Accordo Starlink. Giù la MUSKera
di Emiliano Gentili e Federico Giusti
La polemica contro un eventuale investimento di Starlink in Italia muove da considerazioni di vario tipo. Ad esempio c’è chi evidenzia i rischi per la sicurezza nazionale, perché gli oligarchi come Musk – quelli cioè in grado di sfidare gli Stati su alcune delle loro prerogative fondamentali (come il servizio di accesso universale alle connessioni di rete per la cittadinanza) – agiscono oggettivamente come «veri e propri contropoteri» (Mattarella).
A ben vedere, tuttavia, tali rischi non riguardano solo lo Stato come istituzione integra e sovrana ma anche i cittadini e le loro vite private, i loro dati sensibili, nonché i dipendenti della Pubblica Amministrazione: l’affare Starlink va infatti collegato anche con il DdL Sicurezza, che obbligherà le Amministrazioni pubbliche a fornire informazioni e comunicazioni sui propri dipendenti e sul loro operato (comprendendo la ricerca e l’insegnamento), in un’ottica, evidente, di controllo e repressione dell’autonomia sul lavoro. In generale, poi, far dipendere l’erogazione di un servizio universale dalla disponibilità a fornirlo da parte di un colosso privato multinazionale vuol dire trovarsi perennemente sotto potenziale ricatto, tanto più se le tecnologie reperite privatamente avranno un ruolo importante e strutturale nella fornitura del servizio: sarà molto difficile riuscire a svincolarsene per poi, in un futuro, tornare a essere indipendenti.
D’altro canto è pur vero, come evidenziato dai sostenitori di Musk e Meloni, che investimenti privati di grandi dimensioni su asset fondamentali dell’economia nazionale sono, ahinoi, perfettamente “normali” e di frequente praticati: l’intero Rapporto Draghi, i Pnrr, gli Ipcei e i vari accordi transnazionali stretti nel corso del tempo fra governi di ogni colore dei Paesi dell’Ue si basano, tutti, su strategie per ottenere investimenti privati e la stipula di nuovi accordi. Anzi, spesso alle aziende è lasciato il ruolo di coordinare l’intero progetto di investimento e sviluppo, mentre lo Stato fa soltanto da osservatore e – soprattutto – rilascia i necessari permessi[1]: in virtù di una situazione meno vantaggiosa che in passato, in Italia il ruolo dello Stato di artefice, guida e garante delle politiche economiche si trasforma sempre più in quello di mero esecutore di interessi di capitali internazionali, come ad esempio quelli legati al settore militare e alla cosiddetta “sicurezza internazionale”.
Come mai, allora, stavolta ha preso piede tutta questa polemica sul “caso Musk”? Alcuni quotidiani hanno riportato in questi giorni di un contrasto interno agli apparati dello Stato, parlando di «un niet inaspettato, quello del VI Reparto della Difesa, che si occupa di informatica, cyber e tlc [telecomunicazioni]: il sì a Starlink affosserebbe un nuovo progetto di costellazione satellitare made in Italy [e le stesse ricerche finanziate dalla Ue per un sistema comunitario], da realizzare dopo uno studio di fattibilità affidato a due società, una siciliana e una pugliese». Il “caso Musk”, dunque, potrebbe essere esploso per l’esistenza di una (grossa) cordata contraria all’investimento, quando invece di norma sono tutti d’accordo e i contratti con le multinazionali possono passare inosservati sotto il naso dell’opinione pubblica.
L’oggetto del contendere
Com’è ovvio, la reale diatriba non sarebbe fra Starlink, da un lato, e le due aziende italiane locali… L’intrusione di Musk nel mercato europeo dell’economia spaziale ha fatto preoccupare tutto un coacervo di imprese molto implicato nel business delle nuove tecnologie (di connettività e aerospaziali) dual-use (uso sia civile che militare allo stesso tempo) e segmenti profondi delle strutture burocratiche del potere istituzionale. L’intrusione di un third player esterno al mercato comunitario della tecnologia aerospaziale, in effetti, andrebbe a toccare molti interessi e a compromettere almeno parzialmente la realizzazione di sistemi satellitari Ue…
Uno degli obiettivi fondamentali dei piani di sviluppo europei consiste nella creazione un mercato interno in grado di attrarre grosse aziende e grandi capitali privati per la realizzazione di piani di business basati sulla commercializzazione di innovazioni tecnologiche e produttive di un certo livello, in grado di generare nuovi profitti. Se, però, le tecnologie vengono importate dall’estero, questo processo viene minato alle fondamenta: non solo i servizi e le applicazioni delle nuove tecnologie saranno gestiti dall’azienda estera, ma la domanda di innovazione interna al mercato verrà saturata dalla presenza di tecnologie già evolute ed esistenti in commercio[2].
In termini economici non stiamo parlando di spiccioli: il progresso dell’innovazione tecnologica è alla base di tutte le filiere produttive più importanti e più attrattive per gli investimenti, ed è in grado – da solo – di determinare la traiettoria di sviluppo di un’economia nazionale. Dal momento che qualsiasi nuova tecnologia si basa su chip stampati su materiale metallico semiconduttore (generalmente il silicio) non stupirà sapere che, per la sola Germania, nel 2022 i ricavi della filiera dei semiconduttori hanno generato 600 miliardi di $ (circa un terzo del Pil italiano).
Dunque, qualora la domanda di semiconduttori evoluti dovesse calare a seguito di una massiccia entrata in scena di tecnologie avanzate che utilizzano quelli prodotti oltreoceano, come nel caso di Starlink, le ripercussioni potrebbero estendersi all’intera economia (“ripercussioni” non solo in termini di fatturato ma anche di capacità di innovazione). Si consideri poi che l’economia europea è particolarmente vulnerabile a questo tipo di penetrazione estera, perché: la posizione europea (e ancor più quella italiana) nella filiera globale dei semiconduttori è decisamente subordinata, se non marginale, e quindi esiste già un’oggettiva difficoltà di partenza a creare sviluppo tecnologico; l’esistenza di un mercato interno frammentato (fra Paesi membri dell’Ue), sia a livello normativo che economico, rende molto più costosa la commercializzazione di un’innovazione, il che spinge le start-up a esportare i loro progetti imprenditoriali all’estero; la legislazione prudenziale su banche e investimenti limita le opportunità di guadagno per i capitali privati, portando gli imprenditori in cerca di finanziamenti a rivolgersi più a un capitalist venture statunitense che a una banca per gli investimenti europea; «l'Europa ha storicamente avuto una domanda istituzionale limitata di sistemi di lancio»[3], rendendo più attrattivi per le proprie aziende i grandi mercati esteri, in primis quello statunitense, perché più vitali.
La mancanza di capitale e i costi della commercializzazione dei prodotti comportano che l’ecosistema europeo delle innovazioni economiche e produttive sia fatto da molte, troppe piccole e medie imprese, in genere addirittura start-up. E un capitale piccolo, in Europa, non riuscirà mai a risultare competitivo sul mercato, per quanto geniale possa essere l’innovazione che vuole vendere. Le aziende europee più grandi sono quelle dei settori tradizionali (come quello automobilistico), ma non sono più da tempo in grado di generare innovazioni: semmai utilizzano quelle create altrove, in altri settori economici e/o in altri Paesi[4]. L’idea dei governi, allora, è di mettere assieme capitali pubblici e privati e utilizzarli all’interno di progetti di sviluppo comunitari ben definiti, superando così gli ostacoli all’economia di scala[5], che limitano enormemente le possibilità di profitto.
Se questo è il quadro economico generale e se è vero che le nuove tecnologie giocano un ruolo di primo piano e nevralgico, va detto anche che queste non sarebbero di alcuna utilità senza lo sviluppo di una rete di infrastrutture digitali (che garantisca velocità di connessione, diffusione capillare della connettività, grande disponibilità di archiviazione dati e grande velocità di elaborazione dati) sul territorio nazionale: un robot industriale non potrà mai lavorare bene con una velocità di connessione medio-bassa nella zona circostante.
A questo proposito sembra essere fondamentale la diffusione di un sistema di connettività cloud-edge: al fine di rendere l’utilizzo della mole di dati, programmi, ecc. contenuta nel cloud molto più rapido e agevole, è stato sviluppato un modello di connettività in cui all’archiviazione cloud fa da contrappeso il supporto dei sistemi di calcolo edge. Questi ultimi consentono performance informatiche elevate perché posizionati in prossimità geografica della struttura utilizzatrice (come un’azienda, o un soggetto istituzionale), ossia sono (saranno) diffusi sul territorio in maniera sufficientemente capillare. La combinazione di un sistema centralizzato, come il cloud, con uno decentralizzato, l’edge, consente un notevole incremento delle prestazioni della connettività via cavo.
Fino ad oggi questo tipo di connettività è rimasto più performante rispetto ai sistemi di connessione satellitare, proprio per un fatto di distanza chilometrica fra i satelliti e le strutture utilizzatrici: in Italia attualmente le comunicazioni riservate (militari, servizi, polizia) che viaggiano tramite connessione con lo spazio si servono di satelliti collocati a circa 36.000 km di altezza dal suolo terrestre, forniti da Telespazio (joint venture fra Leonardo e la francese Thales). Non per caso è stato di recente «approvato il programma “Sicral R1”, dal costo di 300 milioni di euro, destinato allo sviluppo di un satellite geostazionario (…), mentre è stata appena affidata all’Agenzia spaziale italiana la realizzazione di una costellazione nazionale di satelliti per le telecomunicazioni in orbita bassa»[6]. Esiste quindi una prospettiva di sviluppo nazionale almeno parzialmente autonoma e indipendente dalle forniture delle aziende estere.
Esiste però anche una traiettoria di sviluppo comune europea, nella quale l’Italia è direttamente coinvolta: all’Agenzia Spaziale Italiana è stata affidato anche uno studio di fattibilità per quel programma europeo di sviluppo di satelliti a orbita bassa, chiamato Iris2, che andrà consegnato entro l’estate. Una distanza di poche centinaia di chilometri può consentire tempi di latenza più bassi e una connettività continua, non “a sbalzi”: «Basandosi su tecnologie dirompenti, tra cui gli standard 5G, il sistema di connettività sicura multiorbitale dell'UE garantirà la disponibilità a lungo termine di servizi di connettività satellitare affidabili, sicuri e convenienti su scala globale. Consentirà un ulteriore sviluppo della banda larga ad alta velocità e della connettività senza soluzione di continuità in tutta l'Unione, eliminando le zone morte di connettività e aumentando la coesione tra i territori degli Stati membri, consentirà la connettività su aree geografiche di interesse strategico al di fuori dell'Unione, in particolare l'Artico e l'Africa»[7].
Tuttavia, nonostante attualmente in Europa permanga la possibilità di investire in Ricerca&Sviluppo per scalare le filiere del business aerospaziale (cosa che invece è praticamente impossibile fare nel caso dei semiconduttori), in realtà il quadro europeo è più disperato di quanto a volte non lascino intendere i consueti canali di comunicazione istituzionali: «Il 70% del mercato dei lanci di satelliti è conquistato dalle istituzioni spaziali dei Paesi (ad esempio negli Stati Uniti, in Cina e in Russia) o da aziende che sviluppano sia satelliti che lanciatori. Quasi il 20% del totale delle missioni è già stato appaltato (a veicoli di lancio nazionali di governi non UE), lasciando solo il 10% libero per i fornitori di lancio europei nel periodo 2023-2032»[8], ovviamente fino ad oggi.
Perché serve la connessione aerospaziale? Quella via cavo non basta?
La tecnologia per la connettività ad orbita bassa è stato uno dei traguardi tecnologici cui sono arrivate per prime le aziende di Musk, che tra l’altro approfitta della situazione di temporaneo monopolio tecnologico (che gli consente di percepire degli extra-profitti) e incrementa ulteriormente la velocità di connessione aumentando di continuo i satelliti in orbita[9]. I costi sostenuti per sviluppare di queste tecnologie, però, sono stati esorbitanti e l’intero processo dev’essere stato tutt’altro che facile: non è un caso se diversi progetti della stessa tipologia si siano arenati (in Ue come in Russia). Se si tiene presente anche che al momento le connessioni di Musk non sembrano essere migliori di quelle con fibra ottica, allora sorge spontanea una domanda: per quale motivo si vuole a tutti i costi sviluppare questa nuova tecnologia? In una fase di difficoltà economica è davvero prioritario sviluppare un sistema di connessioni internet che comunque, escludendo il lungo periodo, non stanno dando risultati nettamente migliori di quelli già ottenibili via cavo a un costo decisamente inferiore? Evidentemente sì, perché i capitalisti i conti sanno farseli.
Volendo prestare attenzione alle comunicazioni istituzionali non è difficile capire il perché di questa “priorità”. Secondo la normativa europea, per esempio, «La comunicazione satellitare può aumentare la resilienza complessiva delle reti di comunicazione, ad esempio offrendo un’alternativa in caso di attacchi fisici o attacchi informatici riguardanti le infrastrutture terrestri locali, incidenti o catastrofi naturali o provocate dall’uomo»[10]. Gli «attacchi fisici» e le catastrofi «provocate dall’uomo» altro non sono che eufemismi per parlare di “guerra” e in effetti non sono mancate esternazioni piuttosto esplicite sull’utilità di questi sistemi satellitari a orbita bassa (spesso in riferimento al fatto che oramai sono soltanto o soprattutto questi a garantire la connessione internet in Ucraina, sia per i civili che al fronte).
Il parere del Governo Meloni è identico: «lo sviluppo di costellazioni di satelliti in orbita bassa e bassa latenza» sarebbe funzionale «alla tutela degli interessi nazionali in materia di sicurezza, difesa e politica estera, utile all’adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dai trattati internazionali»[11]; inoltre «La riserva di capacità trasmissiva nazionale attraverso comunicazioni satellitari è finalizzata a garantire, in situazioni critiche o di indisponibilità delle principali dorsali di interconnessione delle reti terrestri, un instradamento alternativo e con velocità di trasmissione adeguata alle comunicazioni tra nodi di rete strategici per applicazioni di natura governativa o di interesse nazionale»[12]. Facciamo concludere a Crosetto, il Ministro della Difesa: «La Difesa è interessata, obbligata forse, a integrare le proprie capacità con quelle fornite da satelliti in orbita bassa»[13].
Dietro uno scontro fra Stati vi è sempre uno scontro fra imprese
Starlink non è interessata solamente alle comunicazioni criptate via satellite: avamposti imprenditoriali di Musk, pronti a invadere il mercato europeo al seguito degli investimenti in space economy, sono rappresentati perlomeno dalle aziende Powerwall, Megapack (settore energia) e Tesla (settore automotive). La piattaforma social “X”, poi, avrebbe bisogno di un ammorbidimento dei parametri europei sulle fake news: una revisione del Digital Service Act, che Musk in questo momento non ha la forza (e il potere di ricatto) di ottenere. Allo stesso tempo, Starlink ha aperta una doppia partita: oltre alla fornitura di connettività tramite satellite in orbita bassa per Governo, servizi e forze armate, c’è il ricco piatto della fornitura di rete ai privati cittadini. Quest’ultimo aspetto è interessante perché la connettività offerta dai satelliti di Musk è già utilizzata e integrata all’interno dei servizi della italo-francese Telespazio, cui accennavamo sopra. Fra le due aziende è nato un accordo, grazie a cui «Telespazio potrà integrare Starlink nella propria rete globale di connettività ibrida, realizzata con soluzioni satellitari e terrestri, in grado di garantire servizi di comunicazioni affidabili e resilienti, fissi e mobili, con copertura globale»[14].
Finché si tratta di utilizzare in appalto delle infrastrutture appartenenti ad altri, nessun problema: le forniture dirette di quelle stesse infrastrutture agli apparati istituzionali, però, sono tutt’un altro affare. Ma di ciò che interessa la popolazione nessuno ha parlato: le bollette, la pace… Vedremo cosa hanno in serbo per noi. Nel frattempo il Governo italiano punta a fare da “testa di ponte” degli Stati Uniti, cercando di giocare un ruolo chiave inserendosi all’interno di quei delicati equilibri fra Stati che mantengono coesa l’Unione Europea e mostrando anche una certa arroganza politica: nonostante l’incertezza della situazione (visto che l’accordo con Starlink non è stato stipulato) Meloni ha già tagliato «Le somme destinate alle politiche per programmi spaziali e aerospaziali, in particolare all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), all’Agenzia spaziale europea, al Fondo complementare PNRR – Sviluppo delle tecnologie satellitari nonché alla partecipazione italiana al programma spaziale ARTEMIS» «di euro 371.583.299»[15]. È evidente l’esistenza di una voglia di protagonismo comune, coltivata tra l’ego immotivato di una destra vuota e poltronista e un ceto imprenditoriale rabbioso e insicuro per via dei propri stessi fallimenti storici, costretto da decenni a giocare un ruolo di “serie B” nei mercati e negli equilibri internazionali.
Ma veramente non c’è altra alternativa alla guerra che quella di prepararsi per provare a combatterla da una posizione di superiorità rispetto al nemico, come dicono le forze parlamentari? Urge una proposta politica diversa da parte nostra; urge tornare a ripensare una traiettoria di sviluppo alternativa per la società, nonché politiche adeguate: dobbiamo innanzitutto convincere le persone che il nostro è un progetto politico realistico.
[1] Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, oltre agli 1,5 miliardi circa previsti dal Pnrr (M1C2, Investimento 4) è attivo un programma nazionale per lo sviluppo delle infrastrutture di connettività aerospaziali (Piano “Space Economy”). A questo sono invitate ad aderire le aziende private, tramite lo strumento degli “Accordi per l’innovazione”. Il progetto fa parte del programma europeo Gov-Sat-Com, che fra le varie cose prevede la messa in condivisione della capacità satellitare di alcuni Paesi membri, inclusa l’Italia.
[2] Inoltre le frequenze di trasmissione e lo spazio orbitale sono in rapida via di esaurimento… «Poiché le frequenze e gli slot orbitali sono una risorsa sempre più scarsa, la Commissione, attraverso un processo aperto e trasparente con gli Stati membri, dovrebbe cogliere questa opportunità per concludere, con gli Stati membri che forniscono notifiche delle frequenze, accordi di licenza specifici per la fornitura di servizi governativi basati sull’infrastruttura governativa. Il settore privato è responsabile dell’ottenimento dei diritti relativi alle notifiche delle frequenze necessarie per la fornitura di servizi commerciali». REG. (UE) 2023/588, desideratum n. 7.
[3] M. Draghi: Il futuro della competitività europea, 9 Settembre 2024, p. 177 (traduzione effettuata con applicazione informatica).
[4] Nel suo Rapporto, Draghi utilizza l’espressione “trappola tecnologica di mezzo” per indicare una manifattura trainata da settori che richiedono l’inserimento di nuove tecnologie nei processi produttivi ma non sono in grado, da soli, di foraggiarne lo sviluppo.
[5] Economia di scala: quando l’aumento del numero di merci prodotte comporta la diminuzione del costo di una singola merce. Generalmente le grandi imprese praticano economie di scala, mentre le piccole no.
[6] Redazione Roma de il Sole 24 Ore: Starlink e non solo, allo studio una costellazione italiana di satelliti per Tlc, «ilSole24Ore», 8 Gennaio 2025.
[7] Cfr. https://defence-industry-space.ec.europa.eu/eu-space/iris2-secure-connectivity_en. Traduzione nostra.
[8] M. Draghi: op. cit., p. 177 (traduzione effettuata con applicazione informatica).
[9] «I lanci si susseguono di settimana in settimana con l’obiettivo di superare presto i 10mila satelliti operativi. E così offrire sempre maggiore velocità di banda, che oggi sul download riesce a superare i 100 megabit al secondo (al pari di una moderna connessione fibra-misto-rame)». Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: Musk: monopolio satellitare a stelle (e strisce), 10 Gennaio 2025.
[10] REG. (UE) 2023/588, desideratum n. 8.
[11] Presentazione del DdL 2026 “Disposizioni in materia di economia dello spazio” alla Camera dei Deputati, 10 Settembre 2024, p. 8.
[12] DdL 2026, art. 25, c. 2. Al comma 3, lett. “b” viene concesso alle aziende private di fornire tecnologia satellitare.
[13] G. Crosetto: Question time alla Camera dei Deputati, 8 Gennaio 2025.
[14] Telespazio: Comunicazioni satellitari: Telespazio annuncia accordo con Starlink, Comunicato Stampa del 6 Giugno 2024.
[15] Nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri: Bilancio di Previsione 2025 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 13 Gennaio 2025.