America’s Last President. Intervista all’autrice Monika Wiesak
di Michele Metta
È uscito un nuovo libro su John Kennedy, intitolato America’s Last President. Tradotto in italiano, L’ultimo presidente degli Stati Uniti. Dopo averlo letto, ho contattato l’autrice, Monika Wiesak, che mi ha gentilmente accordato la seguente intervista.
- Iniziamo con una breve domanda personale: il tuo nome e cognome sembrano suggerire un’origine europea. Quali sono le tue radici familiari?
Ho la cittadinanza statunitense, ma sono nata in Polonia.
- Quando e perché hai deciso di scrivere il tuo libro?
Ci sono molte ragioni per cui ho voluto scriverlo. Ho iniziato a pensarci seriamente per la prima volta nel 2020, ma la figura di John F. Kennedy mi incuriosiva già fin da quando ero bambina. Il suo discorso sui diritti civili che mi aveva colpito molto. C’è però da dire che avevo anche sentito molte storie negative su di lui dalla stampa e, essendo ancora piccola, era difficile conciliare le due immagini. Quindi, c'era sempre la curiosità di capire chi fosse davvero quest’uomo. Crescendo, sono rimasta delusa dal sistema politico degli Stati Uniti, in particolare dopo la corsa per la guerra in Iraq, la quale non ha mai avuto alcun senso per me. Non ho mai creduto alle affermazioni sulle armi di distruzione di massa, mi sono sempre sembrate altamente propagandistiche. A causa di questa disillusione unita alla curiosità che ho sempre avuto per John F. Kennedy, ho iniziato ad avere la spiacevole sensazione che forse il suo assassinio potesse contenere alcuni indizi sul perché il nostro mondo è così com’è. Così, nel 2008 ho letto il mio primo libro su John F. Kennedy e, lentamente, nel decennio successive, ho iniziato a leggere sempre più libri, diventando via via sempre più interessata man mano che apprendevo nuove cose. Sono rimasta davvero colpita da ciò che ho letto e imparato su di lui, e ho iniziato a accettare sempre meno, viceversa, la nostra società attuale e i funzionamenti del potere globale. Sento che non si può capire gli odierni Stati Uniti senza capire la presidenza Kennedy. È stato un punto di svolta così vitale nella storia di quell Paese. Si era creata l’opportunità di intraprendere un percorso luminoso e pieno di speranza e, invece, poi c’è stato un terribile cambio di rotta; o meglio, è stata imposta una orribile inversione di rotta. Voglio che i lettori capiscano cosa è andato perduto quando Kennedy è morto, e capiscano perché il mondo attuale è così com’è. Non possiamo porre rimedio a qualcosa senza capirla. Quindi, il primo passo è capire.
- America’s Last President. Perché questo titolo?
Perché è stato l’ultimo presidente a svolgere il lavoro per cui era stato assunto, ovvero rappresentare il popolo USA. Se dovessi descrivere JFK in una frase, direi che stava facendo tutto il possibile per svolgere il proprio compito. Era impegnato al 100% a servire il proprio popolo. Penso che sia ovvio per chiunque studi le sue politiche. Non stava servendo un settore in particolare, ma tutti gli statunitensi. I presidenti d’oggi tendono tutti a soddisfare un interesse particolare o un altro. Kennedy era veramente indipendente. Per me, era tutto ciò che si immagina dovrebbe essere un presidente: intelligente, indipendente, premuroso, compassionevole, e così via. Sento anche che fino a quando non ci sarà una verità e una riconciliazione sul suo omicidio, nessun presidente USA può essere veramente indipendente.
- Cosa ti ha colpito di più, scrivendo il tuo libro?
Quanto intensamente Kennedy fosse impegnato a fare il proprio lavoro e quanto fosse disposto a resistere a interessi potenti pur di tutelare i deboli. Sono rimasta davvero sconvolta. Si è opposto a potere forte dopo l'altro, e senza alcun vantaggio per sé stesso. Avrebbe potuto semplicemente essere servo di ricchezza e potere, e avere una vita facile con un trattamento favoloso da parte della stampa, ma non era nel suo carattere. Invece, si è scontrato con ricchezza e potere, ed è stato ricompensato con un brutale assassinio e decenni di storie salaci da parte della stampa che lo hanno reso una specie di macchietta. Cerco di correggerne alcune con il mio libro, per dare alle persone l’opportunità di ricordare Kennedy per quello che era veramente e per quello che ha fatto per tutti noi. Dovremmo tutti aspirare ad essere come lui, in questo senso.
- In che modo un secondo mandato di Kennedy, purtroppo solo ipotetico, avrebbe cambiato gli Stati Uniti e il Mondo, secondo te?
Penso che non ci sarebbe mai stata l’escalation bellica in Vietnam. Penso che ci sarebbero stati più controlli e più equilibri in materia di sicurezza nazionale. Penso che la Guerra dei Sei Giorni del 1967 in Medio Oriente non si sarebbe verificata, né sarebbe aumentato il sostegno militare degli Stati Uniti a Israele. Kennedy avrebbe continuato a fare pressioni su Israele sulla questione dei profughi e probabilmente avrebbe ridotto i finanziamenti se lo Stato israeliano non avesse garantito adeguate ispezioni a Dimona prima che il reattore raggiungesse il punto critico. Probabilmente, avrebbe anche continuato a sostenere gli sforzi contro le attività di lobbying negli Stati Uniti. Penso che il massacro in Indonesia non sarebbe avvenuto. Penso che la dittatura militare in Congo probabilmente non sarebbe avvenuta. Avremmo visto una maggiore indipendenza e autosufficienza del Terzo Mondo. Avremmo visto politiche serie contro i pesticidi. Avremmo avuto un vero programma per affrontare la povertà ne gli Stati Uniti. Probabilmente, avremmo avuto un’economia solida, una volta giunto a termine il suo mandato. Avremmo visto la fine della Guerra Fredda e, forse, un qualche accordo sul disarmo con Krusciov, un accordo di non proliferazione nucleare. Avremmo visto una maggiore distribuzione della ricchezza. Avrebbe continuato a reprimere gli abusi di potere. E avrebbe vissuto per decenni, influenzando i futuri presidenti, e influenzando in una direzione molto più positiva l’opinione pubblica mondiale in generale. Penso che un maggior numero di brave persone sarebbero state ispirate a prendere parte alla vita pubblica, grazie a lui.
- Una sezione del tuo libro esamina il rapporto tra JFK e Israele. Turbolento, a dir poco, e assolutamente non per colpa di John Kennedy.
Sì, aveva un rapporto molto teso con Israele. Nelle stesse parole di Israele, il rapporto USA-Israele stava “entrando in uno stato di crisi”.
- Gideon Levy, uno dei più acuti intellettuali ebrei, spiega come ci sia un metodo sistematico da parte della propaganda israeliana e la propaganda ebraica: “[O]gni volta che qualcuno osi sollevare domande o criticare Israele, viene immediatamente e automaticamente etichettato come antisemita e, a quel punto, deve chiudere la bocca, perché, dopo questo, cosa può dire?”. Una riflessione che Levy conclude dicendo: “Questo circolo vizioso dovrebbe essere spezzato”. Sono l’autore di un libro, Accomplishing Jim Garrison’s Investigation on the Trail of the Assassins of JFK, che solleva interrogativi sul comportamento del governo israeliano contro John Kennedy. Sono stato accusato ingiustamente di antisemitismo, ovviamente, anche se cito continuamente fonti ebraiche. Hai paura che facciano lo stesso con il tuo libro?
Il mio libro riguarda le politiche di Kennedy, in particolare le politiche kennediane che hanno subito una involuzione sotto Johnson, e non c’è dubbio che la politica degli Stati Uniti nei confronti di Israele abbia subìto una mutazione notevolmente da Kennedy a Johnson. Sarebbe stato intellettualmente disonesto scrivere un libro del genere e non includervi la discussione su Israele. Il capitolo su Israele è ampiamente tratto da fonti primarie (lettere, promemoria, eccetera). Se qualcuno contesta il capitolo, allora contesta i documenti declassificati. Non avevo alcun controllo su ciò che era scritto in quei documenti, o su ciò che è accaduto. Sto solo riportando le fonti. Se le persone sentono il bisogno di bollarmi con epiteti perché quello che è successo le mette a disagio, non c'è molto che io possa fare al riguardo. Ma penso che un simile atteggiamento la direbbe lunga più su di loro, che su di me. Non definirei mai misogino qualcuno che criticasse il mio libro. Sarebbe una risposta pigra. Ma, sfortunatamente, è una tattica spesso usata nella nostra società. L’etichetta di teorico della cospirazione è stata creata proprio a questo scopo. Noi come società, dobbiamo allontanarci dagli insulti, e avere invece conversazioni rispettose su dati e fatti.
- Molto probabilmente, conosci già quanto rivelato da Alan Weberman nel suo libro intitolato Coup d’État in America, ovvero che Jim Garrison, il procuratore distrettuale di New Orleans che, nel 1967, riaprì le indagini sull'assassinio di JFK, fu autore di un manoscritto inedito che attribuiva anche al Mossad la colpa di quell’omicidio. Nel tuo libro, usi come fonti autori che, in effetti, parlano di un coinvolgimento israeliano nell’imboscata a Dallas. Qual è la tua idea personale a riguardo?
La stragrande maggioranza delle fonti utilizzate nel mio capitolo su Israele, sono materiale originale declassificato. In alcuni casi, in particolare per quanto riguarda il modo in cui le politiche di Johnson sono cambiate rispetto a quelle di Kennedy, ho citato libri sull’assassinio di Kennedy. Ero incerta se utilizzare questi libri come fonti, o utilizzare il materiale originale in essi descritto, materiale molto attendibile. Tuttavia, questi autori sono stati degli apripista nello studio delle politiche di Johnson e, se non fosse stato per loro, non avrei mai nemmeno saputo che la politica mediorientale di Kennedy differiva da quella di Johnson. Quindi, ho sentito che andava loro dato il merito di aver portato in primo piano le politiche di JFK riguardo al Medio Oriente. Cito diversi libri sull'assassinio, che sostengono diverse ipotesi sull'assassinio. Ho preso quello che, in ognuno di quei libri, pensavo fosse di valore per quanto riguarda l’aspetto politico. Se vogliamo arrivare alla verità sull'assassinio di JFK, dobbiamo lavorare insieme come comunità, ognuno ha qualcosa da offrire, indipendentemente dal fatto d’essere d'accordo o meno con la loro ipotesi generale, motivo per cui ho utilizzato libri che sostenevano varie ipotesi. Sento che coloro che non sono disposti ad ascoltare le prospettive degli altri non sono realmente interessati ad arrivare alla verità. Per quanto riguarda le mie opinioni, ho cercato di tenerle fuori dal libro, a parte un po' nell'introduzione e nella conclusione. Ho provato a scrivere tutti i capitoli esclusivamente da una prospettiva di ciò che è accaduto e ho lasciato che il lettore decidesse da solo chi avesse i moventi migliori, chi abbia beneficiato maggiormente dell'assassinio, con quali eventi è in linea maggiormente l’assassinio, e così via discorrendo. Le persone devono analizzare le prove e giungere a tale conclusione da sole. Naturalmente, il mio libro non parla dell’assassinio in sé. Quindi, qualsiasi analisi corretta deve includere un’analisi combinata della politica e dell’assassinio stesso.