare in ballo i fascismi, certo è che non sono solo la Turchia o l'Ungheria i posti dove lo stato di diritto è messo in discussione. Fra gli ultimi è la "democratica" Israele dei fanatici al governo che, molto prima dell'attentato di Hamas, avevano predisposto una riforma della giustizia volta ad indebolire il potere giudiziario e ad aumentarne il controllo da parte dell'esecutivo. Interventi che ricordano molto quelli pensati dalla destra italiana.
E' pur vero che anche i governi liberali, in periodi vicini, non hanno fatto mancare la loro mano: pensiamo alla decretazione d'urgenza e agli stati d'emergenza prorogati durante la pandemia.
Per quanto attiene alle mire sulla Magistratura l'Italia è il Paese che nutre scarsa fiducia nella giustizia da parte dei cittadini.
Alcune figure sono state eroicizzate: i giudici antimafia; il pool di Tangentopoli. Tuttavia, in alcuni casi, l'eccesso di protagonismo ha spostato oltre il concetto di legalità (tipicità della previsione normativa) minandone la credibilità degli operatori. E' dalla stagione berlusconiana ( mai finita) che prende corso il duro attacco alla gestione della giustizia. Legittimi impedimenti, e i vari lodi, sono fra gli strumenti adoperati per salvaguardare gli interessi personali e l'impunità. La corruzione morale del Paese anche mediante la riproposizione costante di quell'ampio progetto di riforme, tristemente conosciuto come il Piano di rinascita della P 2 di Licio Gelli. Analizzando gli obiettivi presenti nel piano sorgono domande inquietanti, perchè alcuni di essi sono stati portati a compimento nella Seconda Repubblica:
Ed anche il ruolo preponderante del lobbismo era presente in quel Piano.
Ora, che certi magistrati siano politicizzati oltre il correntismo delle aree viene fuori nella facilitazione delle carriere, ma soprattutto nelle sentenze.
Un orientamento verso la conservazione iniziato con la Legge Reale e che oggi vede protagonista la Procura di Torino. Sono poche le voci del sistema che si alzano contro. L'intento è voler disciplinare le masse politicizzate, quelle che non ci stanno a subire danni all'ambiente, al lavoro, alla salute, o che contestano le politiche di guerra.Viene scansato il sociale, che diventa una colpa. Il dissenso turba centrodestra e centrosinistra esecutori degli interessi capitalistici, che di fatto rendono la giustizia sempre più classista.
Invece, appena l'operato di un magistrato tocca i provvedimenti del governante di turno, o qualche esponente politico (già beneficiato dall'immunità di cui all'art. 68 Cost.), arriva puntuale l'attacco personale.
L'ultimo episodio riguarda il rinvio alla Corte UE della questione relativa alla deportazione in Albania di alcuni migranti provenienti dall'Egitto e dal Bangladesh. In questo caso, ferma restando l'attesa della pronuncia, per la quale, presumibilmente, ci vorranno diversi mesi prima di conoscere l'aggiornamento della lista dei Paesi sicuri, mentre per il governo italiano lo sono (e la Von der Leyen per convenienza politica pare sia attratta dalla visione delle destre), essendo la materia di competenza concorrente (la UE fissa le linee, gli Stati adottano le misure) ma non potendo un atto normativo interno (inferiore) violare una norma di rango superiore – la Costituzione, la disciplina comunitaria – alla quale deve attenersi, il governo ha pensato bene di politicizzare, ancora una volta, il problema. Tirando in ballo la sovranità.
Attacco all'indipendenza della Magistratura, che ricordiamo costituisce un ordine autonomo dagli altri poteri (art. 104 cost.). Ed i magistrati sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.) che cercano di applicare.
I giudici italiani hanno, pertanto, il dovere di controllare la corretta applicazione del diritto della UE.
La nuova lista di Paesi sicuri approntata dal governo Meloni non soddisfa i criteri della direttiva UE ( che è vincolante ed ha prevalenza), in base alla quale occorre dimostrare che nei suddetti Paesi non vi siano conflitti, persecuzioni, violenze, torture, trattamenti degradanti ecc. E l'Egitto è famoso purtroppo per le incarcerazioni arbitrarie (Zaki) e le torture (Giulio Regeni) a cui corrono di incappare semplici cittadini, non per forza oppositori del regime. Mentre in Bangladesh il tasso di criminalità è molto elevato.
Piuttosto la questione relativa al rispetto del diritto sovranazionale doveva essere posta anche in passato. E' il caso del Regolamento UE sul green pass che dichiarava di non discriminare i non vaccinati e che in Italia provvedimenti disciplinatori hanno di fatto derogato.
Infine, è di questi giorni l'attacco di Elon Musk ai giudici italiani. Musk non è un imprenditore qualsiasi, essendo uno degli uomini più ricchi e potenti al mondo, vicino alla Meloni e a Trump, ma con il suo impero distopico sta desocializzando le vite di milioni di persone. La dimostrazione di come il potere economico mal sopporta il rispetto delle regole. Regole surclassate dal neoliberismo per il quale ogni sorta di laccio (normativa) rappresenta l'impedimento all'agire indisturbato.
E se nel mondo di oggi lo strapotere dei giganti economici convive con le crescenti diseguaglianze dovute allo sdoganamento delle illiceità è proprio a causa dell'assenza di regole adeguate o della mancanza della loro osservazione.
Per cui, ritornando all'Italia, la riforma della giustizia, che punisce i devianti ma assolve i potenti e gli affiliati, con l'abrogazione del reato di abuso di ufficio, è la veste autoritaria di questo potere.
L'impunità e il privilegio appartengono a chi sta sopra. Per i sottoposti, invece, la regola serve ad impedire, controllare e condannare oltre il dovuto.
In pratica, ciò che sta avvenendo è la messa in discussione della separazione dei poteri e delle competenze.
E con esse della vita democratica.
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