24 maggio. Andrea Rocchelli: gli anni di ingiustizie e censure diventano nove
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24 maggio 2014, il fotoreporter Andrea Rocchelli, in Donbass per documentare il conflitto, viene ammazzato a Sloviansk insieme al collega Andrej Mironov da una serie di colpi d’artiglieria sparati dall’esercito di Kiev.
A distanza di nove anni - e dopo un lungo e travagliato processo in cui non sono mancate indebite pressioni contro la magistratura italiana da parte di uno Stato straniero, quello ucraino, citato a giudizio come responsabile civile dell’attacco - nessun colpevole è stato ancora individuato, né tantomeno condannato.
Nessuna verità è stata fatta sull’omicidio di un giovane cittadino italiano.
Eppure, nonostante l’assoluzione dell’unico imputato per concorso in omicidio (il che vuol dire che le mani sporche del sangue di Andrea Rocchelli sono più di due), qualcosa di molto preciso la sappiamo.
Sappiamo - e lo racconta a RaiNews24 un disertore dell’esercito di Kiev presente sul luogo dell’assassinio - che un comandante ucraino avrebbe dato l'ordine di sparare colpi di mortaio contro il gruppo di civili tra i quali erano presenti Rocchelli e Mironov.
Sappiamo - e lo dicono chiaramente le sentenze di primo e secondo grado del processo a carico di Vitali Markiv (assolto per non aver commesso il fatto) - che l’esercito ucraino e la Guardia Nazionale di Kiev sono diretti responsabili del volontario e deliberato attacco con armi pesanti contro i giornalisti. Azione commessa in violazione “del diritto umanitario e della Convenzione di Ginevra” (pag 145-146 sentenza Corte d’Assise) attuata con “dolo e pervicacia […] senza colpi di avvertimento, alcuna possibilità offerta alle vittime di fuggire, furono crivellati di colpi con ogni arma in dotazione fino alle ultime battute” (pag 167).
Così come di altri deliberati bombardamenti attuati in altre occasioni contro giornalisti presenti per documentare il conflitto.
Allora perché questo indegno silenzio? Perché a poco meno di dieci anni dal vile omicidio di un nostro giovane connazionale non ci sono striscioni gialli appesi ai balconi dei comuni di mezza Italia per chiedere verità e giustizia come (giustamente) per Giulio Regeni?
La risposta è semplice, per quanto scomoda per più di qualcuno. Ammazzando Andrea Rocchelli e Andrej Mironov l’esercito ucraino ha commesso un crimine di guerra.
E mandare armi, sostenere militarmente un Paese colpevole di crimini di guerra ti rende complice di quello. Moralmente e sulla base del diritto internazionale.
Ecco perché la verità dev’essere insabbiata. Ecco perché la morte di Andrea Rocchelli deve restare senza colpevoli e senza giustizia.
Ammazzato due volte.
Perché non raccontasse la vera natura di un conflitto, quello del Donbass, provocato dall’Occidente e alla base dell’attuale sanguinosa guerra tra Russia e
Ucraina. E perché si possa serenamente continuare ad alimentare l’ennesima guerra imperialista americana combattuta, come al solito, spacciandosi come i buoni del mondo.
Diceva Eschilo che la prima vittima di una guerra è la verità. La seconda, aggiungo io, è Andrea Rocchelli.