Assange- Naval’nyj due pesi due misure: tra disinformazione e informazione
di Sandrino Marra
Due vicende “umane” ma due realtà molto diverse, diverse per spirito e sensibilità umane, di giustizia e professionali. Da una parte un giornalista d’inchiesta e investigativo e dall’altra un attivista politico e blogger. Almeno a colpo d’occhio e superficialmente appaiono due figure simili ma se si prova ad entrare nel profondo delle attività e dei personaggi qualcosa cambia. Naval’nyj è politicamente attivo fin da giovane, (oltretutto candidato a sindaco di Mosca e nel 2016 candidato alle presidenziali) ed aveva contribuito a fondare il partito Narod (Popolo) ma da cui viene espulso per dichiarazioni xenofobe e razziste durante un comizio nel 2008, dichiarazioni mai ritrattate e nel 2017 ad una intervista al The Guardian affermò di non aver alcun rimpianto per quelle dichiarazioni giustificandole come licenza artistica paragonando i musulmani caucasici a degli «scarafaggi scuri di pelle» suggerendo di adoperare «le pistole» contro di loro, visto che non sarebbe bastata la paletta per schiacciarli. In seguito giunge negli USA con un programma di formazione dell’Università di Yale nel Greenberg World Fellows Program che forma ogni anno pochissime persone su scala mondiale per farne dei leader globali e qui ancora tutto può essere motivato e compreso. Rientra in Russia e fonda il movimento Alternativa Democratica insieme a Mariya Gaydar, figlia dell'ex primo ministro Yegor Gaydar. Marya Gaydar si è spesso espressa affermando che Alternativa Democratica si concentrava su attività apartitiche progettate per aumentare la consapevolezza politica. Però Alternativa Democratica aveva ricevuto finanziamenti dal National Endowment for Democracy, una questione che Mariya Gaydar ha sempre evitato di pubblicizzare nel timore di apparire compromessa da un legame americano (sue dichiarazioni). Il “National Endowment for Democracy” (NED) è un’organizzazione non a scopo di lucro, con sede negli Stati Uniti, specializzata nella promozione della cultura della democrazia nel mondo. Istituito nel 1983 dall’amministrazione Reagan, all’acme della Guerra fredda. La forma del NED è cambiata con il passare del tempo, ma la sostanza è rimasta inalterata: il contrasto del comunismo è stato sostituito da un più generico supporto a tutte quelle forze impegnate nella “promozione della democrazia”, tanto nelle nazioni occidentali come nel resto del mondo. Rimanendo in tema di storia recente, il NED ha giocato un ruolo determinante nel corso delle primavere arabe, avendo finanziato, tra gli altri, il Movimento 6 aprile e l’Accademia democratica negli ultimi anni di vita dell’era Mubarak. Andando indietro nel tempo, invece, secondo i politologi che hanno avuto accesso ai documenti prodotti dal Ned, tra i quali Lindsey O’Rourke, è agli sforzi che l’agenzia ha compiuto in direzione della democratizzazione che si dovrebbero i cambi di regime avvenuti durante la guerra fredda in una miriade di nazioni: dal Cile alle Filippine, da Haiti alla Polonia, e da Panama al Suriname.
Per i motivi di cui sopra, il NED va ricevendo un’accoglienza crescentemente negativa da parte di molti paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Eurasia, perché ritenuto sinonimo di destabilizzazione. Tornando a Naval’nyj nel 2012 un suo collaboratore incontra un agente del MI6 a Mosca a cui chiede finanziamenti per la campagna politica e per poter contattare gli oligarchi russi per rassicurarli che avrebbero conservato i privilegi nel caso di un cambiamento politico in Russia. Nel 2014 è arrestato con l’accusa di appropriazione indebita dalla casa di cosmetici francese Yves Rocher di cui era referente in Russia. Condanna poi sospesa, ma qualche anno dopo viene accusato di distrazione di fondi destinati a sue organizzazioni no profit. Nel 2021viene arrestato al suo rientro dalla Germania per le cure da un avvelenamento da Novichoc e le accuse precedenti si sommano per definire una condanna a 19 anni di reclusione, secondo le leggi della Federazione Russa. Con il suo decesso si apre una forte contestazione in Occidente con accuse di omicidio (nei confronti di Putin quale mandante del delitto), tutte da dimostrare, ma che orientano un certo pensiero.
Assange
Ciò che è invece accaduto ad Assange sembra qualcosa fuori dai canoni di un Occidente che si identifica come portatore di valori di giustizia, equità, contro ogni forma di menzogna, contro corruzione, guerre, e non ultimo violenza. Eppure Assange non ha fatto altro che fare il suo lavoro, nella sua forma di giornalismo investigativo, contemplata d’altronde dal diritto umanitario internazionale, e se pensiamo al nostro paese, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti organizza periodicamente corsi di giornalismo investigativo. Assange non ha fatto altro che pubblicare ciò che ha scoperto o se vogliamo essere riduttivi trovato. Si perché in fondo non ha rubato alcunchè, ha trovato di fatto i documenti in quello che è l’incapacità degli USA di proteggere, se vogliamo essere anche buonisti, i propri segreti “Di Stato”. Un sistema di sicurezza “bucato” nel 2010 non da un geniale Hacker dell’informatica, ma da un giovane analista di intelligence delle forza armate statunitensi con livello di accesso ai dati sensibili uguali a zero. I dati poi furono ceduti da questi a Wikileaks. Assange in seguito li pubblica sconvolgendo di fatto, sia la sicurezza informatica del Pentagono, ma soprattutto mettendo in luce gravissime responsabilità in merito a violazione dei diritti umani durante il conflitto in Iraq, in Afghanistan e non solo. Tale giornalismo investigativo mette in risalto, come nel Watergate del 1972, l’importanza dello stesso giornalismo investigativo a supporto della libertà e del diritto di informazione oltre all’importanza della ricerca di verità, giustizia e reati. D’altronde in epoca contemporanea il giornalismo investigativo (un esempio è stato quello italiano) è stato considerato quale elemento di aiuto per magistratura e forze dell’ordine, in materia di ricerca e prevenzione di reati, e testimonianza nei processi. Assange proprio per il suo impegno nella ricerca della verità e indirettamente promotore della giustizia è stato più volte proposto al Premio Nobel per la Pace per la sua attività di informazione e trasparenza. I materiali pubblicati che abbracciano un periodo che va dal Luglio del 2010 al Novembre dello stesso anno portò il governo degli Stati Uniti ad una indagine su Wikileaks. Quasi contemporaneamente nel Novembre del 2010 la Svezia lo accusa di stupro (cosa che ha sollevato dubbi in molti sulla natura del provvedimento, per la coincidenza temporale con la pubblicazione da parte di Wikileaks dei documenti diplomatici statunitensi), per aver avuto rapporti non protetti ma consenzienti con due donne, e l’aver rifiutato in seguito di sottoporsi a controllo medico rispetto a malattie sessualmente trasmissibili che secondo la legge svedese è una condotta criminosa, vicenda poi chiusasi nel 2012 quando per la seconda volta l’accusa fu archiviata poiché gli elementi non furono ritenuti sufficienti per formulare una incriminazione. La vicenda di Assange nel tempo si è inverosimilmente complicata attraverso accuse inerenti una violazione dei termini della libertà su cauzione (Tribunale di Londra), la quale dopo un lungo periodo da rifugiato politico presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra lo ha portato all’arresto ed alla detenzione presso la prigione di Belmarsh. Ma la questione che appare particolare è la richiesta da parte degli Stati Uniti di estradizione per sottoporre a processo Julian Assange per cospirazione dovuta alla divulgazione di materiale secretato di importanza per la sicurezza nazionale, estradizione che gli potrebbe costare 175 anni di reclusione secondo i parametri accusatori statunitensi. Cosa che denota una stonatura è che il giovane analista che nel 2010 fornì ad Assange i documenti poi pubblicati, condannato a 35 anni di reclusione (scontandone 7 con pena ridotta dal Presidente Obama) ha ottenuto una pena 5 volte inferiore a quella che potrebbe ricevere Assange. Ad “essere pignoli” si potrebbe guardare a Chelsea Manning nel contesto dove di fatto egli (ella) era un militare che rubò e fornì materiali secretati, a sua volta ceduti da cittadino statunitense, che vedrebbe di fatto una azione di alto tradimento passibile di pena di morte. E in questo contesto si andrebbe a palesare il discorso nello specifico della vicenda Manning di due pesi e due misure, oltretutto con Assange che non è cittadino Statunitense.
Nella sua vicenda umana, biografica, politica e sociale appare un uomo senza pregiudizi, il quale non si è mai espresso in giudizi xenofobi e razzisti, attivista, giornalista e se vogliamo anche hacker (datosi che da giovane viene condannato per aver forato il sistema informatico del Dipartimento della difesa Americano) ma che ha dato modo di conoscere fatti di immensa gravità nell’ambito del diritto umanitario internazionale e dei comportamenti non conformi delle forze armate statunitensi, e non solo. Dunque appare una colpa oggi il giornalismo investigativo, a tal punto che nel nostro paese di Julian Assange nei due giorni di decisioni del tribunale britannico, rispetto all’estradizione, se ne è parlato ben poco. Viceversa di Alexsej Naval’nyj si è parlato a livello politico oltre che mondiale in quella che appare una diversa visione rispetto alla corrispettiva vicenda di Julian Assange. Sarà pur vero che nell’ambito russo le detenzioni potrebbero forse apparire più dure, si può anche liberamente pensare che la reclusione sia voluta e cercata per gli svariati ipotetici motivi di cui si parla, ma è pur vero che l’ambito detentivo britannico del carcere di Belsmarh potrebbe non differenziarsi di molto dall’ IK-6 di Melekhovo. Indubbiamente le vicende umane, le sofferenze, la morte stessa di uno dei due, è qualcosa di triste e discutibile però mettere, come si sta facendo, il carro dinanzi ai buoi a voler legittimare un omicidio che è tutto da constatare, rispetto ad una corrispettiva vicenda umana che sta comunque portando alla morte un giornalista in una realtà definita all’avanguardia nell’opulento Occidente, nel paese della Magna Charta, non può non far riflettere su due pesi e due misure, tra informazione e disinformazione.