Angelo d'Orsi - Il brutalismo: una modesta proposta politico-linguistica
di Angelo d'Orsi per l'AntiDiplomatico
Ogni giorno ha la sua infamia. Accadeva anche prima di Trump e prima di Meloni, naturalmente, ma stiamo assistendo a una accelerazione del tempo storico, sotto il segno di qualcosa che propongo di chiamare "brutalismo", prendendo in prestito un termine in uso nel linguaggio della storia dell'architettura, ma anche dell’arte, della tipografia e della letteratura. Brutalismo indica una poetica che elimina l’imbellettatura, gli ornamenti, la stessa ricerca della bellezza, e mette in campo i materiali con cui si costruisce, mattoni, cemento, acciaio, rame e così via. Le forme sono trascurate a vantaggio della sostanza, che si fa forma essa stessa. Perché perdere tempo e – in fondo, disonestamente – coprire le nude pietre con intonaci e addobbi? Perché non limitarsi a esporre, e imporre, nella loro grezza materialità quelle pietre? V’era un fascino in quella teoria, che era una reazione di rottura col passato.
Ecco, oggi il brutalismo dal campo dell’architettura e dell’arte, è migrato in politica, rozzamente. E la celebrazione del Giorno della memoria, a 80 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, offre molti spunti, al riguardo.
Che cos’è se non brutalismo, la spedizione forzata, per decisione di Donald Trump, di qualche centinaio di colombiani nel paese d’origine, con minacce di ritorsioni in caso di mancata accoglienza? Primo atto simbolico di una politica all’insegna del peggior brutalismo che prevede procedure di urgenza volte a espellere uomini e donne che vivono negli States da anni, e hanno trovato una qualche sistemazione, contribuendo al benessere di quella nazione. Brutalismo è l’annuncio dell’amministrazione trumpiana di togliere il divieto di cedere a Israele bombe di 1000 chili l’una (che era stata la sola decisione accettabile di Biden), per massacrare meglio i palestinesi. Brutalismo è, tanto più, il "piano" sempre di Trump di spostare decine di migliaia di esseri umani da Gaza in Giordania o in Egitto o altrove, temporaneamente (non ci crede nessuno!) o definitivamente, mentre governanti israeliani e “commentatori” sionisti gongolano, tanto più che v’è da tempo un progetto (più o meno nascosto) di impadronirsi di quelle terre e spiagge e costruirvi villette per ricchi ebrei. Brutalismo è l’azione del governo di Tel Aviv che libera palestinesi in base allo scambio concordato con gli ostaggi, ma intanto ne arresta altri a decine. Brutalismo è il cinismo con cui, a tregua decisa tanto a Gaza, quanto in Libano, l'IDF continua a bombardare civili palestinesi e libanesi, e uccide a casaccio in Cisgiordania uomini donne bambini; l’ultima una palestinese di due anni, proprio mentre si ripeteva “mai più”, davanti alle atroci immagini dei bimbi di Birkenau, trasmesse dai video di mezzo mondo. Brutalismo è il blocco dei profughi da Gaza, fermati senza una ragione, mentre carichi delle loro povere cose cercano di rientrare nelle loro case, passando da Sud a Nord, o viceversa, non importa, nella speranza di ritrovare almeno le tracce di quelle case, di quel nulla che ne rimane, soffocato da milioni di tonnellate di detriti e macerie.
Venendo al nostro paese, brutalismo è il modo con cui il governo rimpatria in Libia, con "volo di Stato", un generale perseguito dalla Corte Penale Internazionale per accertati gravissimi crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Brutalismo è l’incredibile atteggiamento del ministro di “Grazia e Giustizia” Nordio, che “dimentica” di emanare l’ordine di custodia cautelare per quel criminale. Brutalismo è la sciocca disinvoltura del ministro degli Esteri Tajani che dichiara che le decisioni della Corte (a cui l'Italia aderisce e deve conformarsi, obbligatoriamente) non sono oro colato. Brutalismo è, ogni giorno, ogni frase, ogni sorrisetto fuori luogo, ogni gesto che altro non è che un eterno “menefrego”, della presidente del Consiglio, diretto agli avversari, ma anche alle istituzioni, o ai media che non si allineano alla sua narrazione farlocca. E brutalismo è la reazione aggressiva e irridente all’iscrizione nel registro degli indagati della stessa Meloni, con i suoi sodali-complici di governo, proprio in conseguenza agli atti compiuti e non compiuti per l’incredibile liberazione del criminale libico. Brutalismo è usare politicamente il Giorno della memoria, accettandone l’appropriazione indebita di Israele, e delle comunità israelitiche, che mentre negano lo sterminio in atto in Palestina, sfoderano l’arma suprema, l’accusa di antisemitismo, a chi, anche ebreo praticante, si oppone al colonialismo sionista. Brutalismo è infine “dimenticare” che Auschwitz è stato liberato dall’Armata Rossa, quel 27 gennaio del ’45, e che la guerra contro Hitler si è vinta innanzi tutto grazie all’Unione Sovietica, come riconosce tutta la storiografia internazionale; e, per giunta, non invitare, per il terzo anno consecutivo, i rappresentanti della Federazione Russa alle celebrazioni di Auschwitz. Del resto la “ministra degli Esteri” della UE, Kaja Kallas, avverte l’Unione, con fare ducesco, che occorrerà tagliere fondi a istruzione e sanità per comprare e produrre armi, al fine di “sconfiggere la Russia”: più brutalismo di così…
Incompetenza, arroganza, stoltezza, cialtroneria? Certo, ma v’è dell’altro. V’è appunto, il brutalismo, ossia una concezione della politica come mero comando, coercizione, prepotenza, una politica che rifiuta il confronto con le parti sociali e politiche, la ricerca ragionevole del consenso, tenendo conto degli interessi generali, che rinuncia all’opera di convincimento, peraltro impossibile non avendo argomenti convincenti. Italia, o Europa, o mondo, la politica diventa brutalismo elettorale. "Abbiamo vinto le elezioni, ora comandiamo noi”. Comandare, invece di governare, in sintesi, senza timori, senza pudori, senza infingimenti. Quando invece vincono gli avversari le elezioni vengono superate, con intrighi di palazzo (vedi la Francia), oppure annullate (vedi la Romania) o infine rovesciate da colpi di Stato (gli esempi sono troppo numerosi per evocarli). E tutto questo avviene con la complicità di una chiacchiera pseudogiornalistica piegata al potente di turno.
Ecco la forma attuale della democrazia liberale. Ecco il brutalismo, che diventa la nuova, oscena realtà politica del nostro tempo, nell’“Occidente esteso”.