Assad: Gaza è il risultato di 75 anni di crimini sionisti e di 32 anni di pace fallita

Assad: Gaza è il risultato di 75 anni di crimini sionisti e di 32 anni di pace fallita

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L’intervento del Presidente siriano Bashar al-Assad, oggi, al vertice straordinario arabo-islamico in Arabia Saudita è emblematico, in quanto delinea il dramma stesso dei paesi arabi e della causa palestinese nei confronti del colonialismo rappresentato nella regione dalla presenza di Israele.

Leggendo questo discorso, sono anche chiare le ragioni per quali la Siria dal 2011 al 2023 è stata tenuta fuori dalla Lega araba. Non c’entra soltanto la guerra per procura che ha subito Damasco.

Assad ha ribadito che affrontare la questione di Gaza, estromettendola da quella palestinese, è un approccio vecchio che non risolverà la situazione. Gaza, per il leader siriano, incarna le sofferenze che per decenni sono state inferte dai sionisti ai palestinesi. Se non si ricorda questo concetto per Israele si aprirà la strada allo sterminio dei palestinesi e della loro causa, ha avvertito Assad.

Infine, il presidente siriano ha parlato di scenari internazionali nuovi, di opportunità ami viste prima che possono giovare anche alla causa palestinese, invitando, non troppo velatamente i paesi arabi e islamici a staccarsi dal giogo occidentale.

Di seguito il testo integrale del discorso del presidente al-Assad al vertice straordinario arabo-islamico:

Vostra Altezza il Principe Mohammed bin Salman, Principe ereditario del Regno dell'Arabia Saudita,

Vostre Maestà e Altezze,

Gaza non è mai stata il problema; piuttosto la Palestina è la causa centrale e Gaza è un'incarnazione della sua essenza e una palese espressione della sofferenza del suo popolo.

Parlare di Gaza singolarmente non coglie il punto, perché è parte di un tutto, e la recente aggressione contro di essa è solo un evento all'interno di una serie di eventi che risalgono a settantacinque anni di crimini sionisti, con trentadue anni di pace fallita, il cui unico risultato assoluto e inconfutabile è che l'entità ha aumentato le sue aggressioni e la situazione palestinese è diventata più ingiusta e miserabile.

Né la terra né il diritto sono ripresi, né in Palestina né nel Golan. Questa situazione ha prodotto un'equazione politica secondo cui più indulgenza araba nei loro confronti equivale a più ferocia sionista nei nostri confronti, e che più mano tesa da parte nostra equivale a più massacri contro di noi. L'entità sionista non conosce la pace.

Alla luce di questa chiarissima equazione, l'aggressione contro Gaza non può essere esaminata separatamente dal contesto dei massacri sionisti contro i palestinesi commessi in precedenza e che continueranno - senza dubbio - in seguito.

Inoltre, non possiamo isolare questo crimine in corso trattando "come Paesi arabi e islamici" gli eventi ricorrenti in modo frammentario per quanto riguarda la causa palestinese. Continuare a trattare l'aggressione contro Gaza oggi con la stessa metodologia significa spianare la strada a Israele per completare i massacri fino all'annientamento del popolo e alla morte della causa.

La situazione di emergenza al nostro vertice oggi non è né l'aggressione né le uccisioni, poiché entrambi sono in corso ed entrambi sono inerenti e caratteristici di questa entità, ma l'emergenza è il sionismo che supera sé stesso nella barbarie, che ci pone di fronte a responsabilità senza precedenti, sia umanamente che politicamente, come minimo, se mettiamo da parte la sicurezza nazionale della nostra regione.

Dal punto di vista umanitario, è indiscutibile il nostro dovere di assumerci una buona parte del ripristino dei requisiti minimi di vita, sia con aiuti immediati che con la ricostruzione delle infrastrutture necessarie in un secondo momento, ma vogliamo continuare a girare in un circolo vizioso di uccisioni e aiuti, poi massacri, poi aiuti, attacchi, poi dichiarazioni? La domanda più importante è: di cosa hanno bisogno i palestinesi da noi? Hanno bisogno prima di aiuti umanitari da parte nostra, o hanno bisogno prima di protezione da parte nostra dall'imminente genocidio?

 Qui sta il nostro ruolo e qui sta il nostro lavoro politico, ma se non abbiamo strumenti reali di pressione, qualsiasi passo che facciamo o discorso che pronunciamo non ha alcun significato. Il minimo che abbiamo sono gli strumenti politici veri e propri, non quelli retorici, il più importante dei quali è l'interruzione di qualsiasi percorso politico con l'entità sionista, con tutto ciò che il percorso politico include, che si tratti di questioni economiche o di altro tipo, in modo che il suo ritorno sia condizionato all'impegno dell'entità a una cessazione immediata e a lungo termine, non temporanea, dei crimini contro tutti i palestinesi in tutta la Palestina, consentendo al contempo l'ingresso immediato di aiuti a Gaza.

Quanto al parlare dei due Stati e dell'avvio del processo di pace e di altri dettagli e diritti, nonostante la loro importanza, non sono la priorità in questo momento di emergenza, e sappiamo che parlarne non porterà frutti, perché non c'è nessun partner, nessuno sponsor, nessun riferimento e nessuna legge, e anche perché non è possibile ripristinare un diritto quando il criminale è diventato giudice, e il ladro è diventato giudice. Questo è lo stato dell'Occidente oggi.

Solo per nostra volontà, fratelli, a parte le nostre richieste ai Paesi occidentali, alle istituzioni internazionali e ad altri di assumersi le proprie responsabilità, essi hanno solo responsabilità storiche coloniali basate sull'oppressione e sul saccheggio dei popoli. Solo per nostra volontà, grazie alla schiacciante opinione pubblica dei nostri Paesi, con la nuova realtà imposta dalla resistenza palestinese nella nostra regione, possediamo questi strumenti. Usiamoli e approfittiamo della trasformazione globale che ci ha aperto porte politiche rimaste chiuse per decenni, in modo da potervi entrare e cambiare le equazioni, e facciamo in modo che le vittime della Palestina siano il prezzo da pagare per ottenere ciò che non siamo stati in grado di fare in passato e che dobbiamo realizzare nel presente e nel futuro.

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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