A violare il diritto internazionale non è solo Israele

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A violare il diritto internazionale non è solo Israele



di Michele Blanco


Con la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 1945, nella Carta dell’ONU non solo è vietato l’uso unilaterale della forza armata, e quindi la guerra, ma anche la semplice minaccia dell’uso della forza (art. 2.4), ad eccezione delle azioni collettive militari intraprese solo ed esclusivamente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’esercizio della legittima difesa individuale e collettiva da parte degli Stati aggrediti. I singoli Stati sono così assolutamente privati dello ius ad bellum.

Le disposizioni contenute nella Carta riflettono lo scenario geopolitico della seconda guerra mondiale (conflitti inter-statali); ma a partire dalla fine della guerra fredda, negli anni 1990 si è assistito ad un’escalation di conflitti interni e guerre civili (ex Iugoslavia, Ruanda, Sudan, Somalia).

La guerra è un crimine internazionale: Se prima della Carta l’uso della forza era una delle forme correnti in cui poteva concretarsi l’autotutela e se probabilmente nel 1945 esisteva ancora una divergenza tra il sistema dell’ONU e il diritto internazionale generale, si è poi realizzata invece una perfetta coincidenza fra i due ordinamenti. In tal senso si è espressa la Corte internazionale di giustizia nella sentenza sulle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua (1986).

L’assoluto divieto del ricorso alla guerra è stato in seguito affermato in Dichiarazioni di principi adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quali la Dichiarazione del 1970 sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati, la Dichiarazione sulla definizione di aggressione contenuta nella risoluzione 3314 (XXIX) del 1974 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul rafforzamento dell’efficacia del principio del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali, annessa alla risoluzione 42/22 del 1987. Oggi la dottrina riconosce che il divieto del ricorso alla guerra nelle relazioni internazionali è contemplato da una norma imperativa del diritto internazionale e che, in particolare, l’attacco armato contro l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di uno Stato da parte di un altro Stato costituisce in modo assoluto un crimine contro la pace.

Il diritto applicabile nei conflitti armati. Pur vietando il ricorso alla guerra, il diritto internazionale disciplina le situazioni di conflitto armato, sia internazionale che non internazionale, con un insieme di regole applicabili nei rapporti tra i belligeranti (ius in bello), codificate da convenzioni internazionali adottate già alla fine del XIX secolo (Convenzioni dell’Aia) e nel 1949 (Convenzioni di Ginevra, con i protocolli addizionali del 1977) (Diritto umanitario). Ad esse si aggiungono altre convenzioni su aspetti specifici dei conflitti armati, come la Convenzione dell’Aia del 1954 sulla protezione dei beni culturali in tempo di guerra, la Convenzione di New York del 1981 sulla proibizione delle armi che provocano sofferenze eccessive, con il Protocollo del 1995 sul divieto dell’impiego di armi laser accecanti e il Protocollo del 1996 sul divieto dell’impiego di mine, la Convenzione di Parigi sull’interdizione delle armi chimiche (Armi chimiche e batteriologiche), la Convenzione di Ottawa del 1997 sul divieto di produzione e uso di mine antiuomo.

Ma nell’attuale panorama geopolitico, sembra essersi consolidato il concetto inaudito di “doppio standard” nella gestione dei conflitti internazionali, con conseguenze profonde e gravissime sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati, ma solo di alcuni Stati. L’esempio peggiore ed eclatante è rappresentato dal confronto tra la reazione dell’Occidente (che rappresenta una minoranza di popolazioni e nazioni nel mondo) all’invasione russa dell’Ucraina e quella all’invasione israeliana del Libano e dei territori palestinesi.

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la comunità internazionale giustamente, specialmente l’Occidente, ha reagito con forza, condannando l’azione come una violazione della sovranità ucraina e rispondendo con pesanti sanzioni economiche contro Mosca, oltre che con un massiccio invio di armamenti a sostegno di Kiev. L’invasione russa è stata riconosciuta ovviamente come un’aggressione a uno Stato sovrano.

Con l’invasione del Libano da parte di Israele, invece, la narrazione dominante è totalmente e ingiustificatamente cambiata. L’ ingiusta invasione militare è raccontata dai mass media occidentali come una semplice “incursione”, “operazione di comando” o “ingresso temporaneo”. Bugie vergognose fatte in nazioni che dovrebbero essere democratiche e rispettose del diritto internazionale e dei diritti umani. Le reazioni internazionali sono inspiegabilmente meno severe, l’Occidente continua a mantenere rapporti commerciali con Israele e a fornirgli armi, nonostante tutte le azioni militari israeliane comportino gravi crimini di guerra e contro l’umanità, come documentato da numerose organizzazioni internazionali con uccisioni, veri e propri massacri indiscriminati di decine di migliaia di bambini, donne e uomini innocenti e indifesi, inermi.

Questo trattamento vergognosamente differenziato solleva evidenti interrogativi  sull’effettivo rispetto del diritto internazionale. Il principio della tutela della sovranità territoriale non dovrebbe forse valere per tutti gli Stati, senza nessuna eccezione? Il Libano, nazione democraticissima, riconosciuto come Stato sovrano a livello internazionale, merita assolutamente lo stesso livello di protezione che l’Occidente filostatunitense riserva all’Ucraina. Allo stesso modo, le norme del diritto umanitario internazionale, che vietano assolutamente ed esplicitamente gli attacchi contro la popolazione civile, dovrebbero essere applicate con pari rigore sia nei confronti della Russia che di Israele come anche agli Stati Uniti D’America che invece di democrazia hanno sempre esportato colpi di stato e dittature sanguinose.

Ribadiamolo i bombardamenti israeliani indiscriminati hanno causato migliaia di morti, incluse donne e bambini, e reso Gaza con bombardamenti a tappeto un posto desolato, e ora il Libano rischia lo stesso, tutti sono diventati posti di distruzione, morte e devastazione. Tali atti sono stati condannati come crimini di guerra dalle Nazioni Unite, tuttavia, la risposta internazionale non c’è stata, facendoci avere la certezza che Israele possa agire al di sopra del diritto internazionale, commettere incredibili stragi perché inesorabilmente protetto dai suoi alleati, anche l’Italia.

Il nostro mal diretto Paese, come membro della comunità internazionale e dell’Unione Europea, ha il dovere umanitario di agire. Sono completamente inutili gli appelli generici alla pace: servono misure concrete. Come prima cosa è fondamentale sospendere la vendita di armi a Israele, come primo strumento per esercitare una forte pressione affinché cessi le operazioni di guerra criminale che chiaramente violano i diritti umani. L’Italia dovrebbe applicare fortissime sanzioni contro il governo di Netanyahu, che ha perseguito una politica sempre più aggressiva, e fare in modo per sospendere l’accordo di associazione tra l’Unione Europea e Israele. Fuori gli assassini tutti gli assassini.

Solo attraverso serie e concrete azioni che siano decise e coerenti con i principi del diritto internazionale potremo sperare di frenare la guerra e l’incredibile spirale di violenza che sta travolgendo il Medio Oriente. Inutile ricordare che se queste misure fossero state adottate in tempo, probabilmente non si sarebbe mai arrivati all’attuale catastrofe. Il diritto internazionale deve avere applicazione universale esso è l’unico modo per garantire una pace duratura e una giustizia equa per tutte le popolazioni coinvolte. Inoltre la Corte penale internazionale che ha la sua competenza sui crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l'umanità e i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium), e di recente anche il crimine di aggressione (art. 5, par. 1, Statuto di Roma), dovrebbe potere giudicare i responsabili e mandanti di tali crimini. Essa dovrebbe potere agire per punire tutti i crimini internazionali. Solo in questo modo si potrà avere in futuro il rispetto del diritto internazionale e dei diritti di tutte le persone nel mondo in modo equanime.

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