A 35 anni da Sabra e Chatila, in Libano per rivendicare il diritto al ritorno

A 35 anni da Sabra e Chatila, in Libano per rivendicare il diritto al ritorno

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di Paola Di Lullo

35 anni fa...

“Furono le mosche a farcelo capire.
Erano milioni e il loro ronzio… era eloquente quasi quanto l’odore.
Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti.
Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare.
Se non ci muovevamo abbastanza velocemente, ci pungevano.
Perlopiù giravano intorno alle nostre teste in una nuvola grigia, in attesa che assumessimo la generosa immobilità dei morti.
Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c’è vita anche nella morte.
Qualcuno ne trae profitto.
Le mosche sono imparziali.
Per loro non aveva nessuna importanza che quei corpi fossero stati vittime di uno sterminio di massa.
Le mosche si sarebbero comportate nello stesso modo con un qualsiasi cadavere non sepolto.
Senza dubbio, doveva essere stato così anche nei caldi pomeriggi durante la Peste nera.
All’inizio non usammo la parola massacro.
Parlammo molto poco perché le mosche si avventavano infallibilmente sulle nostre bocche.
Per questo motivo ci tenevamo sopra un fazzoletto, poi ci coprimmo anche il naso perché le mosche si spostavano su tutta la faccia.
Se a Sidone l’odore dei cadaveri era stato nauseante, il fetore di Shatila ci faceva vomitare.
Lo sentivamo anche attraverso i fazzoletti più spessi.
Dopo qualche minuto, anche noi cominciammo a puzzare di morto.
Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura." 
(Robert Fisk, 
"Il martirio di una nazione. Il Libano in Guerra")
 
 
Le Associazioni "Per non dimenticare Sabra e Chatila" e "Con la Palestina nel cuore" hanno chiuso la settimana scorsa le iscrizioni per la formazione della delegazione che il prossimo settembre si recherà in Libano.

In Libano per continuare l'opera di Stefano Chiarini e Maurizo Musolino, entrambi prematuramente scomparsi, accomunati dalla battaglia che, sempre li ha visti in prima linea, per il rientro dei profughi Palestinesi nelle loro terre. Per portare sostegno e solidarietà, per denunciare il trattamento intollerabile e razzista, cui sono sottoposti i profughi palestinesi, per denunciare i silenzi dell’Occidente, dell’Europa, del nostro Governo. Per non far spegnere i riflettori, per tenere alta l'attenzione sulla situazione di oltre 7.000.000 di persone ( il numero è quasi decuplicato dal 1948 perché lo status dei profughi palestinesi è diverso da quello di tutti gli altri profughi del mondo in quanto ereditario), divise tra Palestina - Cisgiordania e Gaza -, Giordania, Libano e Siria. Particolarmente drammatica la situazione dei profughi palestinesi accolti dal governo siriano, che sono diventati, dal 2011 ad oggi, profughi dei profughi. In fuga di nuovo, alla ricerca di un'accoglienza dignitosa, di nuovo.

Da quel lontano 15 maggio 1948 son passati 69 anni. Allora, all'indomani dell'autoproclamazione dello Stato d'Israele, furono cacciate dalle loro case ed espulse dalla terra che divenne Israele almeno 750.000 persone, l'85% dei palestinesi. Con la Nakba, letteralmente "catastrofe", una parte della storiografia ufficiale, non israeliana, riconosce l'avvio del piano Dalet, ossia "la distruzione della società palestinese" o, come ben descrive Ilan Pappé, "la pulizia etnica della Palestina". I palestinesi, costretti a vivere nei campi profughi sin d'allora, sono rimasti in attesa di tornare alle loro terre, alle loro case, senza mai perdere la speranza. E molti, troppi, sono morti senza la possibilità di poter veder riconosciuto il proprio diritto al ritorno.



541 furono i villaggi distrutti, 11 le cittadine. Su quelle macerie, Israele costruì villaggi e città israeliane. Oggi Giaffa è un quartiere di Tel Aviv. Ad Haifa, dove si combatté una delle battaglie più importanti della guerra, già nel 1949 era rimasta solo una piccola parte dell’originaria popolazione araba: alcuni se n’erano andati prima della battaglia, altri furono costretti ad abbandonare le proprie case dopo la vittoria israeliana.

La maggior parte profughi palestinesi non ha certificato di nascita né di morte, non ha passaporto, non ha  diritto a cure mediche, ad eccezione di quelle fornite dall'UNRWA ( Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione ), non ha accesso alla pubblica istruzione, non ha diritto al lavoro.
L'intento dei due Comitati promotori ed organizzatori della missione è sollecitare l'opinione pubblica italiana, gli uomini e le donne di cultura, le Ong, i politici, i semplici cittadini allo scopo di :
- stare accanto ai palestinesi durante le celebrazioni del 35° anniversario del massacro di Sabra e Chatila*;
- conoscere la realtà di un popolo rifugiato;
- chiedere alle autorità e alle forze politiche libanesi, con le quali l'Italia ha ottimi rapporti di cooperazione, che venga fatto ogni sforzo per consentire ai palestinesi di avere una vita dignitosa;

- ricordare che il Diritto al Ritorno è sancito dalla legge internazionale ma disatteso.

Durante il viaggio, che avrà luogo dal 16 al 23 settembre, sono previsti incontri con  forze politiche palestinesi e libanesi, con personalità della cultura, del giornalismo e dell'associazionismo, visite a vari campi profughi, incontri sia con famiglie di rifugiati sia con i comitati popolari che gestiscono alcuni campi sia con i familiari delle vittime del massacro di Sabra e Chatila, commemorazione del massacro con una manifestazione. Il numero complessivo di rifugiati registrati in Libano è di circa 400.000, in 12 campi profughi ufficiali. 

 Prima del viaggio, numerose le iniziative, da Napoli a Salerno, Roma, Modena, Palmi e Reggio Calabria, allo scopo di raccogliere fondi a sostegno del progetto dell'associazione Assomud per l'acquisto di un gruppo eletroggeno nel campo profughi di Chatila.

 
Il tema del diritto al ritorno per il popolo di Palestina, ignorato da troppi, dentro e fuori il mondo arabo-mediorientale, sancito dalla Risoluzione ONU 194, sarà al centro delle iniziative con cui i palestinesi che vivono nei campi profughi del Libano ricorderanno le vittime della strage e le cause della loro lunga diaspora, chiedendo al Libano e al mondo intero di non considerarli uomini e donne da dimenticare.




* Il massacro durò 40 ore, due giorni ed una notte. Tra i 700 ed i 3.500 palestinesi dei campi di Sabra e Chatila, alla periferia di Beirut, vennero massacrati dal 16 al 18 settembre del 1982 da miliziani libanesi cristiano- falangisti, sotto la supervisione e con il sostegno logistico dell’esercito di Tel Aviv°° che aveva occupato da poche ore Beirut ovest. Presumibilmente si trattò di una vendetta per l'attentato al quartier generale della Falange nella zona cristiana di Beirut, in cui perse la vita, il 14 settembre, il neo presidente libanese Gemayel, insieme ad altri 26 dirigenti falangisti. Attentato organizzato dai servizi segreti siriani con l'aiuto dei palestinesi. Il giorno seguente le truppe israeliane invasero Beirut Ovest.
Il 10 settembre, 11 giorni prima della data prevista, le forze multinazionali - statunitensi, francesi ed italiani - che avrebbero potuto difendere i campi profughi dopo la partenza da Beirut dei fedayin palestinesi e far rispettare l’impegno israeliano a non entrare nella parte occidentale della città assediata dal giugno precedente, si erano prematuramente ritirate. Sino ad oggi nessuno ha pagato, nessuno ha chiesto perdono al popolo palestinese e alle vittime dell’eccidio.
 

°° La Risoluzione 194 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, approvata l'11 dicembre 1948, si compone di 15 articoli.
I più rilevanti:
Articolo 7: protezione e libero accesso ai Luoghi Santi
Articolo 8: smilitarizzazione e controllo delle Nazioni Unite su Gerusalemme
Articolo 9: libero accesso a Gerusalemme
Articolo 11: ritorno dei profughi.


 

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