Assange, le ore decisive

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Assange, le ore decisive

 

di Agata Iacono

 

Sono gli ultimi giorni, forse, per Assange nella prigione a Londra definita la Guantanamo inglese.
Tra pochissimi giorni la Corte dovrà esprimersi sulla ammissibilità del ricorso di Julian Assange, l'ennesimo e l'ultimo.
Se gli sarà respinta questa possibilità, l'estradizione negli USA, dove lo aspettano 175 anni di detenzione in completo isolamento, potrebbe essere immediata.
Sono moltissime le iniziative in tutto il mondo a favore di Assange, si intensificano sempre più anche in Italia: solo per citarne alcune, si fa pressione a Roma e Milano, ad esempio, affinché Gualtieri e Sala concedano finalmente la cittadinanza onoraria, è stata inaugurata una mostra, vengono proiettati docufilm, promossi flash mob sotto l'ambasciata UK, indette conferenze stampa...fino al giorno finale, il D-Day, che vedrà a Londra attivisti da tutto il mondo.


Sulla vicenda di Assange, insomma, si sta parlando tanto, mai abbastanza certo, è totalmente ignorato cancellato dalla memoria dei media di massa, ma, forse, si trascura una questione fondamentale, che lo rende veramente un eroe della nostra epoca.

Julian non è un giornalista qualsiasi, benché coraggioso e pluripremiato.
La novità che spaventa tanto è il metodo.
In una società sempre più tecnologica, lui, geniale informatico, ha pensato di sfruttare i nuovi strumenti del potere, del controllo e della manipolazione, contro questo stesso potere.
Ma non ha indetto rivoluzioni, non è diventato un capopolo, non si è candidato e non ha creato il suo bravo, piccolo o grande, blog alla ricerca di like e proventi dalle visualizzazioni.

Ha fatto il contrario.

Ha usato la crittografia per rendere inaccessibili le sue fonti, pubblicando sulla piattaforma WikiLeaks tutta la documentazione che soldati e funzionari non potevano altrimenti rendere pubblica.
La forza delle immagini e la potenza dei documenti e delle email superano qualsiasi tentativo di censura, non è possibile cancellarli dalla Storia.

"L'obiettivo è la giustizia", ha sempre detto Assange, "lo strumento è la trasparenza".

Non vanno confusi.

Ma, poiché su Assange è stato detto tanto, mi preme oggi ricordare un aspetto particolare della sua vicenda.
Ed è un aspetto che ci riguarda tutti, proprio oggi che il dibattito sull'intelligenza artificiale, sull'uso di Google, sul controllo delle masse, è sempre più vitale.

Nel 2014, quando era ancora agli arresti domiciliari, Assange ricevette una visita particolare, che ha documentato, quindi ha raccontato alla grandissima giornalista Stefania Maurizi che lo incontrò a Berlino e da allora segue e documenta le sue vicissitudini (oggetto anche lei di controllo e persecuzione), e da cui è scaturito un libro.dal titolo “ When Google Met WikiLeaks ”, ovvero “Quando Google incontrò WikiLeaks”, (Or Books, New York).

Ripropongo un estratto dall'articolo di Stefania Maurizi,
pubblicato su espressonline, 15 settembre 2014
(http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/09/15/news/julian-assange-ecco-come-google-e-diventato-malvagio-1.180094), ancora reperibile in rete.

"...Assange racconta del suo incontro avvenuto nel 2011 a Ellingham Hall con Eric Schmidt, presidente di Google, e con Jared Cohen, direttore di “Google Ideas”. Un incontro di intelligenze ed esistenze agli antipodi. Come agli antipodi sono le due visioni del futuro di internet che escono dal racconto: per Assange, «il potere liberatorio della rete risiede nella sua libertà e nel suo essere un mondo senza Stato». Per Schmidt, invece, «l'emancipazione di internet coincide con gli obiettivi della politica estera americana».

Gente come Schmidt e Cohen , scrive Assange «ti diranno che l'apertura mentale è una virtù, ma ogni punto di vista che sfida l'eccezionalismo americano, alla base della politica estera Usa, rimarrà invisibile a loro. E questa è l'impenetrabile banalità del 'non fare male'. Loro credono di fare del bene. E questo è il problema». Nel libro non mancano guizzi dell'umorismo di Julian. Come quando racconta della telefonata al dipartimento di Stato in cui lo staff di WikiLeaks fa presente che Assange chiede di parlare con Hillary Clinton e, prevedibilmente, la richiesta viene accolta con “burocratico sbigottimento”, con Assange e il suo team che si ritrovano a vivere una scena del film 'Il Dottor Stranamore' ,«dove Peter Sellers chiama senza preavviso la Casa Bianca per avvertire di un'incombente guerra nucleare e la telefonata viene messa in attesa». Abbiamo chiesto a Julian Assange di parlarci di lui e del suo libro.
Iniziamo dal suo incontro con Eric Schmidt e Jared Cohen. Nel suo libro, lei scrive che a livello personale sono delle persone molto gradevoli, ma se il futuro di internet sarà Google, allora questo dovrebbe preoccupare chiunque nel mondo. Perché?
«Negli ultimi 15 anni Google è cresciuto dentro internet come un parassita. Navigazione internet, social network, mappe, satelliti droni, Google è dentro il nostro telefono, sul nostro desktop, sta invadendo ogni aspetto delle nostre vite: sia le relazioni personali che commerciali. A questo punto Google ha un potere reale su chiunque usi internet, ovvero praticamente chiunque nel mondo contemporaneo. Nel diventare sempre più grande, Google è diventato anche malvagio. Spiego nel mio libro come ormai è allineato con la politica estera americana. Questo significa per esempio che Google può intervenire nell'interesse degli Stati Uniti, può finire per compromettere la privacy di miliardi di persone, può usare il potere della pubblicità a scopi di propaganda. Paesi come Russia e Cina – e questo si può constatare leggendo i cablo della diplomazia Usa che noi abbiamo rilasciato - guardavano a Google come a una mano degli Stati Uniti fin dal lontano 2009. Purtroppo la loro soluzione (della Russia e della Cina, ndr) è creare dei monopoli locali. Google succhia i dati personali di ogni singola persona: sta costruendo uno sterminato bacino di informazioni che è di grande interesse per il governo americano. Di conseguenza, il governo è entrato in relazione con Google per accedere al suo database. E Google non cambierà mai il suo modo di operare, perché il suo business model è raccogliere più dati possibili sulle persone e centralizzare quei dati, per trovare tutte le relazioni così da elaborare un modello di previsione per la pubblicità mirata, quasi esattamente quello che fa la Nsa»."

E ancora (siamo solo nel 2014 !):

«Lo scopo primario della sorveglianza di massa è il vantaggio strategico (che ne deriva alla nazione che la pratica, ndr) e infatti, internamente, viene chiamata “sorveglianza strategica”. La Nsa intercetta interi continenti esattamente come negli ultimi 70 anni è stato condotto un grande gioco per controllare il petrolio e i paesi coinvolti nella sua produzione: si può vedere questo con i fatti dell'Ucraina».

Informare il pubblico dei crimini e dell’impunità delle “democrazie imbiancate”, rivelando documenti riservati, ha trasformato Assange in un pericoloso nemico che i governi intendono perseguire a ogni costo, non esitando a praticare la tortura, come afferma Nils Melzer (dal 2016 al 2022 ha ricoperto il ruolo di Relatore speciale sulla tortura, eletto dai 47 Stati che compongono il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite) nel suo recente libro "Il processo a Julian Assange".
 
 
Infine Stefania Maurizi chiede ad Assange, perseguitato, oggetto di accuse false in Svezia (poi archiviate ), minacce alla famiglia, torture psicologiche, totale isolamento.
 
«Lei ha detto: “Cosa bisogna fare? La risposta è semplice. E lo è sempre stata. Smettete di dire: 'not in my name' e iniziate a dire “sul mio cadavere”. E' quello che noi abbiamo fatto. Funziona. Fatelo anche voi”. 
 
Guardando indietro, valeva la pena?»
 
La risposta di Assange riguarda tutti noi, le nostre paure "politicamente corrette", il nostro timido "condannare ma con equidistanza", la censura cui è sottoposto L'Antidiplomatico su tutti i social, testata giornalistica regolarmente registrata, l'autocensura preventiva di troppi colleghi, la reazione incredula perché dal palco di Sanremo Ghali si permette di dire "Stop al Genocidio" e la Rai che si scusa..

Cosa risponde Julian Assange?
"Ne valeva la pena?"

«Quando si hanno ideali da realizzare, bisogna pagare un pezzo, esattamente come per comprare un macchina bisogna pagarne uno. Dal punto di vista della mia vita, credo che il prezzo che ho pagato per quello che voglio ottenere, sebbene non insignificante, sia veramente piccolo rispetto alla soddisfazione che mi ha dato l'ottenere qualcosa».
 
 

Agata Iacono

Agata Iacono

Sociologa e antropologa

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