Alessandro Orsini - Tre nozioni preliminari per "criticare" la politica internazionale

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Alessandro Orsini - Tre nozioni preliminari per "criticare" la politica internazionale

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di Alessandro Orsini - Fatto Quotidiano (1 maggio 2024)

Il mio nuovo libro Ucraina-Palestina. Il terrorismo di Stato nelle relazioni internazionali, come tutti i miei precedenti, si propone di introdurre la critica della politica internazionale in Italia attraverso l’uso della teoria sociologica. Per capire che cosa significhi criticare la politica internazionale, occorrono tre nozioni preliminari.

La prima è che l’informazione sulla politica internazionale in Italia è corrotta dalla sua compenetrazione con il potere politico. Gli analisti di politica internazionale che parlano in radio e in televisione sono, con le dovute eccezioni, persone controllate direttamente o indirettamente dal potere politico. Questo è parso evidente con lo scoppio della guerra in Ucraina. Quasi tutti gli esperti di politica internazionale hanno diffuso informazioni false sulla guerra con l’obiettivo di creare consensi intorno alle politiche della Casa Bianca. La critica della politica internazionale inizia dalla consapevolezza che l’informazione in Italia sulla politica internazionale è corrotta. Criticare la politica internazionale significa, in primo luogo, denunciare questo stato di corruzione. La commistione tra mondo politico e della ricerca scientifica è resa evidente dalle poltrone che certi analisti di politica internazionale molto televisivi occupano nel consiglio di amministrazione di questa o quella grande multinazionale con stipendi stellari. Per conservare quelle poltrone, occorre “militare” per la Nato. Per non parlare dello spazio che la radio e la televisione danno agli analisti collegati agli ambienti della Nato. Queste persone non possono criticare la Nato, altrimenti perderebbero il lavoro. Siccome la Nato è il principale protagonista delle guerre nel mondo, non ci può essere critica della politica internazionale senza la critica della Nato. Un tempo, il sottopancia “Nato” conferiva prestigio in televisione. Oggi quel sottopancia riduce la credibilità di chi lo sfoggia. Non erano forse gli analisti collegati alla Nato ad assicurare che l’Ucraina avrebbe sconfitto la Russia agevolmente? L’andamento della guerra in Ucraina ha mostrato che le loro analisi erano false o faziose. Semplici megafoni di Stoltenberg, parlavano di propaganda del Cremlino mentre diffondevano la propaganda della Nato. La critica della politica internazionale è conflittuale perché tocca gli interessi delle lobby della guerra in Ucraina.

La seconda nozione è che la politica internazionale non è una disciplina, bensì un oggetto di studio come tanti altri. Pensare che la riflessione sulla politica internazionale sia competenza esclusiva dei professori di Scienza politica o di Relazioni internazionali è frutto di ignoranza teorica e metodologica causata da quella che Max Weber chiama la “burocratizzazione universale”. Una cosa è la logica dell’indagine scientifico-sociale; altra cosa sono i settori scientifico-disciplinari del ministero dell’Università. La politica internazionale può essere studiata con la sociologia, l’antropologia, la storia: tutte le scienze sociali sono parimenti legittimate a studiare la politica internazionale. La mia è una sociologia critica della politica internazionale. Quando ero un giovane studente, il sociologo Gianni Statera, allora preside di Sociologia a La Sapienza, svolgeva il corso di Sociologia delle relazioni internazionali con tanti frequentanti. Molti sociologi hanno iniziato a studiare le guerre e la politica internazionale a 18 anni, al primo anno di università.

La terza nozione per capire l’importanza della critica della politica internazionale è che siamo attesi da un futuro di preparazione alle guerre, come suggeriscono i dati sulla crescita delle spese militari. I miei libri per PaperFirst usano la teoria sociologica per fecondare la critica della politica internazionale con cui aiutare i cittadini ad acquisire una consapevolezza più profonda delle forze che muovono il mondo verso esiti distruttivi e combattere contro la corruzione dell’informazione in Italia.

In questo mio nuovo libro, Ucraina-Palestina. Il terrorismo di Stato nelle relazioni internazionali, applico la critica della politica internazionale alle guerre in Ucraina e in Palestina. Ognuno dei cinque capitoli risponde a una domanda al centro del dibattito internazionale. Il primo capitolo si interroga sulle ragioni culturali e psicologico-sociali che hanno indotto l’Occidente a sottovalutare la Russia in Ucraina; il secondo ricorre alla letteratura scientifica per indagare se Hamas sia un’organizzazione terroristica; il terzo si chiede se Israele sia uno Stato terrorista e introduce, per la prima volta in Italia, la letteratura scientifica sul terrorismo di Stato; il quarto presenta quattro lezioni sulla scienza per studiare la politica internazionale in modo emotivamente distaccato; il quinto è dedicato alla spiegazione e alla previsione scientifica in politica internazionale. La guerra in Ucraina era prevedibile? Usando il modello Hempel-Popper, rispondo di sì, era prevedibile. E, infatti, l’ho prevista, entro i limiti di probabilità stabiliti dall’epistemologia o teoria della conoscenza scientifica.

 

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