Con questo primo articolo inauguriamo Generazione AntiDiplomatica, lo spazio che l’AntiDiplomatico mette a disposizione di studenti e giovani lavoratori desiderosi di coltivare un pensiero critico che sappia andare oltre i dogmi che vengono imposti dalle classi dirigenti occidentali, colpendo soprattutto i giovani, privati della possibilità di immaginare un futuro differente da quello voluto da Washington e Bruxelles. Come costruirlo? Vogliamo sentire la vostra voce. In questo nuovo spazio vi chiediamo di far emergere attraverso i vostri contenuti la vostra visione del mondo, i vostri problemi, le vostre speranze, come vorreste che le cose funzionassero, quale società immaginate al posto dell’attuale, quali sono le vostre idee e le vostre riflessioni sulla storia politica internazionale e del nostro paese. Non vi chiediamo standard “elevati” o testi di particolare lunghezza: vi chiediamo solo di mettervi in gioco. L’AntiDiplomatico vi offre questa opportunità. Contribuite a questo spazio scrivendo quanto volete dei temi che vi stanno a cuore. Scriveteci a: generazioneantidiplomatica@gmail.com
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Articolo di Gabriele Sinigaglia, studente dell’Istituto Nautico San Giorgio di Genova
ottobre 2024
A partire dal 24 febbraio 2022, data di inizio dell’Operazione Militare Speciale lanciata dalla Federazione Russa a difesa delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, tutto l’Occidente è stato investito da una grande campagna propagandistica volta a difendere le azioni della dirigenza ucraina, responsabile negli anni precedenti di 12.000 morti, il 70% dei quali civili, presentandola come vittima di un’aggressione “improvvisa e immotivata”. Questa campagna ha colpito non solo i media, ma anche le scuole.
Da studente di un istituto tecnico, il San Giorgio di Genova, credevo che l’impegno per diffondere narrazione della Russia-regime aggressore e dell’Ucraina-pacifica vittima si fermasse ai licei, dove da anni è propinata agli studenti una visione del mondo neoliberale e atlantista, ma con mia grande sorpresa già subito dopo l’inizio dell’Operazione Speciale iniziò anche all’interno della mia scuola la diffusione della propaganda anti-russa. Il primo caso risale ai giorni immediatamente successivi al 24 febbraio, quando la nostra professoressa di italiano ci mostrò un cartone animato che, stando al suo parere, veniva fatto vedere in Russia ai bambini, nel quale venivano spiegate le ragioni del conflitto. La professoressa in questione interruppe più volte il video per commentare spiegando come questo non fosse altro che un tentativo dello Stato russo di lavare il cervello dei bambini.
I tentativi di presentare la propaganda occidentale come verità incontestabile sono continuati nei mesi successivi. Nell’autunno dello stesso anno, con l’inizio del nuovo anno scolastico, già dal primo giorno diversi professori si sono impegnati a diffamare la Russia. In particolare ne ricordo uno che nella sua prima ora di lezione dell’anno affermò che in Russia non ci sarebbe una “vera e propria opposizione politica”, e che il paese sarebbe gestito dal “dittatore Putin e dal suo gruppo di oligarchi”. Feci quindi notare al professore che, in realtà, un’opposizione in Russia esiste, ed è rappresentata principalmente dal Partito Comunista della Federazione Russa, che alle ultime elezioni parlamentari ha preso quasi il 20% dei voti, e che il fenomeno degli oligarchi non è nato con Putin, ma che deriva dagli Anni ‘90 e dalle politiche di privatizzazione filo-occidentali verso le quali Putin si è posto in discontinuità, arrivando anche ad allontanare e perseguire diversi oligarchi. Gli chiesi poi perché quelli che in Russia vengono definiti “oligarchi” in Occidente si chiamino “grandi imprenditori”. Le mie domande non trovarono risposta, e le obiezioni da me sollevate furono sminuite.
Ci furono altre occasioni di confronto con questo professore, anche perché il suo atteggiamento non mutò nei mesi successivi. Per esempio, ricordo come arrivò a ridimensionare le sofferenze della popolazione civile del Donbass, quasi negandole, come vennero anche fortemente “ridimensionati” i danni dell’invasione statunitense dell’Iraq del 2003. Nel primo caso chiamò in causa l’assenza di qualsiasi riconoscimento delle persecuzioni in corso da parte delle Nazioni Uniti, ma, stranamente, l’assenza di qualsiasi mandato internazionale per una campagna di aggressione che causò complessivamente più di un milione di morti non sembrò turbarlo particolarmente.
L’episodio che mi colpì di più riguarda però un altro docente, la professoressa di italiano. La professoressa in questione si definisce “anarchica”, vanta la sua partecipazione alle manifestazioni contro il G8 di Genova del 2001 e il suo impegno femminista e antifascista. Lo scorso anno ha deciso di mostrare alle sue classi quinte il documentario “Fortezza Mariupol: l’ultimo giorno all’Azvostal”, un film di propaganda ucraino che ritrae i soldati del battaglione Azov, una formazione militare composta da neo-nazisti colpevole di documentati crimini di guerra persino nella stessa città di Mariupol, come eroici difensori, mostrandone la sofferenza durante l’assedio dell’acciaieria Azovstal, dove si erano rintanati portando con sé civili da usare come scudi umani prima di arrendersi ai russi. La professoressa affermò di essersi “commossa” guardando quelle immagini, e parlava fieramente e con orgoglio del suo aver mostrato il documentario alle sue classi. E’ curioso come una persona che, settimanalmente, ci ricordava la sua condanna per i “totalitarismi” e il valore dell’antifascismo sia arrivata a versare lacrime per energumeni ricoperti di svastiche nascosti in un’acciaieria dopo aver passato giorni interi a sparare contro i civili in fuga.
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