29 DICEMBRE 1890 STRAGE DI WOUNDEED KNEE

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29 DICEMBRE 1890 STRAGE DI WOUNDEED KNEE

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Esattamente centotrenta anni fa, nel nord degli Stati Uniti, il famigerato reggimento Settimo Cavalleria circondò trecentocinquanta Sioux Lakota, in gran parte donne, bambini, anziani. I nativi americani, tra fame e malattie, cercavano di raggiungere Pine Ridge, dove oggi è la riserva indiana nello stato del Sud Dakota, e lì speravano di trovare protezione dalle persecuzioni e dagli assassini che subivano da parte di soldati e coloni.

Il 29 dicembre del 1890, sulle rive del torrente Woundeed Knee, armati di cannoni e mitragliatrici, i cavalleggeri guidati dal colonnello Forsyth intimarono ai Sioux la resa immediata e, non avendo avuto risposta per essi soddisfacente, aprirono il fuoco. Oltre trecento donne bambini anziani, tra cui il capotribù Piede Grosso malato di polmonite, furono falciati dalle raffiche di mitragliatrice, anche alcuni soldati furono trucidati perché colpiti dal fuoco amico nella furia del massacro.

 

 

La strage di Woundeed Knee non solo ci ricorda che la bandiera del settimo cavalleria, simbolo di coraggio ed eroismo in tanti western, è in realtà il marchio d’infamia di bande di tagliagole in uniforme. Ma soprattutto quel massacro di persone deboli ed inermi, ci ricorda che, come gli armeni e come gli ebrei, anche i nativi americani sono vittime di un olocausto razziale.

Gli Stati Uniti hanno costruito la loro cosiddetta democrazia sul sangue degli schiavi africani e su quello dei milioni di nativi sterminati per far posto agli affari ed ai coloni. E quando oggi i governi degli Stati Uniti sostengono l’occupazione coloniale delle terre palestinesi da parte di Israele, non fanno altro che giustificare Woundeed Knee.

 

 

Il razzismo è un elemento costituente e sempre risorgente degli Stati Uniti e per questo ogni rivolta di popolo in quel paese ha bisogno di abbattere simboli della storia. Perché oggi come allora non c’è giustizia per gli oppressi e gli uccisi.

 

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Seppellite il mio cuore a Woundeed Knee.

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