Armi e "ricostruzione": i profitti (oscuri) sulla pelle dell'Ucraina

3310
Armi e "ricostruzione": i profitti (oscuri) sulla pelle dell'Ucraina

I nostri articoli saranno gratuiti per sempre. Il tuo contributo fa la differenza: preserva la libera informazione. L'ANTIDIPLOMATICO SEI ANCHE TU!

OPPURE

 
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico


Se gli stessi soldati ucraini accusano i comandi golpisti di arricchirsi sulla morte dei commilitoni al fronte, ciò può passare per un “gioco” (lurido) tutto interno ai ras nazisti. Una partita, in fondo, per raccattare le briciole che cadono dal tavolo attorno a cui banchettano i barracuda dei complessi militari-industriali euro-atlantici. Perché, a dirla tutta, ora che si fanno più violente le sgomitate per accaparrarsi le fette più succose della “ricostruzione” dell'Ucraina, sono però completamente aperti i round sul ring della distruzione dell'Ucraina. La “ricostruzione” sarà tanto più lucrosa, quanto più l'Ucraina sarà distrutta; e sarà tanto più distrutta, quante più armi si invieranno perché la guerra continui il più a lungo possibile: tanto più nuoteranno nell'oro le imprese appaltatrici della “ricostruzione”, quanto più i colossi delle armi smaltiranno i “ferri vecchi” in casa propria fornendoli a Kiev e rimpinguando gli arsenali “alleati” e le proprie tasche.

Al proposito, due noterelle sono indicative.  

Prima: la recente intervista a La Stampa del segretario bellicista del Consiglio di sicurezza ucraino, Aleksej Danilov, in cui ha proclamato, pubblicamente e per l'ennesima volta, che l'Ucraina sarà pronta per la “controffensiva” non appena l'Occidente invierà più armi.

Seconda: Seymour Hersh ha raccontato ciò che qualcuno sa da sempre, ma che è tabù sui media ufficiali: ha illustrato cioè, con dati alla mano, come sia fiorente il mercato nero proprio di quelle armi inviate dall'Occidente alla junta nazigolpista di Kiev e che invece finiscono in mano a bande criminali di mezza Europa, a partire dalle aree più prossime all'Ucraina, Polonia, Romania e limitrofi, per spandersi poi geometricamente come “margherite” in un prato. Per chi segue le vicende dell'aggressione ucraina al Donbass, è cosa ben nota, molto prima del 24 febbraio 2022, di come la bassa forza ucraina vendesse armi - in qualche caso alle stesse milizie delle Repubbliche popolari - classificandole presso i comandi come “materiale perso in battaglia” e intascando il relativo valsente.

Ora, osserva Vladimir Skachko su Ukraina.ru, per rendersi conto della portata di tale fiorente “mercato”, basti ricordare che lo stesso Jens Stoltenberg, nella “ispezione” a Kiev del 20 aprile, ha ricordato a Zelenskij che «negli anni scorsi, gli alleati della NATO hanno addestrato decine di migliaia di soldati ucraini», ma soprattutto che «dal febbraio dello scorso anno, hanno fornito più di 150 miliardi di euro di sostegno, di cui 65 miliardi in aiuti militari».

E se le cifre menzionate da Stoltenberg sono quelle che sono, cioè abbastanza approssimative, alla undicesima riunione del cosiddetto Gruppo di contatto sull'Ucraina, nella base americana di Ramstein, in Germania, il Segretario alla difesa USA Lloyd Austin ha puntualizzato che, dal 24 febbraio 2022, Washington ha fornito a Kiev aiuti militari per 32 miliardi di dollari e più di 20 miliardi sono stati forniti dagli “alleati”. E non è che la spesa militare ucraina sia così misera: i dati resi noti nei giorni scorsi dal SIPRI, vedono l'Ucraina all'11° posto nella classifica mondiale dei 15 maggiori dissipatori di guerra, con 44 miliardi di dollari, subito dopo il Giappone (46 mld) e immediatamente prima dell'Italia (33,5 mld); Italia che distanzia addirittura Israele, “fermo” a  23,4 miliardi di dollari.

Ma, per quel fiorente mercato nero, questo è insufficiente; ecco allora che il vice Ministro della guerra golpista, Andrej Mel'nik, scrive su twitter che «noi siamo grati ai nostri alleati per il loro aiuto militare. Ma è ancora poco. All'Ucraina serve 10 volte tanto. Chiediamo quindi ai nostri partner di superare ogni artificiale linea rossa e stanziare l'1% del PIL per forniture militari». 

Dunque, Washington stanzia ancora 325 milioni di dollari per razzi HIMARS, proiettili d'artiglieria da 105 e 155 mm, munizionamento di precisione per aviazione, razzi pesanti anticarro(TOW), lanciagranate anticarro monouso AT-4, mine anticarro, 9 milioni di munizioni per armi leggere, ecc. Dall'Europa, invieranno Leopard-2A4 Polonia, Danimarca, Olanda, Spagna e Norvegia; la Germania, oltre ai Leopard, fornirà anche sistema missilistici Iris-T SLM, vari tipi di mezzi blindati e trasporti e sistemi di radiolocalizzazione aerea.

Ecco però che, di recente, il britannico The Economist ha messo nero su bianco che parte dei MiG-29 forniti all'Ucraina – 14 dalla Polonia e 17 dalla Slovacchia tra marzo e aprile - non sono in condizioni di volo e vengono quindi smontati per essere utilizzati come pezzi di ricambio. The Economist riporta le parole di Jurij Ignat, consigliere del comando dell'aviazione ucraina, secondo cui Kiev ha bisogno di caccia, in modo da sopperire ai sistemi contraerei che, a quanto pare, non se la cavano tanto bene contro l'aviazione russa. Ignat ha detto che se comincerà a scarseggiare il munizionamento missilistico antiaereo, Kiev dovrà scegliere tra proteggere città, infrastrutture critiche, basi o truppe avanzate.

Sembra insomma che l'attuale flotta di intercettori ucraini non sia perfettamente in grado di tener testa a aerei, droni e razzi russi: forse proprio a causa della qualità dei velivoli forniti dagli “alleati”. D'altronde, il Ministro della difesa slovacco, Jaroslav Nagy, non si è fatto scrupolo di spiattellare che i velivoli forniti a Kiev non sono di alcuna utilità pratica per la Slovacchia stessa, mentre l'Ucraina potrebbe averne bisogno: una verità, adattata all'oggi, della “saggezza” del mezzadro che offriva la frutta al “signor fattore”, che, se no, sarebbe comunque finita ai maiali.

Ma Kiev vuole sempre qualcosa in più. Quando lo scorso 20 aprile (compleanno di Adolf Hitler: è un caso?) Jens Stoltenberg si è portato fino a Kiev, Vladimir Zelenskij gli ha detto che Kiev attende grandi cose dal summit NATO di luglio a Vilnius: «Abbiamo bisogno di qualcosa di più dell'attuale tipo di rapporti. Vogliamo capire quando l'Ucraina entrerà nella NATO. Vogliamo garanzie di sicurezza su questo percorso», ha detto il nazista-capo, chiedendo aiuto per «superare la reticenza dei partner all'invio di armi a lunga gittata, aviazione moderna, artiglierie e mezzi blindati».

Per la verità, Stoltenberg ha un po' raffreddato Zelenskij, dicendo che a Vilnius verranno discusse le garanzie di sicurezza all'Ucraina, ma di ingresso nell'Alleanza ancora non se ne parla. Vero scopo della visita di Stoltenberg era proprio assicurare la continuazione del conflitto e stimolare Kiev al tanto atteso contrattacco. I complessi militari-industriali “alleati” hanno fame e si cercano tutti i modi immaginabili per spingere Kiev alla prosecuzione del conflitto: in fondo, l'attuale junta appare sempre più agli sgoccioli, ma la guerra deve andare avanti, con o senza di essa.

Così che, come scrive Anatolij Ursida su Alternativa.ru, nelle graduatorie occidentali Zelenskij è stato ufficialmente retrocesso, e con lui tutta l'Ucraina. Non è una delle “mogli favorite” (il riferimento è a un vecchio film cult sovietico) degli USA, alla pari del presidente polacco Duda, ma solo una damigella d'onore di una delle mogli favorite: la damigella d'onore dello stesso Duda, appunto. Se appena un anno fa Zelenskij campeggiava sulle copertine di tutte le riviste, ora, sui media, il suo nome è associato solo alla corruzione. Simili ribaltoni, nota Ursida, si verificano solo col consenso del Dipartimento di stato.

Fonti turche riferiscono che a Zelenskij, il quale pretendeva un “formato più elevato” di sostegno NATO, Stoltenberg ha confermato la retrocessione del clown di Kiev nelle classifiche occidentali. L'Occidente fa insomma sempre meno mistero di far affidamento sulla Polonia: là non fanno razzia dei soldi occidentali; quantomeno, non ai livelli ucraini. Non a caso, Duda ha annunciato la creazione di un «hub finanziario per il ripristino dell'Ucraina» che, tradotto, significa che la cassa viene trasferita da Kiev e Varsavia.

Per l'Occidente, l'Ucraina è già materiale di scarto; chi può, già se la dà a gambe. Per chi resta, pronostica Ursida, si aprono due possibilità: o Zelenskij e la sua cricca si proclameranno “governo in esilio”, da qualche parte, oppure diventeranno politici “polacchi” di second'ordine, nell'unione quasi-statale polacco-ucraina, che presuppone l'inglobamento delle regioni occidentali ucraine da parte della Polonia. Ma, in un caso o nell'altro, non ci sarà bisogno di una sterminata pletora di generali, ministri, ambasciatori ecc.

Ecco che allora, qualcuno, in USA, ritira fuori i nazisti tutti d'un pezzo di “Azov”: The Washington Post titola: «”Azov” si rmette in sesto in prossimità della battaglia decisiva». Difficilmente molti polacchi digeriranno tali panegirici all'indirizzo dei più conseguenti terroristi di OUN-UPA e Stepan Bandera, ma le esigenze d'oltreoceano saranno senz'altro assecondate da Varsavia. E così, TWP osserva che gli “eroi” stanno procedendo a preparazione accelerata, per giocare un «ruolo decisivo» nel contrattacco che prima o poi verrà. Gli azoviti vengono descritti come «Brigata copertasi di gloria nella resistenza durante l'assedio di Mariupol», «reparto di alta classe». Il tutto, nonostante che, nota Andrej Sokolov su Stoletie.ru, nel 2015 il Congresso USA avesse vietato finanziamento e fornitura di armi a “Azov”, qualificato come terrorista; e nonostante che anche il bilancio di previsione USA per il 2023 vieti lo stanziamento di fondi a suo favore. Ufficialmente.

Passi simili, di abbellimento dei neonazisti, dipinti come "patrioti", si verificano anche in Europa. Di recente, una delegazione di “Azov” ha partecipato a Parigi a un'anteprima del “film” propagandistico «Gloria all'Ucraina» del reazionario Bernard-Henri Levy, presenti personaggi di spicco francesi, tra cui l'ex presidente Francois Hollande. La tedesca Die junge Welt scrive che la società americana Meta Platforms ha già escluso “Azov” dalla lista di organizzazioni pericolose.

Insomma: gli affari (non solo quelli militari) esigono che la guerra continui. Allo scopo, non sono importanti né l'Ucraina in quanto stato, né le figure che ne sono ai vertici: il territorio costituisce solo lo spazio materiale di scontro e il suo perimetro è di importanza relativa, purché vi si combatta; i burattini neo-nazisti rappresentano soltanto figure sempre rimpiazzabili, in base alle necessità degli “alleati”. Il popolo ucraino paga per questo e per quelli. La nazione ucraina è la vittima della grande partita.

L'eliminazione dell'Ucraina, come si è conosciuta dal 1945 a oggi, dalle carte geografiche, fa gola anche ai suoi “alleati” dei paesi confinanti. La distruzione dell'Ucraina è la condizione dello sviluppo della Polonia. - Continua.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

Cosa si nasconde dietro il (finto) "piano di pace" di Trump? di Giuseppe Masala Cosa si nasconde dietro il (finto) "piano di pace" di Trump?

Cosa si nasconde dietro il (finto) "piano di pace" di Trump?

Le elezioni Usa, il trumpismo e il bivio finale dell'Europa di Paolo Desogus Le elezioni Usa, il trumpismo e il bivio finale dell'Europa

Le elezioni Usa, il trumpismo e il bivio finale dell'Europa

Nicaragua, il ricordo vivo di Carlos Fonseca di Geraldina Colotti Nicaragua, il ricordo vivo di Carlos Fonseca

Nicaragua, il ricordo vivo di Carlos Fonseca

Israele, la nuova frontiera del terrorismo di Clara Statello Israele, la nuova frontiera del terrorismo

Israele, la nuova frontiera del terrorismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo di Leonardo Sinigaglia La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

La retorica "no border" e Salvini: due facce dello stesso imperialismo

Alluvione di Valencia, i media e il cambiamento climatico di Francesco Santoianni Alluvione di Valencia, i media e il cambiamento climatico

Alluvione di Valencia, i media e il cambiamento climatico

I Nativi Americani hanno davvero votato per Trump? di Raffaella Milandri I Nativi Americani hanno davvero votato per Trump?

I Nativi Americani hanno davvero votato per Trump?

The Donald-Harris: due facce della stessa medaglia di Giuseppe Giannini The Donald-Harris: due facce della stessa medaglia

The Donald-Harris: due facce della stessa medaglia

Trump Returns - i miei 2 centesimi sull'evento del giorno di Antonio Di Siena Trump Returns - i miei 2 centesimi sull'evento del giorno

Trump Returns - i miei 2 centesimi sull'evento del giorno

9 NOVEMBRE 1989: LA CADUTA DEL MURO E L'INIZIO DELLA FINE di Gilberto Trombetta 9 NOVEMBRE 1989: LA CADUTA DEL MURO E L'INIZIO DELLA FINE

9 NOVEMBRE 1989: LA CADUTA DEL MURO E L'INIZIO DELLA FINE

Un focolaio da estinguere - risposta ai Carc di Michelangelo Severgnini Un focolaio da estinguere - risposta ai Carc

Un focolaio da estinguere - risposta ai Carc

La foglia di Fico di  Leo Essen La foglia di Fico

La foglia di Fico

 Perché Trump ha vinto? di Michele Blanco  Perché Trump ha vinto?

Perché Trump ha vinto?

Sull’orlo dell’abisso  - Il ruolo della Francia di Paolo Pioppi Sull’orlo dell’abisso  - Il ruolo della Francia

Sull’orlo dell’abisso - Il ruolo della Francia

Manovra. La figura (indecorosa) del governo Meloni con le banche di Giorgio Cremaschi Manovra. La figura (indecorosa) del governo Meloni con le banche

Manovra. La figura (indecorosa) del governo Meloni con le banche

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti