Andrea Zhok - La doppia sconfitta: tradizione e progresso nell'impotenza del magistero moderno

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Andrea Zhok - La doppia sconfitta: tradizione e progresso nell'impotenza del magistero moderno

di Andrea Zhok*

Gli ultimi vent'anni di pontificato credo abbiano delineato un quadro in cui traspare il declino dell'influenza internazionale del papato di Roma. 

I due ultimi pontefici hanno tentato strade complementari, in parte opposte, per conferire nuova centralità alla chiesa cattolica.

Papa Benedetto XVI, nei suoi otto anni di pontificato (2005-2013) ha tentato di percorrere una strada di consolidamento dottrinale con ripristino di alcuni fattori tradizionali. Su questa strada "tradizionalista" ha incontrato resistenze tali nell'entourage vaticano da condurlo all'inaudito passo di un abbandono in vita del soglio pontificio. Il gesto di Benedetto si voleva emblematico, ammonitorio. 

Il riferimento al fondatore del principale ordine monastico, San Benedetto, era stato inteso da Ratzinger come auspicio e ispirazione di una "rinascita" del mondo occidentale, proprio come i monasteri benedettini ne erano stati la matrice all'indomani del collasso dell'impero romano (la deposizione dell'ultimo imperatore d'Occidente Romolo Augustolo è del 473 d.C., la composizione della regola benedettina è del 525 d.C.). 

Quell'auspicio e quell'ispirazione sono naufragati. I papi, come i sovrani del passato, non governano mai da soli, ma hanno bisogno di un intorno funzionale, una "corte", un "apparato" efficienti e aderenti alla "missione", per poter tradurre il proprio magistero in costumi e istituzioni. E quell'intorno è risultato inadeguato al compito di tradurre il magistero di Ratzinger.

Papa Bergoglio era asceso al soglio pontificio rifacendosi ad un'altra figura emblematica, meno decisiva sul piano istituzionale, ma potente sul piano ideale: San Francesco d'Assisi. 

La figura di Francesco, ascetica, mistica, con tratti quasi panteistici, esprimeva un auspicio e un'ispirazione differenti da Benedetto, ma parimenti connotati all'insegna di un rinnovamento radicale. La spinta ideale di papa Francesco era rivolta a sostegno degli umili, delle parti "perdenti" del mondo moderno, si voleva critica dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura. 

L'enciclica "Laudato Si" rimane un testo esemplare, un'enciclica di grande potenza analitica e rara profondità di messaggio. Si cita spesso la "Laudato Si", etichettandola come "enciclica ecologica", quasi fosse una delle tante esibizioni di greenwashing che ammorbano il discorso pubblico corrente. Ma chi si prenda la briga di leggerla vi trova una ricchezza analitica straordinaria, un'integrazione del tema ambientale nel tema dello sfruttamento economico generale, una critica ai meccanismi di capitale, al predominio dell'economia finanziaria sull'economia reale, al dominio tecnocratico, una critica delle presunte "soluzioni di mercato" al degrado ecologico (come i "carbon credits"), e molto altro. 

Ma al netto delle grandi speranze iniziali, i dodici anni del pontificato di Bergoglio hanno mostrato di nuovo l'enorme difficoltà dell'odierno papato a proporre con successo un messaggio autonomo. 

I tratti del magistero di Bergoglio che sono stati ripresi e promossi sono stati tutti e soli quei pochi di "liberalizzazione dei costumi" (es.: le aperture LGBT con la lettera a padre Martin) e di amplificazione della narrazione corrente (es.: l'adesione alla lettura dominante sul Covid) che si confacevano ad un'immagine di stereotipato "modernismo". 
Le numerose altre posizioni scomode sul capitalismo finanziario o su  temi internazionali, da Israele alla Libia, dall'Iran alla Russia, sono state messe in sordina, talvolta persino censurate. 

L'impressione complessiva è che i due ultimi pontificati abbiano mostrato due tentativi - intellettualmente robusti e spiritualmente alti - di conferire nuova centralità al cattolicesimo romano e al suo messaggio storico. 

Il primo tentativo, con maggiore connotazione "conservatrice" si è arenato rapidamente nella paralisi.

Il secondo tentativo, con maggiore connotazione "progressista" è stato ridotto ad una sostanziale impotenza in tutti gli ambiti in cui non remava nella direzione della corrente - laddove la "corrente" indica la moda ideologica privilegiata dalle oligarchie finanziarie angloamericane. 

Tutto si potrà dire di Ratzinger e di Bergoglio, ma certo non che siano stati papi privi di ispirazione, di preparazione o di carattere. Tutt'altro. 

Eppure è difficile dire che a due decenni di distanza lo statuto, ideale e operativo, del cristianesimo cattolico abbia acquisito di centralità o autorevolezza. 

Cosa ci riserverà la prossima fumata bianca al conclave naturalmente nessuno lo sa, ma credo che sia saggio tenere basse le aspettative. 

Le condizioni storiche non sembrano essere tali da consentire a nessun nuovo pontefice, quali che siano le sue eventuali preclare qualità, di invertire una tendenza stagnante. E il problema non è che "il papa non ha divisioni militari", come disse Stalin a Jalta: le "leve spirituali" possono fare cose straordinarie.

Ma le leve spirituali sono quella "forza debole" che funziona solo quando poggia su un fulcro spirituale interno alle persone. 

E oggi non scommetterei sulla diffusione di tale fulcro neppure tra chi abita le stanze dei palazzi vaticani.

*Post Facebook del 21/04/2025

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