5 marzo: "Sul compagno Stalin"
Il saggio che segue è tratto dal nuovo libro intitolato "Sul compagno Stalin", scritto da Giulio Chinappi, Vanna Melia, Alessandro Pascale e Pietro Terzan.
Evitando qualunque tentazione agiografica e anzi illustrando i limiti e le grandi difficoltà affrontate dalla direzione sovietica dal 1924 al 1953, gli autori evidenziano anche i prevalenti lati positivi della praxis politico-sociale e internazionale di Stalin a partire dall'epocale vittoria sul nazifascismo ,di cui tra poco si celebrerà l'ottantesimo anniversario e il cui merito principale risulta innegabilmente del popolo sovietico, dell'Armata Rossa e del dirigente comunista georgiano conosciuto universalmente come Stalin.
Buona lettura.
Introduzione di Giulio Chinappi
Nel corso del Novecento, poche figure storiche hanno suscitato dibattiti tanto accesi e polarizzanti quanto quella di Iosif Vissarionovi? Džugašvili, meglio conosciuto come Stalin. L’immagine di Stalin è stata oggetto di numerose interpretazioni, spesso antitetiche: da un lato, un leader capace di trasformare l'Unione Sovietica in una superpotenza industriale e militare; dall'altro, un dittatore associato a repressioni politiche e sacrifici umani. Questo libro, intitolato Sul compagno Stalin, si propone di offrire una prospettiva equilibrata e non agiografica sulla figura di Stalin, ponendo tuttavia particolare attenzione agli aspetti positivi della sua leadership, spesso oscurati da una narrazione dominante che tende a demonizzarlo, equiparando addirittura il comunismo sovietico al nazismo tedesco e lo stesso Stalin ad Adolf Hitler.
Uno degli obiettivi principali di questo libro è contrastare tale forma di revisionismo, oggi sostenuta persino da documenti istituzionali[1], che non solo è storicamente infondata, ma rappresenta anche un insulto alle decine di milioni di vite sacrificate dall'Unione Sovietica nella lotta contro il nazifascismo. Non possiamo infatti mancare di ricordare come l'Armata Rossa e l'Unione Sovietica abbiano avuto un ruolo centrale nella sconfitta di Hitler e dei suoi alleati, un contributo senza il quale l'esito della Seconda guerra mondiale sarebbe stato drammaticamente diverso. Ricordare e analizzare questo aspetto è essenziale non solo per rendere giustizia alla storia, ma anche per comprendere l'importanza del modello sovietico nella resistenza contro una delle ideologie più distruttive del XX secolo.
- La grande guerra patriottica
La Seconda guerra mondiale, conosciuta in Russia come la Grande Guerra Patriottica, rappresentò per l’URSS una prova di sopravvivenza nazionale e ideologica. L'invasione nazista, avvenuta il 22 giugno 1941 con l'Operazione Barbarossa, fu un evento devastante. Milioni di soldati e civili sovietici persero la vita nei primi mesi del conflitto, mentre vaste aree del territorio sovietico venivano occupate dalle truppe tedesche. Tuttavia, nonostante le perdite iniziali, l'Unione Sovietica riuscì a mobilitare risorse umane, industriali e militari senza precedenti, dimostrando una resilienza straordinaria che avrebbe cambiato le sorti della guerra.
L'evacuazione di oltre 2.600 fabbriche verso l'est del paese, lontano dalla portata delle forze tedesche, rappresentò un'impresa logistica titanica. Questa manovra non solo preservò il potenziale industriale del paese, ma permise anche la rapida conversione delle fabbriche alla produzione bellica. Entro il 1943, l'URSS superò la Germania nazista nella produzione di carri armati, aerei da combattimento e artiglieria. Questa capacità produttiva, accompagnata dalla tenacia del popolo sovietico, fu decisiva per la vittoria.
Il momento cruciale per l’esito della guerra, che segnò un netto cambiamento nell’inerzia del conflitto, fu la battaglia di Stalingrado (1942-1943), considerata uno dei più grandi capovolgimenti militari della storia. La vittoria sovietica non solo inflisse una sconfitta devastante alle forze tedesche, ma segnò anche l’inizio dell’offensiva dell’Armata Rossa verso ovest, che avrebbe poi portato le truppe sovietiche fino a Berlino. Il coraggio e il sacrificio dimostrati dai soldati sovietici a Stalingrado divennero un simbolo della resistenza contro il nazifascismo. Questo episodio dimostra chiaramente la differenza tra le due ideologie in conflitto: mentre il nazismo mirava allo sterminio di intere popolazioni, l’URSS combatteva per la propria sopravvivenza e per la liberazione dell’Europa.
Un altro evento altamente significativo fu la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell'Armata Rossa, il 27 gennaio 1945. Questo episodio, uno dei più simbolici della guerra, rivelò al mondo l'orrore del genocidio nazista. I soldati sovietici che entrarono ad Auschwitz trovarono decine di migliaia di prigionieri sopravvissuti, ridotti in condizioni disumane, e scoprirono le prove di un sistema di sterminio di massa che aveva ucciso milioni di ebrei, prigionieri politici e altre vittime del regime hitleriano.
La liberazione di Auschwitz non fu solo un atto militare, ma anche una dichiarazione morale e ideologica. L’URSS, che aveva subito enormi perdite umane e materiali, si ergeva come la principale forza contro il nazifascismo, dimostrando che il socialismo sovietico rappresentava un modello alternativo fondato sulla lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia. Questo episodio resta ancora oggi una testimonianza del ruolo insostituibile dell'Unione Sovietica nella liberazione dell'Europa dall'incubo nazista.
L’avanzata dell’Armata Rossa proseguì poi fino alla presa di Berlino nell'aprile-maggio 1945. La bandiera rossa issata sul Reichstag è diventata uno dei simboli più potenti della vittoria sul nazifascismo. Tale risultato non fu solo una mera vittoria militare sul campo, ma anche una dimostrazione della forza ideologica e organizzativa dell'URSS sotto la leadership di Stalin.
Non si può parlare del contributo sovietico alla Seconda guerra mondiale senza menzionare le perdite umane. L’URSS pagò il prezzo più alto di qualsiasi altra nazione coinvolta nel conflitto, con quasi 27 milioni di morti, tra soldati e civili, pari al 13,7% della popolazione complessiva dell’Unione Sovietica nel 1940[2]. Addirittura, si calcola che circa un quarto della popolazione bielorussa (2,3 milioni su 9,1 milioni), la Repubblica sovietica più esposta a causa della sua posizione geografica, perì nel conflitto. Questi numeri impressionanti sottolineano il sacrificio collettivo del popolo sovietico nella lotta contro il nazifascismo. Ogni famiglia fu colpita dalla guerra, e il ricordo di questi sacrifici rimane ancora oggi profondamente radicato nella memoria storica russa.
Le enormi perdite sovietiche devono essere viste anche alla luce del fatto che l'Unione Sovietica fu il principale bersaglio del piano nazista di "spazio vitale" (Lebensraum), che prevedeva lo sterminio di milioni di persone nelle regioni orientali, al fine di eradicare le popolazioni slave per far spazio alla colonizzazione tedesca. La lotta dell’URSS non fu quindi solo una guerra per la sopravvivenza, ma anche una battaglia per proteggere la propria identità culturale e nazionale.
- Contrastare la narrazione dominante
Nonostante l’importanza del contributo sovietico alla sconfitta del nazifascismo, la narrazione dominante in Occidente tende sempre più a minimizzare o distorcere questo ruolo, dando vita ad un marcato revisionismo storico, soprattutto nell’attuale contesto di russofobia generalizzata. Parimenti, l’equiparazione tra comunismo sovietico e nazismo, promossa da alcune correnti storiografiche e politiche, rappresenta una palese falsificazione storica. Mentre il nazismo fu un sistema basato sull’odio razziale, sul genocidio e sull’espansione imperialista, il comunismo sovietico, pur con tutte le sue aporie, si fondava sull’ideale di una società senza classi e sulla lotta contro l’oppressione.
Questa narrazione non è solo storicamente scorretta, ma è anche pericolosa, poiché sminuisce il sacrificio di milioni di sovietici e legittima un revisionismo che punta a delegittimare il socialismo come alternativa al capitalismo. Ricordare e analizzare il ruolo dell'URSS nella Seconda guerra mondiale è quindi un atto di giustizia storica e un antidoto contro le falsificazioni che cercano di riscrivere il passato a vantaggio di interessi politici contemporanei.
In questo contesto, è fondamentale analizzare il ruolo di Stalin non solo come leader militare, ma anche come figura politica capace di mobilitare risorse straordinarie per trasformare l'URSS in una superpotenza. La leadership di Stalin durante la guerra e nel periodo di ricostruzione postbellica dimostrò una capacità di pianificazione e di gestione delle crisi che molti storici, anche critici, riconoscono come un elemento chiave del successo sovietico.
Tuttavia, l'intento di questo libro non è quello di presentare un'immagine idealizzata di Stalin, ma di offrire un'analisi equilibrata che riconosca i suoi successi senza mettere a tacere gli aspetti critici del periodo staliniano. In un'epoca in cui la storia viene spesso utilizzata come strumento politico, è più che mai necessario difendere la verità storica e dare voce a prospettive che troppo spesso vengono ignorate o ridotte al silenzio.
Sul compagno Stalin è quindi un invito a riflettere criticamente sulla figura di Stalin e sull’esperienza sovietica, ponendo al centro della narrazione il contributo decisivo dell’URSS alla sconfitta del nazifascismo. Questo contributo, che ha garantito la libertà a milioni di persone in Europa, rimane uno dei capitoli più luminosi e significativi della storia contemporanea.
[1] G. Chinappi, Unione Europea: vergognosa risoluzione contro il Comunismo e la Storia. World Politics Blog, 26 settembre 2019.
[2] Tutte le principali fonti storiografiche, sia russe che occidentali, sono oramai concordi nell’affermare che i morti sovietici nel corso del secondo conflitto mondiale furono tra i 26 e i 27 milioni. Il numero di morti complessivi sarebbe di 26,5 milioni secondo V. Erlikman, ?????? ??????????????? ? XX ????: ?????????? [Perdite di popolazione nel XX secolo: un manuale], Russkaja panorama, Mosca 2004, p. 54; 26,6 milioni secondo R. W. Davies, (E) The Second World War, 1939-1945. Economic Transformation of the Soviet Union, 1913–1945. Cambridge University Press, 2005 [1° ed. 1994], pp. 77–79; sempre 26,6 milioni secondo M. Haynes, Counting Soviet Deaths in the Great Patriotic War: a Note, Europe Asia Studies, Vol. 55, N° 2, 2003, pp. 300–309.